Omelia (15-11-2015) |
don Maurizio Prandi |
Il tempo della tenerezza Come da alcune domeniche a questa parte non possiamo non notare che la liturgia ci propone ancora una volta di soffermarci sul verbo vedere. E come domenica scorsa è accaduto che un gesto (quello della vedova povera) tanto insignificante da rischiare di passare inosservato (rispetto alla rumorosa e plateale offerta di chi dava parte del proprio superfluo), è stato posto all'attenzione dei discepoli da parte di Gesù, anche oggi tutto quello che appare roboante e che saremo invitati a vedere, (sole che si oscura stelle e astri che cadono, sconvolgimento delle potenze dei cieli...), rischia di togliere spazio a quello che è meno visibile e che con parole che appartengono a don Daniele Simonazzi mi piace chiamare il miracolo della tenerezza. Certo tutto quello che anticipa Gesù è secondo il linguaggio apocalittico dell'epoca. Lui però invita a vivere non il futuro che verrà, ma il presente, e il presente è rappresentato dal fico, e dalla sua tenerezza, una tenerezza che è già! Ripeto perché mi sembra di una importanza capitale: abbiamo ascoltato parole, nella liturgia di oggi, che effettivamente sono dure. Il sapore che rischiano di lasciare però, è quello della messa in guardia, della minaccia, della paura... verrà il giorno in cui il sole si oscurerà, stelle e pianeti cadranno, i cieli saranno sconvolti e uno rischia di fermarsi lì; ma il cristiano, uomo della speranza, non può pensare, ascoltando la piccola parabola del fico che Gesù racconta, che è giunto il tempo dei disastri, ma che è giunto il tempo della tenerezza! E' al ramo di fico, che è già tenero, che Gesù invita a fare riferimento. Pensate che il papa, incontrando i rappresentanti al Convegno di Firenze, ha fatto diversi riferimenti alla tenerezza: due espliciti, e un altro parlando dei sentimenti di Gesù; dapprima parlando della tentazione dello gnosticismo e affermando che con i ragionamenti troppo complessi e astratti perdiamo la tenerezza della carne del fratello... e subito dopo, parlando della dottrina, quindi anche del modo di fare catechismo, incontri ha detto: La dottrina cristiana non è un sistema chiuso incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, sa animare. Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: la dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo... e poi la bellezza di avere dei sentimenti che siano gli stessi di Gesù: Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso. Se li assume, invece, sa essere all'altezza della sua missione. I sentimenti di Gesù ci dicono che una Chiesa che pensa a sé stessa e ai propri interessi sarebbe triste. Le beatitudini, infine, sono lo specchio in cui guardarci, quello che ci permette di sapere se stiamo camminando sul sentiero giusto: è uno specchio che non mente. Sono contento che anche papa Francesco faccia riferimento, parlando delle Beatitudini al camminare sul giusto sentiero, all'andare nella giusta direzione. È un discorso molto serio quello della tenerezza. Ce lo dice l'evangelista Marco, che in tutto il vangelo usa questa parola soltanto qui una volta sola, forse perché da capire bene, da non sprecare. Qui, alla soglia del racconto della passione. Appena prima che Gesù venga condannato, e qui, don Daniele Simonazzi, con una di quelle intuizioni che soltanto lui può avere scrive: la usa qui questa parola, evidentemente per dirci che è una parola unica, come unica è la tenerezza del Signore in croce. E allora, il ramo che si fa tenero, è il ramo della croce. Ci si ama in modo unico se ci si ama secondo la croce. In quell'ora, così unica, Gesù non avrebbe fatto cambio con nessun altro nell'ora della croce. Allora capisco tante reazioni che mi sconcertano e che non capisco, che sono così distanti (almeno credo), da quello che credo sia il mio modo di vedere le cose: il cammino faticoso di tanti, la povertà di tanti, la miseria di tanti, in quale cuore possono entrare e trovare riparo? Soltanto in un cuore tenero, in cuore come quello del Signore che è come quel libro dove vengono scritti i nomi di ciascuno. Deve essere questo il tempo della tenerezza perché un cuore duro non si lascia scrivere nemmeno dall'amore di Dio e diventa un cuore piatto. La giusta direzione ci viene indicata anche dalla prima lettura (versetto 3): è operare perché tutti siano scritti nel libro della vita di cui parla il profeta Daniele, perché tutti siano illuminati dalla giustizia di Dio, che sempre più stiamo scoprendo essere la sua misericordia. Coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre. Il profeta Daniele ci parla di un tempo veramente triste per il popolo d'Israele, il tempo della crudeltà di un re, Antioco IV Epifane, che fa del suo regno il culmine della superbia umana. Dio però rimane fedele e la presenza di Michele che sta tra Dio e il suo popolo, (nel testo originale non ci sono i verbi sorgere e vigilare) ne è una testimonianza: quando l'uomo si erge a centro di tutto e di tutti, Dio ci ricorda che nessuno è come Lui: il significato del nome Michele è proprio questo: chi è come Dio? Riprendo allora un'idea che mi è cara: Michele è come qualcuno che intercede e che allo stesso tempo indica Dio e sprona a raggiungerlo. Michele (Mi ka ‘el mi pare di ricordare dagli studi di ebraico), è un nome che significa: Chi è come Dio? Che bello quando incontriamo qualcuno che ci pone la stessa domanda, che bello quando incontriamo qualcuno che sempre tiene vivo in noi il desiderio di conoscere Dio, di contemplare il suo volto, di avvicinarci a Lui. Questo testo, ci da lo stesso messaggio del vangelo: nel momento in cui tutto sembra perduto, Dio ci salva. Vi sarà un tempo di angoscia, come non c'era mai stato dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, coloro che sono scritti nel libro. E anche nel vangelo di oggi ci viene detto che quando tutto sembra crollare vedremo il Figlio dell'Uomo venirci incontro. C'è un particolare che mi piace tantissimo nella prima lettura, quando si dice che vengono salvati tutti coloro che sono scritti nel libro. Mi piace perché una volta di più credo vero che essere scritti, vuol dire essere conosciuti da Dio, e Dio conosce i nostri nomi uno ad uno come un padre con i suoi figli. Qualcuno potrà dire: ma quando le pagine del libro finiscono... ma questo libro, questo libro, che chiaramente è la Sacra Scrittura, è una Parola sempre viva, che raccoglie, genera, visita e consola tutta la storia dell'umanità e la vicenda di ogni uomo. Sarò lassista, ma in un libro così, c'è posto per tutti credo! "Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno" mi piace fare questa sottolineatura, sgombrando il campo da ogni tentativo di restringere l'ambito della salvezza e quindi di restringere anche l'ampiezza del cuore di Dio, mettendola a contatto con quanto il papa ha ribadito a Firenze i giorni scorsi: la traduzione non dice tutti, ma ben sappiamo che l'idea che sempre soggiace è quella delle, delle moltitudini, che come dice il libro dell'Apocalisse, nessuno può contare (in greco, si il termine si traduce esattamente così: le moltitudini, proprio per rafforzare l'idea della totalità). Mi pare anche questo un bel segno di speranza, quello di un Dio che è per tutti, totalmente gratuito. E' il volto di Dio poi che più mi prende, mi affascina, quello per il quale un giorno ho deciso di verificare l'ipotesi di diventare sacerdote entrando in seminario. E il papa, come dicevo, a Firenze ha detto: sapete bene che il Signore ha versato il suo sangue non per alcuni, ne per molti, ma per tutti!!! Nel vangelo Gesù ci chiede di imparare. Sono due settimane che stiamo dicendo che anche Gesù impara: impara dalle folle, guardandole, che per andare nella giusta direzione è necessario essere misericordiosi, saper piangere, essere poveri in spirito, miti, cercare la giustizia; impara a fare della sua un dono proprio dalla vedova di domenica scorsa che, come dice il vangelo aveva gettato in Dio tutta la sua vita; e oggi ci chiede di imparare la tenerezza. "Dal fico imparate questa parabola: quando già il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che l'estate è vicina". Anche qui segni di speranza, che ricordo, alcuni anni fa mi sembrava di poter cogliere in un testo di P. Stefani che spiega come il fico è la pianta che, in primavera, mette le foglie per ultima; i fichi primaticci sono invece tra i primi frutti dell'anno e, in quanto tali, facevano parte dell'offerta delle primizie portata al tempio (cfr. Dt 26, 2). Qui io leggo in controluce la promessa di Gesù: gli ultimi saranno i primi. Due considerazioni molto semplici: 1) da un lato c'è speranza allora, per tutti coloro i quali si sentono gli ultimi, c'è speranza per tutti i poveri, i diseredati, gli ammalati, i disperati, perché anche loro hanno la loro primizia da offrire. 2) Dall'altro lato il Signore chiama la sua chiesa ad imparare dal fico: per poter portare frutto e offrirlo è necessario imparare dagli ultimi, dai poveri, dai diseredati, dai disperati. Imparare dal fico vuol dire imparare dalle cose di casa, perché tutti in Palestina avevano un fico piantato vicino a casa loro. Dalle cose di tutti giorni, dalla vita che viviamo e che vivono i nostri fratelli... imparare dalle cose di casa vuol dire essere persone umanissime che parlano un linguaggio umanissimo; come Gesù, che ha vissuto fino in fondo la profondità dell'esperienza umana. Gesù parla di donne e di monete, di pastori e agricoltori, di campi e di deserti, di piante e di animali. "Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno". Un altro segno di speranza ci è sembrato questo: ci sono delle parole che non passano, non passano perché sono legate a dei volti, a delle vite e per questo sono parole concrete, incarnate in una esistenza. Per queste parole possiamo e dobbiamo ringraziare. Un ragazzo del catechismo, prima media, che dice che quando ascolti qualcosa e ti entra nel cuore non hai bisogno del cervello per memorizzarlo... oppure una ragazza di terza media che dice che per lei cresima significa futuro... una donna anziana e malata che quando le porti la comunione ti dice (chiaramente esagerando!): don Maurizio! Vederti è come vedere il Signore!!!). La visita del sacerdote è avvertita da tanti come un segno di misericordia: speriamo di essere degni di tutto questo. Ma anche il silenzio di M. G. così giovane e così malata, è una parola che non passa, che resta e resta per sempre; in quel silenzio leggo il silenzio di Dio, le risposte che non ci sono, che nemmeno Gesù ha dato o ricevuto dal Padre. Tutto questo mi dice che quello che è scritto nel vangelo è vero: è giunto il tempo della tenerezza. Vi offro ancora alcune parole di don Daniele Simonazzi scritte al tempo dell'attentato di Nassirya e più che mai attuali con quello che è successo a Parigi... a me paiono di una bellezza infinita: stiamo nella vicenda del mondo da teneri; sentiamo tutto il peso degli attentati, tutto il peso delle vicende che si legano alla nostra gente perché li abbiamo nel cuore, perché così come il cuore di Gesù è tenero come il ramo del fico, altrettanto il nostro cuore sente profondamente tutte le vicende che le nostre donne e i nostri uomini vivono e sentono. Bisogna che entriamo in questa logica, bisogna che ci vogliamo bene, ma secondo quello che il vangelo ci ha detto, cioè secondo la tenerezza del fico. |