Omelia (29-11-2015)
CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie)
Commento su Ger 33,14-16; Sal 24; 1Ts 3,12-4,2; Lc 21,25-28.34-36

Come in genere in occasione di ogni compleanno, o di ogni ricorrenza importante, vorrei porgere a tutti i lettori - singoli, coppie, famiglie - gli auguri più sinceri di buon inizio d'anno. Sì, perché nella Chiesa oggi inizia un nuovo anno: la prima domenica d'Avvento.

Vale forse la pena soffermarci un poco su questa parola: "Avvento". Deriva dal latino "Adventus", cioè venuta; e la venuta è quella del Cristo: la prima è quella della nascita, e infatti noi oggi iniziamo il tempo liturgico che ci avvicina a questo evento. Il Natale; la seconda, quella della "parusia", che avverrà alla fine dei tempi. E non è dunque senza motivo che la Chiesa oggi ci fa riflettere su temi apocalittici, a cominciare dal brano di Geremia (33,14-16) in cui il Signore, attraverso il profeta, dice: «Verranno giorni nei quali realizzerò le promesse di bene che avevo fatto per il popolo di Israele e di Giuda. In quel momento farò nascere il germoglio di Davide, un suo discendente legittimo; egli attuerà il diritto e la giustizia nel paese. Allora la terra di Giuda sarà liberata e gli abitanti di Gerusalemme vivranno tranquilli. La città sarà chiamata: "Il Signore, nostra salvezza"». Questa promessa si estende nel tempo e nella storia: non riguarda solo il popolo di Israele, ma tutta la Chiesa universale. Una Chiesa, come ricorda Paolo ai cristiani di Salonicco, che devono crescere nell'amore reciproco e nell'amore verso tutti, proprio seguendo l'esempio di Paolo. Una Chiesa, infine, in cui si deve stare svegli - come ci ricorda Luca nel suo evangelo - in atteggiamento di preghiera, per avere la forza di superare tutti i mali che "stanno per accadere", secondo una lettura apocalittica dei tempi penultimi, e presentarsi così, nei tempi ultimi, di fronte al Figlio dell'uomo.

Il messaggio di questa domenica è dunque chiaro: il cristiano, l'uomo e la donna di buona volontà, devono vivere nella dimensione dell'attesa. Si tratta però di un'attesa attiva, non di un "futuro" che non conosciamo, bensì di un "avvenire": di qualcosa cioè che avviene nel tempo, che si realizza nella storia, nel giorno dopo giorno. Misteriosamente, ma istante per istante sotto i nostri occhi, se solo fossimo capaci di coglierne i segni. Attesa vigilante in cui la Chiesa ci dona il suo aiuto se sappiamo inserirci nel suo ritmo, per accogliere, in ogni tempo, una proposta concreta di cammino.

Che cosa significa per noi, singoli, coppie, famiglie, vivere l'attesa?

Significa accettare il provvisorio nella nostra vita di esseri umani e di credenti; vivere il già e non ancora della storia, della nostra fede, ma anche della nostra vita di singoli, di coppia e di famiglia; attendere la novità, l'Inedito, e non rincorrere il vecchio; essere coerenti all'impegno di fedeltà al Cristo povero e sofferente che cammina con noi nei viottoli accidentati della storia e che con noi attende la liberazione; accettare di perdere l'illusione di vivere in una stagione di grandi certezze, di miti euforizzanti e di ideali assoluti per entrare nella più umile dimensione di questuanti di senso nel provvisorio, in ciò che non ti dà sicurezza, nel dubbio.

Può sembrare frustrante vivere nella quotidianità questo sentimento dell'attesa. Può addirittura essere faticoso, come quando nel corso di una salita in montagna la vetta pare sempre essere lì, a portata di mano, ma richiede invece ancora grandi sforzi per essere raggiunta. Un po' come nella vita matrimoniale: credo sia successo a tutti sperimentare, ad esempio, l'emozione sempre nuova che si prova nell'attendere la persona amata, e nel contempo l'impazienza per il suo ritardo: ma sapere per certo che tra poco arriverà, perché non può tradire la mia attesa, a dunque sentirla già presente pur nell'assenza, e intessere con lei un dialogo inespresso, ma reale, immaginare dei progetti faticosi eppur stimolanti, vivere nella speranza della sua apparizione ancora più emozionante della sua stessa presenza fisica. È poi tanto diversa, per un credente, l'attesa di un Dio nascosto nella storia?

Attesa come tensione, un tendere cioè verso qualcuno o qualcosa, andare con gioia verso qualcosa o verso qualcuno. La speranza è parte della storia: la coscienza comune della nostra debolezza, della nostra fragilità e della nostra impotenza costruisce un progetto di liberazione. Forse la povertà, la mancanza di pane, di senso e di luce dell'oggi sono il nome stesso dell'attesa.

L'Avvento è tutto questo. Ma è soprattutto momento di costruzione di un avvenire, condizione dinamica di un provvisorio accettato e vissuto nella sofferenza, preparazione all'estasi ed alle meraviglie di un Amore che non è ancora pieno solo perché non è ancora esperienza universale, cosmica. È la provvisorietà di Giovanni, il Battista, che accetta di diminuire perché Lui, il Cristo, cresca; ed è l'estasi amorosa dell'altro Giovanni, l'Apostolo, che anticipa profeticamente la stagione dell'Amore al quale non servono più le nostre parole provvisorie, il tempo di una definitiva liberazione.

Tra questi due poli - l'amore provvisorio, come progetto e l'amore dei tempi ultimi che attendiamo, si gioca la fedeltà al nostro Cristo: il quale nel frattempo ci invita a rimettere la spada nel fodero e gli aerei da guerra negli hangar; a rimandare a tempo indeterminato la distinzione tra buoni e cattivi, a rinunciare a stabilire, dall'alto delle nostre presunte competenze e sicurezze teologiche, se uno è cristiano o meno, se è dentro o fuori la Chiesa, a tenere accesa la lampada della speranza e soprattutto ad avere fantasia sufficiente per non farle mancare l'olio.

E dice alla nostra Chiesa di non avere paura anche se i tempi sono brutti, apocalittici, come ci rivela il vangelo di Luca; ci dice che c'è posto per tutti, ma proprio per tutti, se noi non ci installiamo allargando un po' troppo i gomiti, e se non pretendiamo di erigere a sistema la "pedagogia del ceffone"; se crediamo che la fede non è una bandiera, o un distintivo, ma un cammino in cui la verità agisce con la sua sola presenza e la profezia ha cittadinanza da qualsiasi parte provenga.

Questa è la nostra speranza: la promessa del Signore profetizzata da Geremia è il premio stesso dell'attesa.


Traccia per la revisione di vita

1) Riesco a riconoscere la presenza di Dio nella mia vita anche nel tempo della notte, delle tenebre, delle difficoltà e delle crisi?

2) Nella mia vita sono paralizzato dalla paura o vivo gli eventi quotidiana con serenità?

3) So riconoscere i "segni dei tempi" negli avvenimenti della storia? Con quale spirito li considero?

4) Come coppia siamo disposti a rinnovarci la nostra promessa ogni giorno della vita, vigilando sul nostro amore e ritenendo il nostro incontro non un evento casuale, ma il segno di un progetto di Dio su di noi?


Luigi Ghia - Direttore di "Famiglia Domani"