Omelia (22-11-2015)
don Michele Cerutti


Si conclude un anno liturgico. La solennità di Cristo Re ci dice che il centro rimane Cristo: è Lui l'inizio e la fine. Il nuovo anno si apre nella logica dell'attesa con l'Avvento e si chiude nella dimensione della Regalità.

Gesù atteso, nato, morto e risorto è Re. Tutte le feste ruotano intorno a Lui anche quelle legate alla Vergine Maria e ai Santi. Sì perché questi si comprendono solo basandosi su Cristo. Il culto che non poggia su Cristo è fuori da ogni dimensione cristiana.

Gesù è Re! Titolo di difficile comprensione. Il Re nella storia ha rappresentato nella maggior parte dei casi guerre, distruzioni, tirrania. La Chiesa ci invita a venerare figure di santi Re nel corso dell'anno liturgico. Ad esempio Re Stefano d'Ungheria.

Questo Re evangelizzò l'Ungheria pose le basi della Chiesa in quel paese. Tra i più importanti provvedimenti da lui adottati, vi fu quello riguardante la strutturazione della Chiesa ungherese: a questo proposito la tradizione gli attribuisce la creazione di dieci Diocesi e la fondazione e il consolidamento di numerose abbazie, tra le quali spicca quella benedettina di Pannonhalma.

Egli stabilì poi che venisse costruita una chiesa comune ogni dieci villaggi. La cristianizzazione del popolo ungherese operata dal santo re si effettuò nel segno della riforma cluniacense. Per altro egli si mantenne in corrispondenza con l'abate di Cluny Odilo. Inoltre, Stefano fece venire dall'estero molti ecclesiastici, affinché collaborassero alla sua opera di evangelizzazione: il più famoso di questi fu san Gerardo, proveniente da Venezia, che diventò vescovo e che perse la vita in seguito a una rivolta pagana.

Stefano ebbe massimamente a cuore la sicurezza dei pellegrini che si recavano in Terra Santa: rese meno precario il loro cammino lungo le terre balcaniche e fece costruire a Gerusalemme un alloggio per gli ungheresi che là si recavano. È opportuno ricordare che la nuova chiesa da lui creata, con le scuole erette presso i capitoli e i chiostri, pose la basi dell'insegnamento in Ungheria. Stefano si dimostrò pure un valente sovrano, capace di rafforzare il suo regno e di condurre un'equilibrata politica estera.

Il santo re morì nel 1038 e fu canonizzato nel 1083, dopo che il nuovo sovrano Ladislao si era fatto protettore del suo culto, presentandosi così come il suo erede spirituale e una sorta di secondo fondatore del regno cristiano d'Ungheria. La canonizzazione sarebbe avvenuta per ordine del papa Gregorio VII e alla presenza di un suo legato. Particolarmente interessante risulta il fatto che Stefano fu il primo sovrano medievale a essere santificato come "confessore" e non come martire, a motivo dei meriti religiosi da lui acquistati durante la vita: in Stefano la figura del re giusto si fonde con quella del santo cristiano e ciò rappresentò subito la chiara dimostrazione che un sovrano può diventare santo al fianco della Chiesa.

L'Ungheria ricorda anche una Regina come Santa. Vita esemplare di cui traggo utili dettagli della sua vita nel sito Santi e Beati.

A quattro anni di età è già fidanzata. Suo padre, il re Andrea II d'Ungheria e la regina Gertrude sua madre l'hanno promessa in sposa a Ludovico, figlio ed erede del sovrano di Turingia (all'epoca, questa regione tedesca è una signoria indipendente, il cui sovrano ha il titolo di Landgraf, langravio). E subito viene condotta nel regno del futuro marito, per vivere e crescere lì, tra la città di Marburgo e Wartburg il castello presso Eisenach. Nel 1217 muore il langravio di Turingia, Ermanno I. Muore scomunicato per i contrasti politici con l'arcivescovo di Magonza, che è anche signore laico, principe dell'Impero. Gli succede il figlio Ludovico, che nel 1221 sposa solennemente la quattordicenne Elisabetta. Ora i sovrani sono loro due. Lei viene chiamata "Elisabetta di Turingia". Nel 1222 nasce il loro primo figlio, Ermanno. Seguono due bambine: nel 1224 Sofia e nel 1227 Gertrude. Ma quest'ultima viene al mondo già orfana di padre. Ludovico di Turingia si è adoperato per organizzare la sesta crociata in Terrasanta, perché papa Onorio III gli ha promesso di liberarlo dalle intromissioni dell'arcivescovo di Magonza. Parte al comando dell'imperatore Federico II. Ma non vedrà la Palestina: lo uccide un male contagioso a Otranto.

Vedova a vent'anni con tre figli, Elisabetta riceve indietro la dote, e c'è chi fa progetti per lei: può risposarsi, a quell'età, oppure entrare in un monastero come altre regine, per viverci da regina, o anche da penitente in preghiera, a scelta. Questo le suggerisce il confessore. Ma lei dà retta a voci francescane che si fanno sentire in Turingia, per dire da che parte si può trovare la "perfetta letizia". E per i poveri offre il denaro della sua dote (si costruirà un ospedale). Ma soprattutto ai poveri offre l'intera sua vita. Questo per lei è realizzarsi: facendosi come loro. Visita gli ammalati due volte al giorno, e poi raccoglie aiuti facendosi mendicante. E tutto questo rimanendo nella sua condizione di vedova, di laica. Dopo la sua morte, il confessore rivelerà che, ancora vivente il marito, lei si dedicava ai malati, anche a quelli ripugnanti:" Nutrì alcuni, ad altri procurò un letto, altri portò sulle proprie spalle, prodigandosi sempre, senza mettersi tuttavia in contrasto con suo marito". Collocava la sua dedizione in una cornice di normalità, che includeva anche piccoli gesti "esteriori", ispirati non a semplice benevolenza, ma a rispetto vero per gli "inferiori": come il farsi dare del tu dalle donne di servizio. Ed era poi attenta a non eccedere con le penitenze personali, che potessero indebolirla e renderla meno pronta all'aiuto. Vive da povera e da povera si ammala, rinunciando pure al ritorno in Ungheria, come vorrebbero i suoi genitori, re e regina.

Muore in Marburgo a 24 anni, subito "gridata santa" da molte voci, che inducono papa Gregorio IX a ordinare l'inchiesta sui prodigi che le si attribuiscono. Un lavoro reso difficile da complicazioni anche tragiche: muore assassinato il confessore di lei; l'arcivescovo di Magonza cerca di sabotare le indagini. Ma Roma le fa riprendere. E si arriva alla canonizzazione nel 1235 sempre a opera di papa Gregorio. I suoi resti, trafugati da Marburgo durante i conflitti al tempo della Riforma protestante, sono ora custoditi in parte a Vienna. E' compatrona dell'Ordine Francescano secolare assieme a S. Ludovico. Quest'ultimo un Re francese che governò con pietà e giustizia la Francia.

Il contesto europeo quando Pio XI proclamerà la solennità di Cristo Re non è abitato da Re Santi. Ho citato in altre omelie Baldovino come Re del XX secolo che si è contraddistinto per esemplarità cristiana. Per il resto è difficile trovare esempi di santità tra i sovrani.

Ma Cristo è Re è sovrano. La sua sovranità si contraddistingue nella logica del servizio non del potere.

Il brano del Vangelo proposto ci presenta un Gesù deriso dal potere del tempo rappresentato da Pilato. Eppure questo Gesù è Colui che con il suo esempio interroga l'uomo. "Che cosa è la Verità?" E' la domanda che Pilato pone a Gesù. Non risponde Gesù perché come dicono alcuni studiosi è Lui stesso la Verità.

La regalità che Gesù pone è la regalità della Verità.

Dio è re perché Egli stesso dà la vita per i nemici. I primi a beneficare della croce di Cristo sono proprio coloro che lo hanno messo in croce. L'amore guarisce le ferite di chi ha provocato le ferite. Dio è re che esercita un potere capovolto. Egli ha iniziato la vita su un trono e finirà su un altro trono. E'passato dalla mangiatoia alla croce. In questi versetti siamo all'apice del dialogo con Pilato: "Sono venuto...per dare testimonianza alla verità". Gesù è il testimone della Verità e a questo punto ecco la grande domanda: "Che cos'è la verità?". Gesù testimonia, cioè vive la verità. Finché ci poniamo sull'ambito filosofico - come Pilato - sulla verità, nella nostra vita non cambia nulla. La verità come concetto astratto non esiste! Esiste l'uomo che vive la verità. Si fa verità soltanto nella libertà e nella giustizia

Questi sono i pilastri di un'autorità che si pone al servizio. Mancando queste dimensioni il rischio è che ogni realtà di servizio si vive nella dimensione del potere e quindi di un qualcosa che non si riesce a condividere e si tiene gelosamente.

Gesù si è annientato per servire e per mostrare a pieno una regalità. I santi di cui abbiamo parlato hanno vissuto in quest'ottica e noi non chiamati a essere sovrani, siamo invitati tuttavia a porci in una logica come quella tracciata negli ambiti in cui siamo chiamati a operare. Allora una responsabilità non diventa potere, ma condivisione vera di un servizio.