Omelia (08-11-2015) |
don Luca Garbinetto |
Dare tutto, sotto lo sguardo di Gesù Gesù ci propone come modello di discepola una povera vedova, che depone timidamente due spiccioli nel tesoro del tempio. Perché? Mi sembra che siano in ballo due questioni fondamentali, per identificare chi sia il discepolo. La prima è la questione dell'offerta: che cosa sono disposto a dare? Il secondo è l'assunto della visibilità: da chi e perché desidero essere visto? Prima di tutto, il dare. O meglio il darsi. Gesù propone la vedova ai suoi come modello, confrontandola con la schiera di fedeli ossequiosi che passano davanti al tesoro e fanno scivolare dentro monete più o meno grosse di discreto valore. Lei, invece, lascia appena due spiccioli. Ma è tutto ciò che ha. Questa è la novità, questa è la realtà che commuove lo stesso Gesù. O meglio: la vedova deposita tutto ciò che è, perché senza monete non può nemmeno mangiare, e quindi non può esistere più. Il discepolo, dunque, è colui che da tutto di sé, che dona tutto se stesso a Dio. Dio è Colui che abitava il tempio e veniva onorato dalle offerte nel tesoro; è Colui che - oggi lo sappiamo - vive in ogni fratello che incontriamo. Il discepolo è colui che dona tutto per il bene del fratello bisognoso. Anche nella sua povertà, il discepolo ha comunque se stesso da mettere a disposizione di Dio e dell'altro. C'è però il secondo elemento: la visibilità. Gesù vede la vedova perché egli si mette, di proposito, a osservare ciò che accade nel tempio. Se non si fosse seduto lì, paziente scrutatore della vita, non avrebbe colto l'importante dettaglio. E dopo avere visto la donna e il suo gesto, Gesù chiama i suoi e svela a loro il miracolo: non chiama la donna, che forse non avrà mai saputo di essere stata elogiata dal Figlio di Dio, se non nel loro incontro definitivo in Paradiso. La donna, dunque, rimane nel più totale anonimato, agli occhi degli uomini. La donna resta così come sempre aveva dovuto vivere: invisibile, nascosta. Poco prima, invece, Gesù se l'era presa duramente con gli scribi non tanto perché donavano poco, bensì perché si mettevano in mostra. Gesù sembra più irritato dall'esibizionismo che dall'avarizia. O forse si tratta di cogliere come la ricerca esagerata di visibilità agli occhi del mondo, strumentalizzando anche le leggi religiose, non sia in fondo un atto di profonda avarizia e di intima superbia. Se, infatti, come molti degli scribi, faccio le cose per essere visto - e sottolineo: per -, vuol dire che ho bisogno di essere visto per sapere che esisto, che sono qualcuno, che conto qualcosa. Non c'è niente di strano in questo, se almeno ne avessi coscienza. Il guaio è che se cerco direttamente questa visibilità, significa che non mi sento visto abbastanza, e che se non appaio sufficientemente presentabile agli occhi degli altri, sotto sotto ho paura di non esistere, di morire. Ecco allora che il naturale bisogno di contare per qualcuno prende il sopravvento, mi domina: insomma, non lo consegno a Gesù, lo trattengo per me. La paura di perdermi, di morire, mi fa stringere forte a me l'ansia di essere visto e notato, pensando che così aumenti la mia vita. E invece la vita si consuma inaridendosi. Perché si spegne appena gli occhi che mi guardano si distolgono da me. E questo è inevitabile, rischiando di immergermi in un circolo vizioso di sempre maggiore esibizionismo, per avere di nuovo la sensazione superficiale di esistere. L'alternativa è il nascondimento, in cui do tutto davvero: anche il mio bisogno di essere importante e notato da qualcuno. La vedova rimane nascosta. E in lei anche noi possiamo percepire che lì, in realtà, siamo già guardati, che la nostra vita consegnata è sotto lo sguardo attento e premuroso di qualcuno: Gesù. Non si tratta, allora, di disprezzare la ricerca di uno sguardo, di occhi da incrociare. Si tratta piuttosto di lasciar rasserenare il cuore dalla certezza che Qualcuno ha già posato il suo sguardo su di me, con quell'amore gratuito che mi da vita vera e mi fa esistere. E questi occhi sono fedeli, rimangono e liberano la mia lacerante paura di morire, assicurandomi la vita eterna. Sarà così assolutamente secondario se, agli occhi del mondo, mi toccherà comparire in prima fila o dovrò accontentarmi di restare appartato. La trepidazione di non esserci per nessuno sarà scardinata dai momenti in cui anch'io resterò seduto di fronte al mio Tesoro, quel Gesù che non si alza se non per venire ad abbracciare la mia povertà. E la cui voce diventerà l'unica necessità, per sapere se il mio posto per testimoniare il Vangelo della vita deve essere dietro le quinte o sopra il candelabro. |