Omelia (22-11-2015)
don Giacomo Falco Brini
Per questo io sono nato

Domenica scorsa abbiamo ascoltato dal vangelo di Marco una parte del discorso escatologico del Signore. Egli ci assicura che la storia dell'umanità ha una meta ben precisa, certissima: il suo corso volge verso un fine in cui tutti gli uomini saranno chiamati a render conto della propria vita davanti a Colui che ha vinto il mondo e che tiene saldo nelle sue mani il destino di ogni essere umano. Perciò, di fronte al dilagare del male in tutte le sue forme e di fronte agli attesi sconvolgimenti umani e cosmici, siamo chiamati a non farci disorientare, ma piuttosto a ricordarci delle sue infallibili parole: anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che Egli è vicino (Mc 13,29).


Della festa solenne di Cristo Re (che mi piace tantissimo) devo ammettere però che non ho mai sentito molta sintonia su come la si celebrava in passato o come la si celebra talvolta ancora oggi. Troni, corone auree e grandi fasti, non mi sembra si addicano alla regalità manifestatasi in nostro Signore che finisce per arrivare a lavare i nostri piedi e a morire con una corona di spine come un delinquente qualificato; e se da un lato è umanamente comprensibile che celebriamo la festa in questo modo anche solo per voler dimostrare il nostro affetto, dall'altro ci fa bene guardare come la regalità di Gesù cresce in modo del tutto opposto e inatteso nel racconto dei vangeli. In Giovanni il tema della regalità di Cristo domina la scena del processo davanti a Pilato. Siamo nel vivo della passione. Dopo la discussione con i giudei circa la necessità o meno del suo giudizio, il procuratore romano si fa condurre Gesù per interrogarlo sulla sua identità e sul suo operato. La genialità dell'evangelista fa sì che la narrazione di quel processo inviti noi lettori a scoprire cosa esso rappresenta realmente. E' il processo che attraversa tutta la storia umana: quello che vede di fronte il mondo e Gesù, il mondo e il discepolo, l'ipocrisia e la verità, il potere e l'amore. Così anche i personaggi storici del racconto diventano simbolici. I giudei incarnano l'incredulità religiosa quale primo esempio di rifiuto che continuerà a manifestarsi in tante forme nel mondo, Pilato invece il potere politico che si oppone alla verità perché lo mette in crisi. Perciò, il racconto va letto su due piani, quello storico e quello della fede che legge la storia. Quello che ne esce è, come sempre, sorprendente. Gesù, da persona sotto interrogatorio diventa colui che interroga, da uomo sottoposto a giudizio diventa giudice, da arrestato come malfattore diventa ai nostri occhi l'unico uomo autenticamente libero tra tutti i protagonisti.


Pilato domanda a Gesù se Lui è il re dei giudei. Il Signore risponde con un'altra domanda (v.34) che ha più o meno questo senso: me lo stai chiedendo perché la domanda è proprio tua, cioè nasce da te, da un tuo interesse sulla mia persona, oppure la tua domanda nasce da qualcos'altro, per esempio da quello che gli altri ti propinano, magari dalla paura di quello che altri ti stanno dicendo sul mio conto? La prima reazione di Pilato è di difesa. Egli rivolge a Gesù altrettanti interrogativi: sono forse io giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti... cosa hai fatto? (v.35), sono parole già degne di quel gesto che compirà a conclusione del lungo processo. Infatti, di quanto sta per accadere, lui se ne laverà le mani. A volte capita di incontrare persone che vengono a sottopormi delle questioni che apparentemente si presentano come interrogativi personali. In realtà, appena il dialogo rischia di coinvolgere la loro libertà o posizione di fronte al problema, trovano mille giustificazioni per non affrontarlo nella sua verità, giustificazioni che di solito riguardano la paura di assumere una responsabilità o di essere messi in discussione. Gesù rispose: "Il mio regno non è di questo mondo..." (v.36). Il Signore, cercando il dialogo anche con il procuratore romano, afferma la totale estraneità del suo regno al modo di regnare dei poteri terreni. La sua parola incuriosisce nuovamente Pilato e lo muove a una ulteriore domanda sulla sua regalità (v.37a). E qui Gesù afferma la sua regalità collegandola al mistero della sua persona e alla verità (v.37b). Alcuni anni fa l'attore e regista americano Mel Gibson ha offerto nel film La passione di Cristo qualche spunto interessante circa la figura controversa di Ponzio Pilato. Nel film lo vediamo in un crescendo di indecisione e di paura davanti all'odio che i capi e il popolo manifestano verso Gesù. Lo troviamo poi in un vero e proprio tormento quando la moglie gli suggerisce di lasciarlo libero a motivo di un sogno fatto su di Lui. Dopo aver interrogato Gesù, Pilato rientra a casa sua e ripete alla moglie la stessa domanda con cui si conclude l'interrogatorio: quid est veritas Claudia? Mi colpì molto quello che il regista pose sulla bocca della donna come risposta: Pilato, nessuno ti può dire cos'è la verità se tu non l'ascolti. E già, quale verità si può far largo in una persona che non si mette in autentico ascolto dell'altro? Quale verità può entrare nel cuore di chi mette al centro di un dialogo non l'altro da ascoltare, ma il proprio interesse da proteggere?


Il prosieguo del racconto evangelico lo conosciamo. Il processo a Gesù fa uscire il vero volto del potere di questo mondo, religioso o politico che sia, e il vero volto di Dio e del suo regno; mette a nudo i mezzi che il potere usa per far valere le proprie ragioni, ossia per mantenere al sicuro i propri interessi (che poi sono proprio i mezzi che il Signore scarta), e la verità offesa e sacrificata sull'altare di quegli stessi interessi. Tutta la storia della salvezza si contraddistingue nella Bibbia per un costante scontro tra Dio (sempre dalla parte degli oppressi) e il potere, quando quest'ultimo non cerca la verità ma il proprio tornaconto a spese del popolo. Gesù davanti a Pilato ci ricorda poi che la verità è tale perché disarmata. E non potrebbe essere diversamente. In tutta la sua vita Gesù, nostra via, verità e vita, ci ha mostrato fino alla fine che Dio conosce un solo potere, che è l'unica forma del suo essere re: il potere dell'amore che si fa servizio per gli altri fino al dono della vita. Nel volto di Gesù non soltanto risplende la verità di Dio ma anche quella dell'uomo; ecco allora che ogni uomo che voglia davvero essere libero ascolterà la voce del Signore assicurarci che la sua libertà e regalità è un dono per chi rimane fermo (e rischia) sulla sua parola: chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce (v.37b). E ancora: se rimanete nella mia parola sarete miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi (Gv 8,31-32).


Per questo io sono nato (v.37b), dice Gesù a proposito del suo essere re. E noi, facendo eco alle sue parole, se davvero scommettiamo su di esse, possiamo dire che per questo siamo nati: per condividere, come figli e fratelli suoi, la sua regalità e libertà. Quale potente di questo mondo lo farebbe? Signore Gesù, davvero tu ci hai portato il regno di un altro mondo!



"Il giorno in cui il potere dell'amore supererà l'amore per il potere, il mondo potrà scoprire la via che conduce alla pace" (M. Gandhi)