Omelia (08-11-2015)
Michele Antonio Corona


In questa domenica incontriamo nella prima lettura e nel vangelo due donne vedove e povere che sono destinatarie di una grande parola di elogio.

Nella prima lettura Elia chiede generosità di pane in cambio di vita, nel vangelo Gesù la addita come modello del vero discepolo. Tuttavia la pagina di Marco sembra apparentemente una giustapposizione di due parti conseguenti: l'accusa agli scribi e l'elogio alla vedova. Esse sono, in verità, collegate da alcuni elementi testuali e semantici. In primo luogo il richiamo alle vedove: nella prima parte, oggetto della scarnificazione degli scribi, nella seconda con il modello di questa donatrice. In seconda istanza, il verbo "guardare/osservare". La pericope inizia con "guardatevi", cioè state attenti, abbiate cura nel, preoccupatevi di, evitate... la preoccupazione del Maestro è evidenziare non tanto l'atteggiamento dei farisei, ma di coloro che in ogni tempo fanno della propria fede una prassi farisaica. Anche oggi spesso si può vivere la fede con i presupposti tipici di una religiosità "intruppata" da spirito di cameratismo e appartenenza, priva di qualsiasi fiducia. Ciò che Gesù denuncia della pratica religiosa degli scribi (spesso appartenenti al partito politico-religioso afferente ai farisei) era il modo concreto di testimoniare la propria osservanza e rettitudine. Il Maestro di Nazareth aborrisce l'ostentazione fine a se stessa, utile solo a differenziarsi, a esporsi nella vetrina della bravura e dell'unicità.

Sentire queste parole di Gesù fa pensare alle tante pratiche esteriori che spesso fanno trasparire un'evidente distanza del cuore da ciò che si mostra. Senza citare casi troppo blasonati di processioni che si fermano davanti a casa del boss, mi pare possa bastare la minima allusione alle ostentazioni di rosari da centinaia di euro, o ad abiti processionali che attirano l'attenzione più del mistero che accompagnano, o ad atteggiamenti di spiritualità troppo marcati in rapporto alla discrezione avuta da Gesù nel suo rapporto filiale con il Padre. Da questo pericolo non sono liberi neppure coloro che giudicano gli altri per l'esteriorità e si scandalizzano, giudicando, ciò che si è scritto.

Gesù osservava coloro che passavano davanti alle tredici ceste presenti nel cortile del tempio, dentro cui si gettava l'offerta. Ci saranno stati dei ricchi che gettavano con orgoglio e autoapprovazione delle laute offerte, evitando di spogliarsi di ciò che era necessario: davano il superfluo, cioè il "di più". Ma, certamente, ci saranno stati anche poveri o medio borghesi, che si saranno conformati alla mentalità ostentando la lauta offerta, poco adeguata al loro tenore di vita. Quanti, ancora oggi, provano a scimmiottare i più ricchi nei beni esteriori, per poi vivere una vita di continui debiti e rate da pagare?

Il testo greco dice che la vedova elogiata da Gesù "mise nel tesoro tutta la propria vita". È una donna che non teme di mostrare di essere povera, non si trincera dietro l'illusione del benessere o dello sfarzo. Gesù la loda per la sua autenticità, generosità verace, solidità personale. È una donna, vedova, che non teme il domani, né ha paura delle angustie della vita perché "ha gettato nel Signore il suo affanno".

Francesco d'Assisi non aveva paura della ricchezza, ma dell'attaccamento spasmodico alle ricchezze, anche quando queste sono rappresentate dal solo saio o breviario. Nelle parrocchie spesso se uno ci ruba il nostro solito posto ci adiriamo a dismisura. "Là dove è il tuo tesoro, là è il tuo cuore!". Questa donna aveva capito che il tesoro è Dio, perciò tutto ciò che aveva era niente. Siamo agli antipodi del ricco che va via triste quando Gesù gli chiede di vendere tutto e darlo ai poveri.

È necessario sottolineare un'ulteriore annotazione: la denuncia del comportamento degli scribi - da fugare - è rivolta alla "folla numerosa che lo ascoltava volentieri", mentre l'elogio della vedova è indirizzato ai discepoli. Attenzione a noi di non cadere nella tentazione del solo giudizio verso chi consideriamo scribi, sentendoci fuori da quel monito. Solo chi entra nell'ottica del Maestro riesce ad avere uno sguardo autentico, che sa vedere nel gesto piccolo, nascosto e discreto il Regno di Dio.