Omelia (01-11-2015)
don Maurizio Prandi
La giusta direzione

Non è banale, credo, cominciare proprio da dove domenica siamo in un certo senso arrivati... cominciare da quel desiderio che Bartimeo aveva di poter vedere. Dico questo perché il verbo vedere è fondamentale nella liturgia di oggi. Nella prima lettura: vidi un angelo... vidi una moltitudine immensa...; nella seconda lettura: saremo simili a lui perché lo vedremo così come egli è...; nel vangelo: Gesù, vedendo le folle, salì sul monte...


Chiedendo allora proprio come Bartimeo di poter vedere ci accostiamo alla Parola di Dio partendo, e perdonerete la ripetizione, da quanto il nostro vescovo Alberto ha proposto durante il ritiro ai preti della Diocesi dieci giorni fa. Proprio perché è necessario saper vedere, come chiesa, come preti, non possiamo sentirci giudici, ma servitori della salvezza... dico questo perché ogni anno, il testo del libro dell'Apocalisse ci interpella con l'immagine splendida di quella moltitudine immensa che nessuno poteva contare... la salvezza è moltitudine ma la salvezza è anche sapere che non è compito nostro contare o stabilire i criteri per poter entrare o stare fuori (d'altronde abbiamo appena ascoltato che la salvezza appartiene a Dio...). Una delle mie condanne ad esempio, (me lo faceva notare una persona amica), è proprio quella del contare, nel senso che rischio di perdere la bellezza e il valore di un incontro perché magari mi perdo a contare chi non è venuto. Questa presunzione di contare, questa volontà di contare... scrive don Angelo Casati ricordando la domanda che veniva fatta a Gesù: "sono pochi quelli che si salvano?". Sono pochi i veri credenti, sono pochi gli onesti, sono pochi i praticanti; il valore di alcune cose non dipende dal numero: cose più semplici magari, come il senso e l'importanza di un incontro, o più sorprendenti, come l'ampiezza del cuore di Dio. L'ampiezza del cuore di Dio ce lo dicono i 144.00, che sappiamo essere un numero simbolico che indica semplicemente la totalità (12 tribù di Israele x 12 apostoli x 1000 che è il numero della totalità massima agli occhi di Dio), l'ampiezza del cuore di Dio ce la dice il sigillo con il quale ognuno a questo punto viene segnato: qualcosa che sappiamo serve per chiudere e custodire qui invece apre all'incontro e il sigillo è dato a ciascuno, ogni vita è meravigliosa, ognuno, come dicevo domenica scorsa, di fronte a Dio ha un nome e un cognome, ognuno, di fronte a Dio, è qualcuno. Che bello: qui si specifica la preziosità di ognuno, pochi versetti dopo c'è la moltitudine, l'immensità! Non solo il sigillo allora, ma anche questa moltitudine immensa ci dice l'ampiezza del cuore di Dio, quello si che non si può misurare fortunatamente!
Quante immagini significative ci presenta la prima lettura: lo stare in piedi dice la partecipazione ad un processo (il linguaggio di Giovanni qui è giuridico) ed il giudice è l'Agnello seduto sul trono. Tutto è carico di misericordia, perché sappiamo bene che il trono è la Croce e l'Agnello è Gesù; come posso aver paura di un giudice crocifisso, come posso aver paura di un giudice ferito, come posso aver paura di un giudice che è morto per me? E poi mi colpisce molto quel davanti, di fronte, è un richiamo, almeno per me al giorno della creazione dell'uomo e della donna, quando Dio disse: voglio fargli un aiuto che gli stia di fronte.
Davanti alla Croce contemplo lo sposo, cioè contemplo chi è capace di dare la sua vita per me, come l'uomo e la donna che per tutta la vita stanno l'uno di fronte all'altra specchiandosi nell'amore reciproco posso provare, senza tremare di paura a specchiarmi in Lui per verificare la mia vita e di fronte al suo dono, con onestà, chiedermi se sono stato capace almeno di sporcarmi un poco le mani.


Ancora due elementi che mi paiono importanti e che traggo dalla riflessione fatta dalle famiglie della Visitazione: la "folla grande" di oggi è universale: "ogni nazione, razza, popolo e lingua". Tale descrizione non indica solamente la partecipazione di tutta l'umanità alla storia della salvezza vissuta e profetizzata in direzione delle genti dai padri ebrei, ma, mi sembra, vuole sottolineare pure la "particolarità" di ogni nazione che entra nel dono di Dio. Dunque, c'è una salvezza che unifica tutto il genere umano, ma che non annulla le particolarità e le diversità, perché come dicevo prima ogni vita è meravigliosa. Mi piace molto la proposta che il libro dell'Apocalisse fa regalandoci questa visione di una umanità unita intorno a Dio e all'Agnello e che propone un grande incontro tra molti e diversi.


Leggo quanto gli ultimi versetti della prima lettura dicono a proposito della grande tribolazione al salmo responsoriale e al vangelo che nella solennità di oggi viene proclamato dalla chiesa: non viene sottolineato qui il fatto che nonostante una vita sporcata dal peccato Dio ci accoglie comunque; non si tratta di una vita sporcata, imbrattata, si tratta di una vita lavata, immersa quotidianamente nella sequela di Gesù. Questo ci dice la prima lettura, questo riprende il salmo che, parlandoci di mani e di cuore, ci parla di una vita segnata da un agire onesto e da una coscienza limpida, trasparente. Quando celebro un battesimo, arrivato al momento delle litanie dei santi, sottolineo proprio questo: la quotidianità chiediamo, durante la celebrazione, l'aiuto dei santi, persone che hanno vissuto pienamente il loro battesimo, la loro immersione mettendo al centro Dio e chi Dio ce lo ha rivelato pienamente: Gesù.


Non è casuale allora che ancora una volta attraverso la seconda lettura ci venga ricordata l'importanza della nostra condizione e del nostro nome: figli (!) e del nome di Dio: Padre (!). Carissimi dice il testo, cioè amati e visto che non si può amare in generale ritorna qui il rapporto personale che Dio desidera avere con ognuno di noi, perché, e ripeto quanto affermato prima: ogni vita è meravigliosa! E poi aggiunge: vedete che è un invito forte a renderci conto del dono che Dio ci fa in questa relazione personale.


Per quello che riguarda il vangelo mi limito ad un accenno partendo ancora una volta dal verbo vedere e legandolo ad un momento di preghiera vissuto insieme ad alcune persone. Ascoltando proprio il brano di vangelo delle Beatitudini, qualcuno ha condiviso questo pensiero: questo brano di Vangelo mi commuove sempre. Pensavo allora questa cosa, che personalmente mi piace: forse queste parole che Gesù ha voluto dare ai suoi discepoli, vengono proprio dalla commozione che Gesù prova vedendo le folle. Per questo ha chiesto ai discepoli di andare con lui sul monte: voleva avere un momento solo con loro per dirgli che aveva visto, in quella folla, poveri in Spirito, ovvero persone così abbandonate da poter contare solamente su Dio e sul suo sostegno; ma aveva visto anche uomini e donne nel pianto, capaci cioè di provare dei sentimenti, capaci di amare; aveva visto persone capaci di farsi carico delle miserie degli altri, o tanto semplici da essere trasparenza di un cuore limpido, altre sommamente miti, ovvero salde nei loro principi ed ideali (seminano serenità, amano e pregano per i propri nemici, testimoniano il vangelo senza fare crociate ma dialogando e cercando un incontro) e incapaci di qualsiasi gesto di violenza o di prevaricazione.


Ha detto ai suoi discepoli che queste persone sono beate... e proprio in questi giorni leggevo in Servizio della Parola qualcosa di affascinante e che bene si inserisce nel cammino che stiamo facendo: beato è colui che marcia nella giusta direzione. Che bello allora per la nostra chiesa, per le nostre comunità potersi dire beate perché camminano nella giusta direzione, poter stare a fianco e fare lo stesso cammino di chi è povero in spirito, di chi piange, di chi è misericordioso, di chi è mite, puro, opera la pace, è perseguitato.