Omelia (15-11-2015) |
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COMMENTO ALLE LETTURE Commento a cura di Gigi Avanti Quando nella propria storia personale o collettiva succede qualcosa di brutto, di sconvolgente o di inaspettato c'è sempre qualcuno che giustamente si mette a sollevare gli animi, a infondere la speranza, a incoraggiare la ripresa. E lo fa ricorrendo spesso, però, ad espressioni talmente usate da risultare usurate. Espressioni della serie: "Non preoccupatevi, non è niente", "Bisogna saper reagire", "Una cosa del genere non si era mai vista", per arrivare alla espressione mutuata dall'antica cultura greca "panta rei" che vuol dire "tutto passa". L'intenzione di incoraggiare e di tirar su gli animi spaventati o depressi è encomiabile mentre non lo sembrano le parole usate per farlo. Anzi, che "tutto passa", pronunciato rassegnatamente nel bel mezzo di una catastrofe, non aiuta molto a superare lo scoramento, lo spavento, il terrore perché risulta incompleto. Ci si può chiedere infatti che cosa accadrà dopo che tutto è passato... Sarà come prima, peggio di prima e quali sorprese ci riserverà la vita... Il brano di vangelo di oggi è spaventevole e apocalittico perché parla chiaramente della fine del mondo, di sconvolgimento delle potenze che stanno nei cieli, di sole e luna che smettono di fare il loro lavoro, di grande tribolazione... Ma a differenza di quanto si diceva poc'anzi riguardo alla espressione "tutto passa" che sembrava chiudere una fase senza lasciarne presagire una nuova, qui ci troviamo di fronte alla "rocciosità" dell'espressione di Gesù: "Cielo e terra passeranno, ma le mie parole non passeranno". Non passeranno proprio perché si aprirà una nuova fase (cieli nuovi e mondi nuovi) e sarò proprio il Figlio dell'Uomo ad inaugurare questa nuova fase definitiva sfondando la porta della speranza... E sarà proprio il Figlio dell'Uomo ad irrompere con grande clamore nella storia per darle senso compiuto. Con grande clamore, a differenza della prima volta quando tutto avvenne nel silenzio della notte, verrà a dare un senso compiuto anche alla sofferenza della grande tribolazione altrimenti senza senso... Il "tutto passa" riferito al dolore, alla sofferenza esistenziale ha senso solamente se è propedeutico alla gioia di trovarsi nuovamente vivi e non soccombenti. In questo senso non vale neppure la pena di arrabattarsi nel voler sapere "quando" tutto ciò accadrà, perché "solo Dio lo sa"... Vale la pena invece mantenersi calmi nella perseveranza, saldi nella speranza, quieti nell'attesa della Sua venuta. Una attesa non ansiosa, quindi, ma serena e operosa di bene... E' stato detto della preghiera che "non si sa come e quando funzioni, ma è sicuro che funziona". Tale convincimento di fede corrobora l'atteggiamento spirituale del credente in barba a tutte le catastrofi annunciate. E visto che si è accennato alla preghiera non è superfluo ricordare che tale atteggiamento spirituale va alimentato quotidianamente da una orazione appropriata. |