Omelia (15-11-2015) |
don Alberto Brignoli |
I potenti hanno i giorni contati Accade spesso, purtroppo, che certi fatti di cronaca ci sconvolgano, aldilà del fatto che li stiamo vivendo in prima persona. Certo, quando un paese, una città, una comunità sono sconvolti da alcune calamità, naturali o meno che esse siano, l'impatto è decisamente significativo e lascia il segno. Parlare o sentir parlare di terremoto in zone già in precedenza colpite dal fenomeno, oppure di alluvione laddove si è reduci da emergenze di questo tipo, o di guerra e violenza in un territorio martoriato dai conflitti, non è la stessa cosa che sentirne parlare stando comodamente seduti davanti alla televisione o fissando lo schermo di un tablet tenuto tra le mani mentre si attende l'autobus. L'esperienza vissuta in prima persona condiziona l'esistenza; di conseguenza, la vita delle persone interessate ne rimane talmente segnata da sperimentare la totale incertezza riguardo a ogni prospettiva futura, e in molti casi addirittura il crollo di ogni speranza. Anche qualora, grazie a Dio, non fossimo stati toccati da alcuna esperienza di questo tipo, proviamo - anche solo per qualche istante - a immaginare ciò che la comunità dei credenti che faceva riferimento all'evangelista Marco deve aver vissuto con l'evento della distruzione di Gerusalemme e del Tempio nel 70 dopo Cristo da parte dell'Impero Romano, dopo un lunghissimo ed estenuante assedio alla città durato quattro anni. Ciò che videro e vissero in prima persona i sopravissuti fu talmente spaventoso da spingere l'evangelista Marco a dedicare un capitolo intero della sua opera, di cui oggi abbiamo letto i versetti conclusivi, alla rilettura di quell'evento sulla scorta di vari detti e discorsi profetici di Gesù, raccolti da Marco in un unico capitolo perché la comunità non perdesse la memoria di quei fatti. Vedere il Tempio di Gerusalemme andare letteralmente in fiamme e venire annullato non solo nella sua valenza artistica, ma anche e soprattutto in quella simbolica di luogo della presenza di Dio in mezzo agli uomini significava, per la comunità cristiana di origine giudaica che viveva a Gerusalemme, il crollo di ogni certezza e di ogni punto di riferimento, con conseguenti domande, interrogativi e dubbi su un Dio che, forse, così potente e così vicino al suo popolo non lo era più, o certamente non lo era come ai tempi dell'Esodo. Altri potenti riuscivano ormai a prevalere su di lui. "Quando sono scosse le fondamenta, il giusto che cosa può fare? Ma il Signore sta nel suo tempio santo, il Signore ha il trono nei cieli": così scriveva Davide sette secoli prima. Ora, però, non esiste più neppure il Tempio nel quale confidare; e se non esiste il Tempio, forse neppure Dio esiste più... In questo contesto di totale desolazione disperazione, l'evangelista Marco ricorda alla comunità alcune parole di Gesù piene di grande speranza, e sono esattamente quelle che abbiamo ascoltato nel Vangelo di oggi. "Dopo quella tribolazione", ovvero dopo aver riportato alla mente quei drammatici fatti, lo scenario apocalittico si sposta nel firmamento del cielo: ad essere sconvolta non sarà solamente la terra, ma anche le potenze del cielo. Questo non pare serva molto a tranquillizzare la comunità e il lettore...in realtà, il messaggio che vi si nasconde è di evidentissima e grandissima speranza. Nel linguaggio dell'epoca (e biblico in generale) si parla di "potenze del cielo" (sole, luna, stelle) per riferirsi, in realtà, ai potenti della terra. Era consuetudine, tra i capi politici, i principi e i condottieri (ovvero i potenti della terra), essere considerati come figli delle divinità dai loro popoli adorate, in particolare come figli del Dio Sole e della Dea Luna: da cui, l'appellativo di "stelle del cielo" dato ai principi e ai potenti, ritenuti capaci di illuminare e guidare il loro popolo anche nell'oscurità della notte, appunto come le stelle. Ebbene, finché lo scenario riguarda questa terra, i potenti possono pure essere in grado di sconvolgere l'esistenza dei popoli creando disperazione, sopraffazione e morte; ma quando lo scenario si sposta nel firmamento, questi che si ritengono "stelle", figli del Sole e della Luna, non possono prevalere, perché nel firmamento del cielo esiste una sola potenza, quella di Dio e di suo Figlio, di fronte alla quale non potranno far altro che osservarne la gloria e, di conseguenza, crollare. Tra l'altro, il Figlio di Dio che viene con potenza è "Figlio dell'Uomo", ovvero figlio di quell'umanità che, da questo crollo dei potenti, non potrà far altro che beneficiare: perché "il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno". Vale a dire, coloro che si ritengono "potenze del cielo" presto o tardi termineranno di esercitare il loro potere; così come termineranno pure le cose della terra, ovvero gli eventi della storia con tutta la loro drammaticità e con quel carico di incertezza che sembra farci dire che non è mai finita. Invece, finirà: finirà per i potenti della terra e finirà pure per la storia e per il mondo dove essi hanno potuto fare tutti i loro giochi di potere e di violenza. Di certo, non finirà l'unica potenza che rimane: Dio e la sua Parola, il Dio Signore della Storia, più potente di ogni potente della terra. Il messaggio, allora, è un messaggio di grande speranza: la storia, sia quella mondiale con tutti i suoi sconvolgimenti provocati dai potenti di turno, sia la nostra personale, spesso sconvolta da quei piccoli e grandi potenti che hanno la pretesa di dominarci e di sfruttarci in mille forme e in mille maniere, è comunque una storia passeggera. Deve terminare e terminerà, e non è certo necessario aspettare la fine del mondo perché finisca la strategia del terrore dei potenti di turno. Ciò che non terminerà è la presenza di Dio nella storia. Per questo, occorre fiducia. Non è necessario interrogarsi sul quando o sul come, sul giorno o sull'ora dell'intervento di Dio nella storia, perché questo fa parte del suo disegno. A noi, riconoscere i segni dei tempi con la saggezza dell'agricoltore, che dai rami e dalle foglie è in grado di riconoscere l'arrivo della buona stagione. E il frutto della buona stagione di Dio è la nostra salvezza. |