Omelia (22-11-2015) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Il Regno che si oppone ai nostri Nel momento in cui sto stendendo queste righe, il mondo è sconvolto da un teterrimo avvenimento che in questi giorni ci rende tutti sgomenti, ansiosi e in preda al panico e alle perplessità sul nostro futuro: una serie di stragi efferate, consumate una dietro l'altra a poca distanza di tempo in sei diversi punti della città, ha bagnato di sangue le strade di Parigi. La città si è trovata a contare 129 cadaveri e oltre trecento persone sono rimaste ferite. Le vittime, raggiunte inaspettatamente dalle raffiche di mitra sparate a bruciapelo da membri dell'Isis, che quasi tutti si sono anche fatti esplodere con una cintura esplosiva disseminando ancora morte e terrore, stavano semplicemente trascorrendo una serata di spensieratezza alcuni riempiendo i tavoli di un ristorante, altri affollando la sala di un concerto rock, altri passeggiando per la strada, altri ancora dentro luoghi differenti di svago. A uccidere con tanta barbaria è stato chi era convinto di rendere lode a Dio; che così facendo avrebbe meritato il paradiso. "Allah è grande" avrebbero gridato alcuni degli attentatori. Colpire con efferatezza vittime umane innocenti è già inaudito e orripilante e chi commette certi atti non è degno di essere chiamato uomo; che poi lo si faccia in nome di una religione o con la presunta certezza di rendere testimonianza a un Dio (qualunque esso sia) è ancora più assurdo e riprovevole, meschino e pazzesco. Si dimostra solamente di essere vigliacchi e insensati, ma non certo di possedere dei valori e dei principi. Come concepire un Dio che permette odio, esecrazione e violenza efferata? Conciliare la morte di persone innocenti con una fede è una pretesa ridicola e inqualificabile e nessun Dio può mai esaltare il sangue e la distruzione. Noi al contrario siamo convinti di un Dio che si è sottoposto egli stesso alla barbarie perché cessasse nel mondo ogni sorta di barbarie e di violenza e che con questi mezzi ha affermato la sua potenza e la sua regalità. Si tratta di Gesù Cristo, da noi ritenuto Figlio di Dio, cioè Dio stesso Incarnato che ha voluto assumere la natura umana per percorrere in tutto e per tutto i nostri sentieri, condividendo le nostre ansie e i nostri problemi. Dio che in Gesù Verbo fatto Carne ha condiviso la nostra natura umana vivendo come uomo fra gli uomini, sottomesso e disposto alle riprovazioni e alle umiliazioni, che per redimere il mondo ha preferito ben altre vie a quelle della ritorsione e della violenza accettando di essere da altri deriso, schernito, vilipeso e finalmente crocifisso. Come ci spiega l'apostolo Pietro "egli oltraggiato non rispondeva con oltraggi e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché non vivendo più per il peccato vivessimo per la giustizia. Dalle sue piaghe siete stati guariti."(1Pt 2, 23 - 25) Nel suo Figlio Gesù Cristo contempliamo la sofferenza di Dio che si è resa per noi salutare medicina e motivo di sollievo e di consolazione perché solamente con il suo sangue sparso sulla croce Dio poteva recuperarci alla vita. Volentieri Dio in Cristo ha disteso le braccia sulla croce perché noi non morissimo a motivo dei nostri peccati, poiché si è addossato egli stessi tutti i peccati dell'umanità. La sua morte di croce (e la sua resurrezione) contrassegnano per noi anche una vita all'insegna della fuga dal peccato per la vera libertà. Chinando il capo agli insulti e alle vessazioni, accettando con umiltà le atrocità del flagello e dello squarcio dei chiodi sulle sue membra, Cristo ci induce a considerare che è possibile conquistare il cuore umano non già con il ricorso all'imposizione e alla violenza, ma piuttosto con la mansuetudine e con l'umiltà con cui si servono i fratelli senza riserve. La conversione di altri alla nostra fede può avvenire non senza la nostra disposizione ad amare e a servire, omettendo ogni sorta di prevaricazione, di critica o peggio ancora di coercizione e di violenza. Il cuore degli uomini si raggiunge infatti con argomenti convincenti di testimonianza, con la pacatezza del buon esempio e dell'umiltà e non servono le autoaffermazioni di prepotenza o di sopraffazione. Occorre l'esemplarità del servizio attento e disinvolto, la volontà di darsi senza condizioni e il resto viene da sé. Sulla croce Cristo Figlio di Dio ci inculca la logica dell'amore e del servizio e la sua stessa agonia ci ragguaglia del fatto che solamente il dono di sé può trasformare e redimere, e proprio in tutto questo egli mostra la sua regalità universale. Cristo è a buon diritto re dell'Universo. Certamente lo è perché partecipe dell'eternità divina accanto al Padre e allo Spirito Santo e pertanto forte della regalità universale indiscussa: Egli è Dio perché Figlio consustanziale al Padre e allo Spirito Santo. Ma la sua regalità si rende palese soprattutto nella sofferenza e nella morte di croce e di essa è emblema quella famosa corona di spine, che a sua volta esprime il dolore che comporta questo regnare a vantaggio dell'uomo. Per Cristo regnare è servire e i due concetti equivalgono all'amore. La vera autorità non sarà mai esercitata quando si omettano queste prerogative perché chiunque stia a capo di un gruppo o di una nazione in realtà sta in mezzo a tutti come colui che serve (Lc 22, 26). Quale governo o quale regime di autorità terrena non è preposta alla persecuzione del bene comune e della giustizia? Anche il più spietato dei tiranni e dei dittatori ammette di dover esercitare sul suo popolo un ruolo di responsabilità e di tutela dell'ordine e della giustizia, non importa quali siano i sistemi, ma se questo non si realizza con la convinta volontà di amare e di servire coloro che ci sono sottomessi qualunque regime è destinato a fallire. Qualsiasi autorità è destinata a soccombere a se stessa qualora persegua tutto tranne il bene dei sudditi. Cristo Re Universale di salvezza la cui potestà si evince sulla croce ci dischiude questa possibilità di sicuro successo. |