Omelia (29-11-2015)
don Maurizio Prandi
La promessa d Dio

Comincia, con questa prima domenica di Avvento un nuovo anno liturgico. Come ben sapete sarà caratterizzato in modo particolare dal Giubileo della Misericordia istituito da papa Francesco. Cercheremo di scoprire insieme, domenica dopo domenica, le tracce di misericordia che la Scrittura ci offrirà. Una prima traccia di misericordia che vi propongo sono i bambini, quelli che l'anno prossimo riceveranno la Prima Comunione e ai quali, in questa domenica consegneremo l'invito alla Festa, al Banchetto che Gesù rivolge loro. E' una comunità che invita i bambini e le loro famiglie alla celebrazione dell'Eucaristia, è una comunità che invita a fare un gesto e pronunciare una parola: spezzare il pane e dire: è un pane per voi; è una comunità che invita al servizio, alla lavanda dei piedi e dire: avete imparato la bellezza e l'importanza di questo gesto, fatelo a tutti!

Mi piace allora sottolineare la totale consonanza di quanto proponiamo in questa domenica con la prima lettura che abbiamo ascoltato e ci parla di un Dio che vuole il nostro bene, che promette e desidera per noi il bene. Invitandoli alla festa di Prima Comunione, facciamo anche noi una promessa di bene ai nostri bambini. Ma, cosa promettiamo loro, come comunità, come famiglie? Di certo non promettiamo una vita tranquilla, sicura, agiata, di successo, non possiamo promettere niente di più di quello che Dio promette: consegnare Dio che si fa pane, è promettere che in loro germoglierà la vita di Gesù. Qualcosa, qualcuno germoglierà! Per Davide farò germogliare: ecco una prima, bellissima traccia di misericordia allora: una vita che germoglia, una vita che splende, una vita (scusate la ripetizione e lo stress, domenica dopo domenica) capace di ricevere e prendere una direzione.

Continuo a ripensare a cose scritte tempo fa che sento ancora vive e importanti per me, forse un po' per tutti noi, perché la liturgia della parola ci parla di un futuro che comincia nel presente; la traduzione letterale è: vengono giorni in cui Dio... quindi un presente nel quale Dio opera, costruisce e compirà la promessa. Dio continuamente è all'opera e compie la sua promessa. Giovedì abbiamo vissuto un bell'incontro di formazione per la comunità degli educatori e dei catechisti, dove don Gero ci ha parlato della pazienza di Dio, del tempo disteso del suo amore e della sua misericordia. Non si è mai stancato Dio, di ricordarci quanto ama e vuole bene al suo popolo: lo ha fatto con Caino, lo ha fatto con Israele nel deserto, lo ha fatto con Giona che, sempre più scocciato per la conversione del nemico, non accettava il volto di un Dio amante dell'uomo. Che bello allora questo: pensando proprio al presente, possiamo dire che i nostri giorni, tutti i nostri giorni sono importanti, decisivi, perché Dio lavora, perché Dio è presente, perché Dio desidera dare unità alla nostra vita. Di più. La promessa è fatta a Israele e a Giuda, le due realtà in cui il popolo era diviso (anche nelle deportazioni: Israele deportato dagli Assiri, Giuda deportato dai Babilonesi). Ma in che cosa consiste questa promessa? Ricordo con piacere la sottolineatura che la comunità di don G. Dossetti fa indicando la traduzione letterale: vengono giorni nei quali io compirò la parola buona. Dio realizzerà la parola buona e l'Avvento diviene il tempo per radicarci in questa certezza: Gesù è la parola buona che compie tutte le promesse di Dio. Quella parola che desideriamo seminare nei cuori dei bambini della prima comunione e nel cuore di ogni persona.

Davvero notevole anche la seconda lettura, che all'inizio di un anno ci fa una proposta tanto impegnativa quanto affascinante: non semplicemente crescere, ma abbondare e sovrabbondare nell'amore. È l'atteggiamento con il quale vivere non solo il tempo di Avvento, ma direi la vita intera: il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell'amore fra voi e verso tutti. Amarsi, è il modo migliore per attendere il ritorno di Gesù! E la traduzione letterale come anticipavo dice: abbondare e sovrabbondare. Io non so se sono capace di farlo, però mi pare di poter dire che vive veramente solo chi è capace di abbondare e sovrabbondare. Il papa nella messa a L'Avana ricordate diceva che chi non vive per servire non serve per vivere: ecco, credo che il senso di quello che scrive san Paolo sia un pochino questo. Questa frase la sento scritta per tutte quelle volte che mi metto a calcolare, che penso di risparmiare, che penso al futuro, a come farò. L'importante, come si diceva due domeniche fa, è il ramo che si fa tenero ora, è questo abbondare e sovrabbondare ora, perché se si pensa troppo al domani (tentazione viva anche in questa domenica, dove il contenuto del vangelo può fare venire una punta di ansia), si perde la bellezza dell'abbondare e sovrabbondare, come scrivevo prima, nel presente. Anche perché è Dio che per primo abbonda e sovrabbonda facendosi uomo. Se l'Avvento è questo sperare fiducioso, attesa di un Dio che abbonda e sovrabbonda nell'amore consegnandosi a noi nel sorriso di un Bambino ed io scelgo la via della parsimonia e della misura stretta, non potrò mai capire né l'avvento, né il Natale, né la Pasqua, né un fratello o una sorella quando mi regalano tempo, parole, presenza. Come siamo noiosi con noi stessi per paura di spenderci sempre; non siamo gente che abbondiamo, siamo dei raffinati calcolatori (d. Dossetti).

Il vangelo ci invita ad uscire, a mettere il naso fuori di casa, fuori dalla cerchia delle nostre amicizie, a guardare in alto per vedere i segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e per vedere l'angoscia sulla terra. Il Vangelo ci prende per mano, ci porta fuori dalla porta di casa, a guardare in alto, a percepire il mondo e le vite pulsare attorno a noi, a sentirci parte di una immensa vita (Ronchi) vita che patisce, che soffre, che si contorce a volte. Penso alla vita di alcune persone, e a come sono chiamato a farmi vicino, perché in quello che sembrava il sole un segno lo ha oscurato; forse sarà solo un rendersi conto, un constatare, ma non posso non rimanere segnato, non posso non lasciarmi toccare e provare ad essere presenza che risolleva, che invita a guardare in alto.

Sento il brano di Vangelo come un invito a (e penso all'incontro che abbiamo fatto con gli universitari lunedì scorso), guardare oltre, a interrogarmi circa la fede. Gesù ci dice che questo nostro mondo, fatto di segni che possono preoccupare e fare paura, ne porta un altro dentro di se: è questione di cambiare sguardo, di guardare oltre. Un mondo più buono e più giusto, dove tante persone sono il segno di Dio che viene, che si fa vicino. Pensiamo a papa Francesco l'altro giorno, nella baraccopoli forse più grande di Nairobi. Ecco, quelli che vivono lì, sì che possono dire di vedere i segni nel sole, nella luna, nelle stelle. Case fatte di cartone e di lamiera, senz'acqua e fogna e un papa entra lì: senza fare tanti discorsi sulla povertà, semplicemente dicendo: oggi mi sento a casa... ecco cosa vuol dire vedere il Figlio dell'Uomo venire con potenza e gloria grande. Cosa c'è di più potente di qualcuno che credi sia distante e invece visita le tue povertà e così facendo ti libera, riaccendendo sole, luna e stelle. È sufficiente cambiare sguardo per essere segno della presenza e della misericordia di Dio.