Omelia (15-11-2015) |
don Michele Cerutti |
Commento su Marco 13,24-32 L'anno liturgico batte gli ultimi colpi finali e con domenica prossima, detta di Cristo Re, concluderemo questo ciclo. La liturgia ci invita a soffermarci sulle realtà ultime, quelle denominate escatologiche. Il cristianesimo è escatologia dal principio alla fine, e non soltanto in appendice: è speranza, è orientamento e movimento in avanti e perciò è anche rivoluzione e trasformazione del presente...è l'aurora dell'atteso nuovo giorno che colora ogni cosa della sua luce. (J.Moltmann) La Commissione Teologica negli anni 80 indicava una costante tipica dell'uomo di ogni tempo. Ancor oggi quelle indicazioni sono attuali: "Tra alcuni cristiani sorgono perplessità circa la speranza escatologica. Frequentemente guardano con ansia alla morte futura; sono afflitti non solo «al pensiero dell'avvicinarsi del dolore e della dissoluzione del corpo, ma anche, e anzi più ancora, per il timore che tutto finisca per sempre». La risposta cristiana alla perplessità dell'uomo contemporaneo, come pure di quello di ogni tempo, ha Cristo risorto come fondamento ed è contenuta nella speranza della gloriosa risurrezione futura di tutti coloro che sono di Cristo". L'atteggiamento giusto non può essere quello della paura, ma la consapevolezza che abbiamo un mediatore e questi è Cristo. La lettera agli Ebrei ci aiuta a non dipingere in maniera negativa la dimensione delle realtà ultime. Cristo è il sacerdote che si è offerto Lui stesso vittima per i nostri peccati. Allora se comprendiamo che siamo amati da un amico così importante dobbiamo essere pronti nella risposta. Non possiamo vivere la fede nella dimensione della paura, ma proprio nella consapevolezza di essere amati. Forse davanti a queste pagine possiamo lanciarci in grandi progetti e grandi realizzazioni. Al cristiano è chiesto di vivere bene ciò che la Chiesa ci propone. La vita dei sacramenti: la Messa domenicale, la Confessione frequente. La vita ordinaria vissuta nella consapevolezza che come cristiani siamo chiamati a essere testimoni credibili di un amore che sentiamo avvolgerci. In questi giorni si fanno code nelle librerie per acquistare testi che prendono in giro la Chiesa con i suoi pastori. Certo ci sono pagine oscure, ma anche nello stesso tempo dobbiamo essere consapevoli come cristiani che la storia non può essere letta con le lenti oscure del pessimismo. Quante pagine belle potremmo scrivere sulle attenzioni che la Chiesa ha per i poveri nella nostra Italia e in tutto il mondo? Di fronte a questo contesto non cediamo al ricatto di chi ci vuole condurre in un pettegolezzo contro la Chiesa e i suoi pastori. Sì, perché se la nostra fede deve poggiarsi su Cristo, Lui si può incontrare più facilmente nella sua Chiesa. Il Papa ci offre una riflessione interessante su questo tema: "Non si capisce un cristiano senza Chiesa" (Papa Francesco). Il Papa afferma: "Il cristiano non è un battezzato che riceve il Battesimo e poi va avanti per la sua strada. Il primo frutto del Battesimo è farti appartenere alla Chiesa, al popolo di Dio. Non si capisce un cristiano senza Chiesa. E per questo il grande Paolo VI diceva che è una dicotomia assurda amare Cristo senza la Chiesa; ascoltare Cristo ma non la Chiesa; stare con Cristo al margine della Chiesa. Non si può. E' una dicotomia assurda. Il messaggio evangelico noi lo riceviamo nella Chiesa e la nostra santità la facciamo nella Chiesa, la nostra strada nella Chiesa. L'altro è una fantasia o, come lui diceva, una dicotomia assurda". Occorre sentire con la Chiesa. Questo sentire con la Chiesa si appoggia su tre pilastri. "Una persona che non è umile, non può sentire con la Chiesa, sentirà quello che a lei piace, a lui piace. E' questa umiltà che si vede in Davide: ‘Chi sono io, Signore Dio, e che cosa è la mia casa?'. Con quella coscienza che la storia di salvezza non è incominciata con me e non finirà quando io muoio. No, è tutta una storia di salvezza: io vengo, il Signore ti prende, ti fa andare avanti e poi ti chiama e la storia continua. La storia della Chiesa incominciò prima di noi e continuerà dopo di noi. Umiltà: siamo una piccola parte di un grande popolo, che va sulla strada del Signore". Il secondo pilastro è la fedeltà, "che va collegata all'ubbidienza": "Fedeltà alla Chiesa; fedeltà al suo insegnamento; fedeltà al Credo; fedeltà alla dottrina, custodire questa dottrina. Umiltà e fedeltà. Anche Paolo VI ci ricordava che noi riceviamo il messaggio del Vangelo come un dono e dobbiamo trasmetterlo come un dono, ma non come una cosa nostra: è un dono ricevuto che diamo. E in questa trasmissione essere fedeli. Perché noi abbiamo ricevuto e dobbiamo dare un Vangelo che non è nostro, che è di Gesù, e non dobbiamo - diceva Lui - diventare padroni del Vangelo, padroni della dottrina ricevuta, per utilizzarla a nostro piacere". Il terzo pilastro - ha detto il Papa - è un servizio particolare: "pregare per la Chiesa". "Come va la nostra preghiera per la Chiesa? - domanda Papa Francesco - Preghiamo per la Chiesa? Nella Messa tutti i giorni, ma a casa nostra, no? Quando facciamo le nostre preghiere?". Pregare per tutta la Chiesa, in tutte le parti del mondo. "Che il Signore -ha concluso il Papa - ci aiuti ad andare su questa strada per approfondire la nostra appartenenza alla Chiesa e il nostro sentire con la Chiesa". Vivendo in questa dimensione di fedeltà non dobbiamo aver paura, ma percorriamo l'autostrada sicura che non ci fa sbandare. |