Omelia (15-11-2015) |
Michele Antonio Corona |
La liturgia ci fa ascoltare delle pagine difficili della Scrittura: Dn 12 e Mc 13. Il genere letterario che le accomuna è quello detto "apocalittico". Non si tratta di profezie sulla fine del mondo, ma sulla constatazione credente della necessità della fine di un mondo. Questa sottolineatura è capitale per non interpretare le parole di Gesù come una previsione letterale della catastrofe finale. Oggi, sempre con maggiore insistenza, sembra essere questa la tendenza anche all'interno di alcune frange ecclesiali: tutto ciò che avviene è segno della fine dei tempi. Solo Dio sa quando "sarà quel giorno e quell'ora"; il credente, tuttavia, sa che l'ora decisiva per la propria vita è quella che sta vivendo. Gesù insegna ai suoi discepoli la capacità profetica di scorgere nel tempo presente la salvezza di Dio che giunge in un modo misterioso. Il linguaggio apocalittico preferisce iperboli, paradossi, elementi cosmici impressionanti (sole, stelle, e luna). Ma anche la menzione di guerre, angeli/soldati, scontri titanici tra il bene e il male sono nel tipico modo di esprimersi dell'apocalittica.La prima lettura, tratta da Daniele, ne è un ulteriore esempio. Il brano di Marco che leggiamo è inserito nell'articolazione dell'intero capitolo 13, in cui si avvertono tre parti: domanda dei discepoli sul dove e quando con risposta di Gesù sulla tribolazione (vv. 1-23), la venuta del Figlio dell'uomo (vv. 24-27) e informazioni e avvertimenti per i discepoli (28-37). Il vangelo liturgico comprende la seconda sezione e parte della terza. Interessante notare come Marco costruisca il discorso di Gesù a partire dalla richiesta dei discepoli: "Spiegaci quando avverranno queste cose e quale sarà il segno che tutto questo sta per accadere". Spesso il nostro atteggiamento è simile a quello: vogliamo conoscere precisamente ciò che accadrà, come comprendere il momento decisivo. Facendo così spostiamo in avanti e sempre più avanti il momento della conversione, dell'accoglienza del vangelo, dell'ascolto della Parola. Il Maestro vuole avvertirli/ci di fugare questa tentazione. Il racconto di Marco si apre con la capitale affermazione: "il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino! Convertitevi e credete al vangelo" (1,15). Questo è il lieto annuncio del vangelo, spiegato con le parole di Paolo: "la salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti". La salvezza è vicina a noi, ci è stata donata e ancora oggi è davanti a noi. Il Cristo salva l'uomo e lo ama, senza bisogno che si rimandi la decisione dell'accogliere la salvezza ad un indefinito domani. L'accento alla guerra, alla battaglia, alla lotta futura è il modo apocalittico di descrivere la situazione presente. Anche oggi proviamo il dolore e lo sconvolgimento interiore e sociale davanti alla lotta tra il desiderio di un mondo sereno e innervato d'amore e la triste constatazione di quanto siamo lontani da ciò. Quando il sole, che è sorto la mattina per illuminare e rendere chiari i passi dell'uomo, viene adombrato dalla violenza e dal sopruso, ci sembra di essere entrati in un buio esistenziale profondo. Lo scoraggiamento e la delusione per la tribolazione possono avere due soluzioni: affidarsi a Dio con fiducia da figli o disperarsi e aspettare che la salvezza sia portata da qualcun altro. Il richiamo di Gesù alla figura del figlio dell'Uomo (titolo che lui si attribuisce spesso, evitando accuratamente altri titoli regali) rivela il segno vero della salvezza. "Figlio dell'uomo" è l'uomo stesso, l'uomo per eccellenza, l'uomo chiamato a servire Dio e gli uomini. L'incarnazione e la risurrezione sono il momento della gloria del figlio dell'uomo, sono l'evento capitale da contemplare per vedere la salvezza. "Non passerà questa generazione prima che tutto avvenga". Ecco l'affermazione che ci conferma quanto quelle parole di Gesù sono per ogni credente nel suo oggi, nella propria situazione vitale. Credere al vangelo, che è Gesù nella sua parola e nella sua persona, richiede la necessità di evitare in qualsiasi modo allarmismi moralistici e spiritualoidi. "Imparate dalla pianta di fico" è l'avvertimento del Maestro per non cercare altrove la salvezza, ma nell'azione di Dio che si attua nella storia, anche quella più buia, tormentata, dolorante e ferita. |