Omelia (01-01-2005) |
don Mario Campisi |
Per te fu donata la pace Da poche ore, salutato dai botti e dai tappi di spumante, l'anno nuovo ha fatto irruzione nella nostra vita. "Buon anno!" diciamo a tutti e stringiamo mille mani per esprimere ai nostri compagni di viaggio, imbarcati con noi sulla nave della vita, l'auspicio di tanta felicità. Non c'è nulla di più bello e di più sacro di questo intreccio di mani, fatto a capodanno: dovrebbe essere il simbolo di una volontà di amore, di apertura, di dialogo, di impegno a costruire un fitto reticolato di solidarietà tra tutti gli uomini, nella giustizia e nella fratellanza. Se davvero ognuno di noi, per rendere il mondo più umano, mettesse nel corso di tutto l'anno lo stesso puntiglio con cui in queste ore dona e riceve gli auguri, la causa della pace nel mondo sarebbe già mezza risolta. Purtroppo, però, in questo scambio di auguri e di felicitazioni prevale più lo scongiuro che il senso della speranza cristiana. Sembra quasi che si voglia esorcizzare il nuovo anno con formule scaramantiche, gravide di paure più che di promesse. Diciamo "auguri", ma ci trema la voce. Stringiamo la mano, ma il braccio è malfermo. E' che siamo sopraffatti dallo scoraggiamento, rassegnati di fronte agli insuccessi, appesantiti dalla violenza e dall'odio presenti nel mondo. Nonostante tutto, però, di fronte ad un anno che nasce a noi credenti è severamente proibito essere pessimisti. E' un atteggiamento che non possiamo assolutamente assumere, perché se c'è qualcosa che il domani contiene, questo ha un nome: la speranza di oggi. Non lasciamoci, perciò, sopraffare dalla ineluttabilità del male. Poniamo gesti significativi di riconciliazione. Svegliamo l'aurora. Proclamiamo sempre più con le opere e sempre meno con le chiacchiere che Gesù Cristo è vivo e cammina con noi. Nostra speranza è, oggi, la pace. In questo primo dell'anno, da quando Papa Paolo VI l'ha scelto per la celebrazione della "Giornata mondiale della pace", l'augurio di riconciliazione e di solidarietà scavalca la sfera dei rapporti strettamente personali e raggiunge gli estremi confini della terra. E' molto significativo che l'anno nuovo cominci proprio con questo impegno, sottolineato da un particolare tema di riflessione proposto dal Papa. Per noi credenti la giornata della pace non può essere solo un rito da celebrare. Se non ci scomoda. se non ci fa stare sulle spine, se non ci sollecita a scelte che contano, sarà solo l'occasione per una risciacquata di buone emozioni. Gravi situazioni di "non pace" sono presenti ancora nel mondo. Le logiche di guerra continuano ancora, anche se dai campi di battaglia si sono trasferiti sui tavoli dell'economia mondiale che va a penalizzare i popoli poveri. La corsa alle armi, nonostante i grandi segnali positivi lanciati dalle grande potenze militari, non accenna a fermarsi. La militarizzazione del territorio è ancora un modus vivendi. La connessione tra malavita organizzata internazionale, commercio di armi e commercio di droga si fa sempre più vergognosa. La violazione dei diritti umani, espressa a volte su popoli interi, continua a turbarci. Il degrado ambientale ci fa cogliere in positivo i nodi che legano pace, giustizia e salvaguardia del creato. Di fronte a questo quadro, il lamento deve prevalere sulla danza? No, nel modo più assoluto. Bisogna però prendere posizione. Quella di oggi deve essere una giornata che provoca il passaggio da una terra all'altra, richiesto alla nostra coscienza cristiana. Perciò la non violenza, la giustizia, la pace devono diventare proposito concreto da esprimere tutto l'anno. Nella messa di oggi ci sono offerti due segni che fanno prevalere la speranza sulla tristezza del futuro. Il primo è il volto del Padre. Il Signore ci aiuterà. Imploriamolo con la preghiera. Se, come abbiamo ascoltato nella prima lettura (v.25), egli farà "brillare il suo volto su di noi", non avremo bisogno di scomodare gli oroscopi per pronosticare un futuro gonfio di promesse. Tutto questo significa che dobbiamo camminare alla luce del suo "volto" e, riscoperta la tenerezza della sua paternità, impegnarci una buona volta nell'osservanza della sua legge. Il secondo è il grembo della Madre. Tutti i nostri buoni propositi prenderanno carne e sangue se saranno gestiti nel grembo di Maria. Questo è il luogo teologico fondamentale, dove i grandi progetti di salvezza si fanno evento. Il figlio della pace ha trovato dimora in quel grembo duemila anni fa. Oggi è solo in quel grembo che avrà concepimento e gestazione la pace dei figli. Per cui la festa di Maria Madre di Dio, mentre ci ricorda le altezze di gloria a cui la creatura umana è stata chiamata, ci esorta anche a sentirci così teneramente figli di lei, da riscoprire in quell'unico grembo le ragioni ultime del nostro impegno di fratellanza e di pace. |