Omelia (01-11-2015) |
don Giacomo Falco Brini |
Vedete quale grande amore Il primo giorno di novembre la Chiesa celebra, ogni anno, la presenza nel suo seno del dono inestimabile della santità. Ci sono tanti modi per riconoscerla e celebrarla. Le letture della odierna liturgia della parola aprono varie finestre su di essa perché possiamo ringraziare e meditare insieme su questo dono. Partiamo dallo sguardo proiettato sul futuro del libro dell'Apocalisse. In esso ci viene comunicato che questo futuro, davanti a Dio, vedrà la presenza di "una moltitudine immensa che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua...avvolti in veste candide con palme nelle mani" (Ap 7,9). Questo immenso popolo grida la propria vittoria che altro non è che la stessa vittoria di Dio: "la salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all'Agnello" (Ap 7,10). Se sostituiamo il termine "salvezza" con "santità", al di là della differenza terminologica, di certo non manipoliamo la Parola di Dio ma evidenziamo, anche teologicamente, in cosa consiste il mistero della santità. Essa è realtà che appartiene a Dio e come tale è per noi, in primo luogo, un dono. La moltitudine dei salvati che sta davanti a quel trono ha piena coscienza di ciò, quindi da tutta la gloria a Dio: Lui solo è Santo! La domanda del personaggio anziano assiso nella corte celeste che attornia quel trono aiuta a focalizzare ancor di più l'identità di quella moltitudine in relazione al mistero della sua santità (Ap 7,13-14): quella moltitudine immensa si trova in piena comunione con Dio perché si tratta di tutti coloro che hanno vissuto la precarietà della vita umana come attraversando una grande tribolazione, permettendo così al sangue dell'Agnello di rivestirli della sua stessa santità. S. Paolo avrebbe detto: si tratta di coloro che hanno partecipato alle sofferenze di Cristo e che ora si ritrovano a partecipare della sua gloria. Ancora una volta, l'accento ricade giustamente sulla persona del Signore: il candore di quell'innumerevole gruppo di persone è il frutto di quel sangue donato all'umanità! Nel vangelo di Matteo il discorso di Gesù che sulla montagna proclama le Beatitudini ci ricorda invece che la santità, oltre che un dono, è anche cammino e compito del credente. In esse il Maestro indica il tracciato esistenziale che il discepolo deve necessariamente percorrere se vuol diventare santo. Il Signore ci chiama alla santità, cioè a imparare a vivere, come Lui, in una novità di vita che è riassunta esattamente dalle Beatitudini. Il discepolo incamminato verso la santità è una persona che sta diventando povera in spirito, che sa accogliere le afflizioni della vita, che esprime mitezza, è affamata e assetata di giustizia, misericordiosa, pura di cuore, impegnata a crear pace, nonché perseguitata, insultata e calunniata. Tutto questo per causa mia (Mt 5,11). E' sempre Lui l'unica causa, il motivo, il significato per abbracciare questa vita. E se da un punto di vista prettamente umano questo modo di vivere si scontra con le tante logiche che portano avanti la vita in questo mondo, facendolo sembrare pura follia (o, come si dice oggi, una vita da "sfigati"...), la fede nelle parole del Signore che troviamo alla fine del vangelo manifesta che non solo il discepolo, alla lunga, diviene uomo saggio nell'abbracciare questo modo di vivere, ma trova in esso, paradossalmente, la vera gioia che lo porta ad esultare già su questa terra (Mt 5,12). Come non ricordare, in proposito, la celebre pagina dei Fioretti in cui Francesco d'Assisi comunica, con parole sue, il luogo e la causa di questa indicibile gioia? "Venendo una volta san Francesco da Perugia a Santa Maria degli Angeli con frate Leone a tempo di inverno, e il freddo grandissimo fortemente il crucciava, chiamò frate Leone, il quale andava innanzi, e disse così: frate Leone, avvegnadioché li frati minori in ogni terra dieno grande esemplo di santitade e di buona edificazione, nientedimeno iscrivi e nota diligentemente che non è quivi perfetta letizia. E andando san Francesco più oltre, il chiamò la seconda volta: frate Leone, benché 'l frate minore allumini i ciechi, e distenda gli attratti, iscacci le demonia, renda l'udire alli sordi e l'andare alli zoppi, il parlare alli mutoli, e ch'è, maggiore cosa, risusciti li morti di quattro dì, scrivi che in ciò non è perfetta letizia. E andando ancora un poco avanti, gridò forte: o frate Leone, se 'l frate minore sapesse tutte le lingue e tutte le scienze e tutte le Scritture, sicché sapesse profetare e rivelare non solamente le cose future, ma eziandio li segreti delle coscienze e degli animi; scrivi, che non è in ciò perfetta letizia. Andando un poco più oltre, san Francesco chiamò ancora forte: o frate Leone, pecorella di Dio, benché il frate minore parli con lingua d'angelo, e sappia i corsi delle stelle e le virtù delle erbe; e fossonli rivelati tutti li tesori della terra, e cognoscesse le virtù degli uccelli, e de' pesci, e di tutti gli animali, e degli uomini, e degli alberi, e delle pietre, e delle radici, e dell'acque, iscrivi, che non è in ciò perfetta letizia. E andando ancora un pezzo, san Francesco chiamò forte: frate Leone, benché il frate minore sapesse sì bene predicare che convertisse tutti gl'infedeli alla fede di Cristo; scrivi che non è ivi perfetta letizia. E durando questo modo di parlare bene di due miglia, frate Leone, con grande ammirazione il domandò e disse: padre, io ti priego dalla parte di Dio che tu mi dica, dove è perfetta letizia. E san Francesco sì gli rispose: quando noi saremo a Santa Maria degli angeli, così bagnati per la piova e agghiacciati per lo freddo, e infangati di loto, e afflitti di fame, e picchieremo la porta dello luogo; e 'l portinaio verrà adirato, e dirà: Chi siete voi? e noi diremo: Noi siamo due de' vostri frati, e colui dirà: Voi non dite vero; anzi siete due ribaldi, che andate ingannando il mondo e rubando le limosine de' poveri; andate via: e non ci aprirà, e faracci istare di fuori alla neve e all'acqua col freddo e colla fame, insino alla notte, allora se noi tanta ingiuria, e tanta crudeltate, e tanti commiati sosterremo pazientemente senza turbarcene e senza mormorare di lui; e penseremo umilmente e caritativamente che quello portinaio veramente ci cognosca, e che Iddio il fa parlare contra a noi; frate Leone, iscrivi, che qui è perfetta letizia. E se noi perseveriamo picchiando, ed egli uscirà fuori turbato, e come gaglioffi importuni ci caccerà con villanie e con gotate dicendo: partitevi quinci, ladroncelli vilissimi, andate allo spedale, che qui non mangerete voi, né albergherete; se noi questo sosterremo pazientemente e con allegrezza e con amore; frate Leone, scrivi che qui è perfetta letizia. E se noi pur costretti dalla fame, e dal freddo, e dalla notte, più picchieremo, e pregheremo per l'amore di Dio con grande pianto che ci apra e mettaci pure dentro; e quelli più scandolezzato dirà: costoro sono gaglioffi importuni; io gli pagherò bene come sono degni: e uscirà fuori con uno bastone nocchieruto, e piglieracci per lo cappuccio, e gitteracci in terra, e involgeracci nella neve, e batteracci a nodo a nodo con quello bastone: se noi tutte queste cose sosterremo pazientemente e con allegrezza, pensando le pene di Cristo benedetto, le quali dobbiamo sostenere per suo amore; o frate Lione, iscrivi che qui e in questo è perfetta letizia; e però odi la conclusione, frate Leone. Sopra tutte le grazie e i doni dello Spirito Santo, le quali Cristo concede agli amici suoi, si è di vincere sè medesimo, e volentieri per lo amore di Cristo sostenere pene, ingiurie ed obbrobrii e disagi; imperocché in tutti gli altri doni di Dio noi non ci possiamo gloriare, perocché non sono nostri, ma di Dio; onde dice l'Apostolo: Che hai tu, che tu non abbi da Dio? e se tu l'hai avuto da lui, perché te ne glorii come se tu l'avessi da te? Ma nella croce della tribolazione e della afflizione ci possiamo gloriare, perocché questo è nostro; e perciò dice l'Apostolo: io non mi voglio gloriare, se non nella croce di nostro Signore Gesù Cristo." Nella seconda lettura S. Giovanni ci assicura che il dono di questa santità di vita, cioè la possibilità di vivere le Beatitudini evangeliche, ci è stato già fatto. Nel battesimo siamo già stati fatti figli di Dio, e lo siamo realmente! (1Gv 3,1). Abbiamo ricevuto il seme della vita divina che è la sua santità. Il motivo di questa realtà è semplice ed unico: il suo grande amore. Quel grande amore che il Signore ci ha rivelato sulla Croce. Tutto quello che Lui fa per noi è sempre amore. Dio non sa fare altro. La vita del credente allora non è null'altro che la continua scoperta di cosa Lui ha fatto, fa e farà ancora per noi: fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato (1Gv 3,2). Tutto sarà sempre più chiaro, anche cosa sia la santità donataci, soprattutto dopo la grande tribolazione, la nostra morte, se cercheremo di vivere secondo quella fede che abbiamo ricevuto e se cercheremo di imbroccare e percorrere il tracciato delle Beatitudini segnato dal Signore. TANTI AUGURI A TUTTI! BUONA FESTA DI OGNISSANTI! |