Oggi ci viene presentata con la parola di Dio, una grande tela, su cui vengono impresse due icone, che hanno come soggetto due vedove: il Vangelo, e la prima lettura. La lettera agli Ebrei, ci indica il modello della donazione totale in Cristo, che dà la vita per la salvezza. Un modello di sacerdozio che ci viene indicato come differente rispetto, a quello dell'Antico Testamento. L a differenza sta nel fatto che Gesù si offre come vittima senza colpa, mentre i sacerdoti del tempo, propiziavano a Dio, degli agnelli per il perdono dei peccati della comunità. Dio stesso ci viene raffigurato in questa opera come un Dio che si offre totalmente. La sua morte, è collegata con suo ritorno alla fine dei tempi, in cui verrà il giudizio. Questa è una verità di fede, che occorre rispolverare, e che verrà ripresa con l'inizio dell'Avvento, dove non solo ci prepariamo a ricordare la nascita di Gesù, ma l'attesa della seconda venuta. Il vangelo e la parola di Dio, presentandoci queste due vedove, ci fanno volgere lo sguardo, sulla fede dei piccoli. La vedova del Vangelo mette una piccolissima offerta, secondo la nostra visione, nella bussola del tempo ed in valore assoluto insignificante. Il Signore scruta le profondità dell'uomo. Sa della grandezza dell'offerta, perché quella vedova ha dato, tutto ciò che aveva. Questa immagine, fa da stridore con quella presentata all'inizio, e denunciata da Gesù. È quella dei farisei, che vivono alla lettera, la legge, sfruttando le vedove che venivano sposate, dai fratelli dei mariti, solo per garantire la discendenza. Gesù ancora una volta, coglie l'occasione per invitarli ad una conversione del cuore e non, ad una legge che rischia di diventare fine a se stessa. Ogni volta che Gesù rimprovera i farisei, dovrebbe stimolarci a domandare: "come viviamo la nostra fede, impregnata di legalismo oppure aperta all'amore disinteressato"?. Una fede formale o una fede ricca, gioiosa?. Chissà la spocchiosità con cui hanno visto la donna nel compiere quel gesto, che invece avrebbe dovuto interrogarli. Questo è un interrogativo, che ci pone anche la vedova di Zarepta di Sidone, nei confronti di Elia. Elia, offre la poca farina per fare la focaccia, e questo gesto viene ripagato dal Signore stesso. È la dolcezza della carità che dona, al donatore. Queste due donne, ci pongono degli interrogativi profondi. Noi al Signore che ha dato tutto per noi, siamo in grado di donargli non solo il nostro superfluo?
È un lento e graduale cammino, ma che il cristiano deve intraprendere. Questi due brani, mi fanno incalzare una considerazione che sottopongo alla vostra attenzione e di cui mi sono sempre più convinto. Oggi si constata uan grande solidarietà. Avviene un "terremoto", e grazie a DIO, molti si mobilitano con l'invio del denaro. Sicuramene credo che la solidarietà c'è, anche se poi occorre fare attenzione su come farla, non dando denaro a chi nelle nostre strade continua a questurare, magari sfruttando, un organizzazione più grande, che disloca in vari punti gli sfortunati. Non è quella la carità, anzi è avvallare, una situazione di sfruttamento.
C'è un problema da affrontare, su una difficoltà che il mondo vive ad oggi. Il volontariato, che richiede l'utilizzo di quel tempo. Mi riferisco a quello superfluo e c'è ne, non viene messo a disposizione in maniera sufficiente da molti battezzati per realtà di servizio ecclesiale e caritativo. Occorre pensare a quanto volontariato gira nel mondo delle parrocchie, o degli istituti. A me colpisce con questi esempi di donazione totale, ci vengono offerti da due donne. Il mondo del servizio è essenzialmente femminile. è una realtà che si può constatare in modo concreto.
Sono tanti i volti femminili che mi vengono alla mente di attenzione e cura al Molinari (nella mia parrocchia di ARONA), al Cottolengo, nelle diverse case guanelliane, ma anche nel mondo della parrocchia. Penso al catechismo, alla biblioteca parrocchiale, alla segreteria.
Quante occasioni si rischia di perdere, troppo chiusi intorno al proprio mondo, sperando che siano sempre gli altri a fare e noi non ci mettiamo in gioco.
Quanto è necessario recuperare la gratuità del tempo per mettersi a servizio dei fratelli, della chiesa, del popolo di Dio. Quello che Gesù ci dice è di aprire sempre di più il cuore, vivendo la nostra fede non come una serie di obbligazioni, ma come un amore intenso .
Più di 50 anni fa durante il giro d'Italia, un giovane vinse la gara delle Dolomiti, giungendo in un paese per primo. I giornalisti, si avvicinarono per intervistarlo, e con umiltà sorprendente, affermò questo ciclista di essere stato spinto ad arrivare primo, perché in quel paese vi era la sua mamma. Ecco in questo episodio l'impegno che bisogna mettere nei confronti del Signore se viviamo con intensità questo amore, riusciamo a spingerci oltre le nostre piccolezze e le nostre chiusure di cuore, ma tutto lo riusciamo a donare oltre misura. Non spaventiamoci se non riusciamo e magari sorgono in noi delle reticenze. Noi in fondo rispetto al Signore, offriamo sempre poco. È lui che fa lo sforzo maggiore, è lui che si china sulle nostre fragilità, ci carica sulla spalle e ci conduce. Noi abbiamo il compito di vivere la nostra fede con più slanci.
Concludo con un icona finale offerta da San Callisto, nelle catacombe, dove viene rappresentato il buon pastore, che carica sulle spalle la pecora. Gesù carica sulle spalle l'agnello ed è lui che fa lo sforzo. l'agnello ci offre un esempio molto bello, il cercare con lo sguardo il pastore. Ecco quello che dobbiamo fare noi. cercare con lo sguardo Gesù. Questa icona ci dice come deve essere la nostra fede, un continuo sforzo di cercare il volto del Signore. A noi è chiesto di aprire il nostro cuore. Lui fa lo stesso.
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