Omelia (29-11-2015)
don Luciano Cantini
Paura e liberazione

Gli uomini moriranno per la paura

Quando parliamo di paura intendiamo sia il timore, l'apprensione, la preoccupazione, l'inquietudine che generano una sorta di esitazione, sono aspetti naturali della fisiologia dell'uomo; ma ci sono anche gli aspetti patologici - a cui Gesù sta facendo riferimento - come l'ansia, il terrore e il panico che invece di aver un'azione allertante e di salvaguardia diventano immobilizzanti dell'azione e del pensiero, ci rendono incapaci di reagire.

È assai plausibile che l'autore del testo abbia davanti agli occhi l'esperienza tremenda dell'assedio di Gerusalemme (Cf Lc 12,24) e la distruzione del Tempio nel 70 d.C.. Fu un'esperienza terribile, di una tragicità inaudita, inimmaginabile, senza alcuna pietà - almeno dal racconto che ne fa Giuseppe Flavio - che segnò profondamente la popolazione ebraica che da allora si è sparpagliata in ogni dove.

In questa pagina del vangelo ci è detto che gli uomini moriranno per la paura perché la paura, che è cattiva consigliera, ci fa scappare, cercare l'angolo nascosto, il rifugio sicuro in cui rannicchiarsi e chiudersi, in altre parole morire alla vita e a se stessi.


Risollevatevi e alzate il capo

L'evangelista ci chiede di affrancarci dalla paura - risollevatevi e alzate il capo - aprirsi, rimettersi in piedi, riacquisire fiducia e sicurezza guardando lontano perché la vostra liberazione è vicina.
Rinchiudersi, tapparsi gli occhi per non vedere, non serve a nessuno, crearsi un piccolo mondo di tranquillità non giova. Eppure sembra essere salutare rinchiudersi in casa propria, senza dare molta confidenza limitandosi a non fare del male a nessuno, riducendo le relazioni al minimo indispensabile e fare del bene solamente "quando capita" e "se posso". Gli altri fanno paura, fa paura la diversità, lo straniero: il sospetto si è insinuato in molti cuori, le relazioni e la convivenza sono a rischio.

Invece la realtà va affrontata faccia a faccia con la dignità e la risolutezza dell'uomo ormai liberato.


La vostra liberazione

Non dobbiamo pensare che la liberazione sia un evento esterno all'uomo come l'arrivo di un commando che con la forza produca effetti liberatori. Il più delle volte non è così, anzi il rischio nell'uso della forza è sempre quello di passare da una schiavitù ad un'altra, in una sorta di involuzione della storia che ci fa penetrare sempre più in fondo di un labirinto senza uscite. Non è dato che distruggendo ciò che ci fa paura o annientando coloro che ci spaventano si giunga ad una vera liberazione; altre paure prenderanno il loro posto. Solo la libertà che seminata nell'uomo viene lasciata crescere, la libertà interiore ha il potere di segare le sbarre che l'uomo, il mondo e la storia hanno costruito.


Comparire davanti al Figlio dell'uomo

L'avvento, che con questa domenica ha inizio, oscilla tra l'esperienza storica della prima venuta di Cristo di cui la Chiesa è testimone e la seconda venuta, quella alla fine dei tempi. Se nel primo Avvento il Signore si è manifestato in tutta la debolezza della condizione umana (cf 2 Cor 13,4) nel secondo si manifesterà in tutta la sua potenza. Comparire davanti al Figlio dell'uomo, non è un fatto futuribile che improvvisamente si parerà davanti, ma l'esperienza quotidiana di chi è capace di guardare il mondo, la storia, le cose e anche la Chiesa, con Fede.

Lo sguardo della Fede permette di vedere quello che lo Spirito fa nascere, la Promessa che si sta realizzando, le cose nuove che ci fanno intravedere il suo compimento. Lo sguardo di Fede ci fa scoprire l'impegno nuovo da assumere per costruire il futuro. Lo sguardo di Fede è capace di vedere il Signore che sta venendo ha la forza di liberarci dai condizionamenti contingenti, dalla piccolezza a cui sembriamo condannati, alla visione ristretta dai paraocchi che le nostre paure ci hanno costruito addosso. Lo sguardo di fede ci permette di metterci "davanti" al Figlio dell'uomo, nella nostra nudità e verità, ma anche nella festa di un incontro che ci riveste di prospettiva e ci ricolma di speranza.