Omelia (15-11-2015)
padre Gian Franco Scarpitta
Il futuro e il nostro "frattempo"

Con i piedi per terra e con gli occhi al cielo. Questa è in sintesi la pedagogia di vita che ci viene trasmessa dalle Letture di questa Domenica, nelle quali riscontriamo un'esortazione all'attesa e alla speranza, poiché la storia presente è destinata ad avere un epilogo e l'uomo intratterrà negli ultimi tempi un incontro con il suo Creatore così come lo ebbe alle origini, quando Dio gli affidava il cosmo e la realtà presente. Come vi è stata una creazione, nella quale l'uomo è stato collocato al centro, così vi sarà una "nuova creazione", un termine della storia presente per un ordine nuovo della cose, nel quale l'uomo sarà ancora collocato al centro. Questa volta però l'incontro non avverrà per l'affidamento, ma per il giudizio. Si parla infatti della fine dei nostri tempi, del culmine della storia e della conclusione universale del presente, in una parola del Giudizio Universale. Cosa avverrà esattamente al termine della storia presente? Le pagine bibliche di oggi descrivono allusioni simboliche tipiche del linguaggio apocalittico, che si servono di immagini e di figure per tratteggiare una realtà sovrumana alquanto terribile, ma ciò di cui possiamo essere certi è che avverrà un incontro finale fra Dio e l'umanità, la realizzazione di un appuntamento che ci è stato dato nel presente e che avrà compimento nel futuro. Come dice Paolo, Cristo ormai risorto che vive per sempre verrà a giudicare i vivi e i morti e realizzerà definitivamente la giustizia di Dio (2 Tm 4, 1; Rm 2, 5). Il nuovo Testamento, sulla scia di Daniele (I Lettura) parla anche di resurrezione degli uomini, chi per il premio eterno, chi per la condanna definitiva: nel suo Figlio, che tornerà glorioso e imperante, Dio giudicherà i vivi e i morti e ciascuno raccoglierà secondo la vita che avrà condotto su questa terra. Vi saranno fra gli uomini coloro che avranno perseverato nel bene e saranno salvati definitivamente regnando per sempre con Cristo; altri che avranno preferito il male al bene nell'ostinazione al peccato e alla malvagità, precipiteranno nell'abisso della condanna eterna. Non tuttavia perché Dio vorrà vendicarsi o esternare ira ritorsiva, ma perché essi stessi avranno scelto la loro fine per mezzo di una condotta empia. Il giorno della resa dei conti sarà quindi risolutivo dell'incontro personale di ciascuno con Dio, ma anche della relazione di ciascuno con se stesso perché sarà parametro di misura della responsabilità personale di ogni singolo soggetto umano. Nel giudizio non troveremo un Dio vendicativo o giustiziere quale potremmo immaginare un sovrano assiso sul trono che punta l'indice contro, ma un Dio che semplicemente svelerà la vera realtà di noi stessi, la deliberazione decisionale e l'affermata volontà di ciascuno. Le nostre decisioni personali ci saranno rivelate e assieme ad esse la qualità della vita che avremo vissuto al presente. Il parole povere, così come avremo vissuto il presente troveremo il giudizio finale. Nella misura in cui avremo perseverato nel bene, troveremo il vero Bene per noi; nella modo in cui eventualmente avremo optato per il male saremo condannati al Male. Nella misura in cui, nella fede, avremo saputo incontrare Dio nella nostra vita presente, così lo troveremo al momento finale, quando si realizzerà l'incontro. La speranza della vita presente ci esorta dunque a perseverare nella certezza che alla fine la giustizia trionferà e inabiterà per sempre nel mondo, perché sarà lo stesso Giusto Giudice a redarguire la nostra fedeltà. La realtà del Giudizio Universale non può non essere per noi di sprone e di incoraggiamento nella consapevolezza di un futuro proporzionato al nostro presente nel quale tuttavia raggiungeremo ciò che adesso è solo in divenire. "Adesso noi vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; allora vedremo faccia a faccia" (1Cor 13, 12) e comprenderemo davvero tutto, avremo la prova di ciò che adesso non possiamo fare esperienza sensoriale. La nostra vita attuale è un "frattempo", una dimensione del provvisorio nel quale si esercita la virtù in attesa del compimento della speranza, un progredire della vita per andare incontro alla Vita per sempre.
Diceva Giovanni Paolo II: "Sappiamo che in questa fase terrena tutto è sotto il segno del limite, tuttavia il pensiero delle realtà "ultime" ci aiuta a vivere bene le realtà "penultime". Siamo consapevoli che mentre camminiamo in questo mondo siamo chiamati a cercare "le cose di lassù dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio"(Col 3, 11) per essere così con lui nel compimento escatologico, quando egli riconcilierà totalmente con il Padre "le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli" (Col 1, 20)" La certezza del domani non deve tradursi nella fuga dal presente o nel deprezzamento del mondo di adesso in vista di un rifugio futuro; non è la vile alienazione dalla realtà attuale per l'ansia di un paradiso nel quale buttarci a capofitto dopo essere usciti da una prigione alienante. Se così fosse avremmo travisato l'amore di Cristo per questo mondo e il suo reale messaggio. Piuttosto il futuro deve farci vivere il presente con intensità, fiducia e ottimismo peché appunto nell'oggi va incontrato il Dio dell'incontro definitivo. E' nella dimensione attuale che siamo chiamati a entrare in comunione con il Signore futuro che nella fede presenzia nel nostro frattempo, ma ciò sarebbe impossibile e melense se interpretassimo la vita presente come una condanna nella quale sospirare.
Come suggerisce per inciso Lino Pedron, occorre piuttosto adesso "accontentarsi degli specchi" e della realtà opaca che tuttavia non ci impedisce di riscontrare la presenza di Dio nella nostra vita. Nel presente percepiamo che Dio è amore e misericordia nonostante la realtà e il mondo tendano a sconfessarlo come tale; che Dio è luce nonostante il mondo preferisca persistere nelle tenebre; che Dio è onnipotente in tutto nonostante l'uomo preferisca un Dio impotente nelle sue azioni peccaminose. La vita attuale è un preambolo dell'incontro futuro con Cristo giudice risorto se sappiamo riconoscere, nella confusione di questo specchio, lo stesso Giudice che ci approva e non ci condanna, il giudice che perdona e che riconcilia con il Padre poiché "Dio non ha mandato il suo Figlio a condannare il mondo, ma perché il mondo si salvi attraverso di lui" (Gv 3, 17).
In questo "frattempo" la fede ci schiude alla speranza e ci consolida nella comunione con il
Dio invisibile che si realizza nell'uomo visibile (1Gv) attraverso la carità e ci rasserena che non è mai vano il nostro prodigarci attuale per il bene, in quanto il futuro si costruisce con i mattoni del presente.