Omelia (29-11-2015) |
Michele Antonio Corona |
Inizia un nuovo anno liturgico con il suo ritmo e il rincorrersi di tempi forti e tempo ordinario. Il rischio è quello di inserirsi in questo tempo come un déjà-vu, un "già visto", "non c'è nulla di nuovo sotto il sole". Spesso si vive col sentimento dell'abitudine, con sguardo sufficiente verso la novità evangelica e con mani bloccate dal poco entusiasmo. In modo molto significativo il vangelo della domenica precedente a Cristo Re, che chiudeva la lettura annuale di Marco, era il discorso escatologico. Anche questa domenica di apertura della lettura di Luca viene presentato lo stesso genere di discorso di Gesù. Sembra, così, che ciò che abbiamo lasciato nel ciclo di letture B sia immediatamente ripreso dal ciclo C. Ed è proprio questo il primo accenno alla novità evangelica: essa si presenta non come un qualcosa di prepotente e invasivo, ma continua ad accompagnarci in modo chiaro e discreto. Ciò che è stato presentato "l'anno scorso" come orizzonte per una vita innestata nella speranza è ribadito ad inizio d'anno liturgico. Scrive Luca: "Risollevatevi e alzate il capo, la vostra liberazione è vicina". Un'ammonizione di Gesù che è tutt'altro che un ordine, ma è un grido di speranza, di salvezza, di forza. Proprio nel momento in cui tutto sembra remarci contro (come nell'episodio della tempesta sedata), quando morte e dolore credono di poter dire l'ultima parola (Lazzaro), il giorno in cui l'unico alito di vita ci viene strappato (vedova di Nain) è Gesù a passare. Nell'apparente vuota ciclicità degli anni liturgici, la novità è tutta in Lui che libera e salva. Nella nostra vita concreta viviamo continuamente esperienze di ciclicità: tutti giorni al lavoro, quotidianamente a scuola, settimanalmente alla messa domenicale, impegni di sport e hobby vari. Di questa routine non ci risulta noioso tutto ciò che facciamo con piacere, di cui comprendiamo l'utilità e che ci fa stare bene. Anche quando la giornata ci ha stancato e reso meno docili alla novità, siamo felici di dedicare un po' di tempo a qualcosa che ci ristori. Ecco che la prima lettura ci viene incontro per presentarci dei "giorni nei quali Dio realizza le promesse di bene". L'attesa di vedere quei giorni non è momento di nostalgia o di disperazione compulsiva, ma è già realizzazione. Ciò che è importante è saper riconoscere il germoglio della parola di Dio, che non si impone violentemente, ma fiorisce delicatamente e meravigliosamente. La prepotenza dei fenomeni atmosferici descritti nel vangelo evoca il contrario dell'agire di Dio. Ciò che mette paura ed incute terrore non è in sintonia con Dio, il quale "si confida con chi lo teme e gli fa conoscere la sua alleanza" (salmo). Il timore dell'uomo che si rapporta a Dio non è connesso con l'esperienza di un servo ed il suo padrone, ma di un figlio col proprio padre. Timore di perdere, timore di allontanarsi, timore di lacerare il rapporto, timore di appesantire la relazione instaurata. Paolo declina questo genere di timore con la preghiera di intercessione per i cristiani di Tessalonica: "il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell'amore fra voi e verso tutti". Il dono del Padre non è "tesoro geloso", ma è apertura di cuore, spalancamento di braccia, santità di sguardi. Ecco il motivo per cui il vangelo esorta a fuggire le lacerazione interiori, le dissipazioni schizofreniche, il rincorrere idoli o farsi fagocitare dagli affanni della vita. Rimanere invischiati in queste cose equivale a farsi prendere al laccio come un preda che rimane schiava a causa della propria bramosia. L'esortazione finale a vegliare rappresenta la chiave di volta per rimanere integri e "rendere i cuori saldi e irreprensibili nella santità". Chi ha il coraggio di attendere, di stare sveglio, di guardare oltre il proprio mondo prepara il cuore a qualcosa di grande che gli verrà dato gratuitamente: la liberazione che si avvicina. La preghiera di colletta ci aiuta a rendere questa parola preghiera al Padre: "Padre santo, che mantieni nei secoli le tue promesse, rialza il capo dell'umanità oppressa da tanti mali e apri i nostri cuori alla speranza, perché sappiamo attendere senza turbamento il ritorno glorioso del Cristo, giudice e salvatore". |