Omelia (08-11-2015) |
don Alberto Brignoli |
Che non ci manchino mai i poveri La lettura continuata del Vangelo di Marco che ci ha accompagnato lungo questo anno liturgico volge al termine. Nelle prossime due domeniche - la seconda delle quali, quella di Cristo Re, vedrà la lettura del Vangelo di Giovanni - non ci sarà più, infatti, continuità con i Vangeli letti sinora, proprio per lasciare spazio a tematiche cosiddette "escatologiche", legate ai tempi ultimi. E allora, come si congeda Marco da noi? Con una tematica molto forte (vicina a quanto stiamo leggendo nel Vangelo di Luca dei giorni feriali) e che, per una strana ma interessante coincidenza, risulta essere di grandissima attualità, considerate le notizie ascoltate in questi giorni. Mi riferisco alla questione dei "poteri forti" nell'ambito dell'autorità religiosa, in particolare di quel potere forte al quale tutti quanti, chi più chi meno, corriamo il rischio di inchinarci come se si trattasse di una divinità, vale a dire, il Dio Denaro: e quando l'adorazione del Dio Denaro è fatta da parte di chi dice di professare la propria fede nel Dio di Gesù Cristo, inevitabilmente si commette il peggiore dei peccati che un credente possa commettere, ovvero l'idolatria. Il Dio rivelatosi a Mosè e al popolo d'Israele sul Sinai è un Dio geloso, un Dio che non ammette essere venerato e adorato alla pari di altre divinità, perché egli è unico e non è possibile avere altro Dio al di fuori di lui. Quanta rabbia e quanto dolore deve aver provato Gesù nel vedere che i discendenti del popolo dell'Esodo, i suoi fratelli di sangue e di religione, avevano dimenticato questo precetto, così come era avvenuto per l'episodio del vitello d'oro del Sinai; ma ciò che faceva più male era constatare che chi maggiormente aveva dimenticato questo precetto, inducendo il popolo a fare altrettanto, erano proprio coloro che invece avrebbero dovuto maggiormente salvaguardare la genuinità della fede, ovvero gli scribi, i teologi del giudaismo, coloro che erano ritenuti depositari e trasmettitori delle verità rivelate nella Legge. E, come se non bastasse, questa idolatria del Dio Denaro trovava il suo altare privilegiato nel luogo...più caro al Dio d'Israele: il Tempio. Il Tempio di Gerusalemme era divenuto, con l'accondiscendenza e la benedizione degli scribi, non solo il luogo della presenza di Dio in mezzo al suo popolo, ma il luogo degli affari, del commercio, delle negoziazioni più o meno lecite, dove addirittura era possibile emettere giuramenti vincolanti basandosi, più che sulla Parola di Dio, sul tesoro che nel Tempio era custodito. Un bel colpetto a questa commercializzazione del sacro, Gesù l'aveva dato poco prima, con la cacciata dei mercanti dal tempio. Ora, poco prima di uscire definitivamente dal tempio prima della sua morte, vuole gettare un giudizio severo sul tesoro, divenuto una sorta di "altare dell'idolatria", utilizzato dai ricchi per "sacrificarvi" i poveri, ostentando la propria potenza. E lo fa "nel suo insegnamento", ossia annunciando una nuova dottrina alla quale vuole che i suoi discepoli si attengano. Questa dottrina non è certo quella degli scribi, che anche qualora insegnassero cose buone ai loro discepoli, con i loro comportamenti cancellano e smentiscono i loro insegnamenti. Puntano, infatti, più alla forma che alla sostanza: e soprattutto, non perdono occasione per rimarcare la loro autorità, per "vivere da faraoni", per usare una pittoresca ma efficacissima immagine di papa Francesco di questi giorni. E allora, indossano lunghe e preziose vesti (forse anche per nascondere il vuoto che hanno dentro), fanno in modo di venire salutati con riverenza, si siedono sulla cattedra ogni volta che entrano in una sinagoga, e per non farsi mancare proprio nulla, ai banchetti si siedono vicino ai padroni di casa in modo da essere serviti per primi e meglio degli altri. Ma gli ultimi due atteggiamenti denunciati da Gesù, sono decisamente i peggiori, perché con essi si prendono gioco di Dio: pregano in modo totalmente falso (solo per farsi vedere) e "divorano le case delle vedove", ovvero adocchiano le persone più deboli e indifese per impossessarsi dei loro risparmi. E questo, usando il nome di Dio, perché il tesoro del tempio da cui attingono e nel quale costringono le vedove a gettare i loro poveri risparmi, in realtà era destinato esattamente a sostenere gli orfani e le vedove, che così facendo diventano non più beneficiari del tesoro del tempio, ma poveri e desolati benefattori! In nome di Dio, sì: in nome del Dio Denaro! La povera vedova del Vangelo, in realtà, è citata da Gesù non come esempio da imitare, ma come vittima santa, come martire di questo sopruso, di questo divoramento degli scribi nei suoi confronti. Non le è rimasto più nulla da vivere, perché invece di usufruire del tesoro del tempio, è caldamente invitata a mettervi quel nulla che le è rimasto. E lei, che potrebbe a ragione ribellarsi a questo sistema, continua a gettare nel tesoro il nulla che ha perché continua, nella fede, a coltivare la convinzione che quel nulla servirà a un'altra vedova come lei per sopravvivere. Sì, i poveri sono proprio così: non hanno nulla, e anche quel nulla lo condividono, perché hanno fiducia in una Provvidenza che non farà mai mancare loro il necessario, come è avvenuto per la povera vedova di Sarepta salvata dall'intervento di Elia. I ricchi, invece, nella Divina Provvidenza non credono, in fondo perché non ne hanno bisogno, perché possono usare dei loro soldi come vogliono. Facciano come credono, ci verrebbe da dire. Ma qui stiamo parlando di autorità religiose attaccate al potere e al denaro, e allora non possono fare come vogliono, perché hanno una responsabilità di fronte a Dio e di fronte ai fratelli, dei quali non devono servirsi, ma che piuttosto dovrebbero servire... Ci verrebbe da dire che la storia si ripete, nei suoi corsi e ricorsi, perché nulla è più attuale di quanto stiamo ascoltando. Forse noi nel nostro piccolo non possiamo fare molto, perché c'entriamo poco con tutti questi giochi occulti di potere. Ma una cosa, la possiamo fare: chiediamo a Dio che non ci manchino mai i poveri, perché da loro impariamo a vivere. E magari anche a credere. |