Omelia (01-01-2005) |
mons. Antonio Riboldi |
Ogni giorno sia un respiro di amore Fa tanta festa, il mondo, alla fine e al principio di un anno. Per un attimo si dimentica tutto quello che era alle spalle ed è come si tirasse un respiro di sollievo per poter continuare a vivere. In un certo senso, anche se discutibile, questo fare festa al tempo, è dare importanza alla vita, grande dono di Dio. "Ce l'abbiamo fatta - direbbero in tanti - nonostante tutto, gioie, speranze sofferenze e angosce, ci siamo ancora". Sì, Dio ci fa dono - e non sappiamo fino a quando, perché siamo nelle sue amorevoli mani, e questo dono durerà. Sappiamo tutti che la vita, il tempo, agli occhi di noi uomini è spesso un pensare solo a come riempirlo di successi, di benessere o di altro, dimenticando come tutto è un bello, ma inevitabile passaggio, o pellegrinaggio verso l'eternità, che è davvero "il giorno senza più tramonto e fine", in pienezza di felicità, vicini a Dio, se lo meriteremo, ossia se avremo saputo dare alla vita il "senso giusto, la giusta direzione", che Dio ci chiede. Non è lecito per nessuno sprecare anche un minuto fuori dal disegno di Dio: perché il tempo è "grazia", ossia "amore", "dono" e non può ridursi a sciocchezza pericolosa. La saggezza vorrebbe che proprio oggi, da buoni amministratori del tempo, dessimo uno sguardo al nostro "diario" dell'anno che se ne va, per vedere cosa contiene. Forse e zeppo di errori, fatti più per ignoranza che per cattiveria, che spero non ci sia mai in noi. A questo punto è cosa di somma saggezza, chiudendo l'anno, affidare il nostro diario, anche se zeppo di errori, alla misericordia di Dio e guardare al futuro con fede, e seria volontà di bene. Ricordo il mio primo giorno di scuola, che è in un certo senso l'inizio della nostra vita impegnata. La maestra ci aveva dato come compito di tracciare su un quadernetto le famose 'linee' diritte e di traverso. Mi misi subito all'opera a casa. Mamma mi fornì un quaderno di poche pagine, una penna con pennino e inchiostro. Ce la misi tutta a riempire la pagina prescritta, rompendo cinque pennini, che usavo come fossero zappe, trapassando tutti i fogli del quaderno e sporcando il tavolo di inchiostro. Ero sicuro di avere fatto un buon lavoro. Quando mamma venne a vedere il mio "capolavoro", non si arrabbiò. Mi disse, incoraggiandomi: "Come inizio non c'è male...chissà cosa diventerai!" E così farà Dio, mostrandoGli il nostro diario zeppo di errori. Lui, vedendo la nostra buona volontà - ma occorre tanta buona volontà - ci farà coraggio dicendoci: "Vai avanti, anche bucando le pagine, io ti suggerisco con la mia Grazia, ti ispiro con il mio Spirito e se mi ascolterai davvero diverrai grande, ossia santo". Viene spontaneo allora farvi i miei auguri con la gioia di un fratello e con le parole di Mosè: "Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda la pace" (Num. 6,22-26). Oggi la Chiesa, ancora una volta, alza il forte richiamo alla pace. Questo grido di Dio, il Dio della pace, non può mai smettere di farsi sentire, perché la pace è un bene cui nessuno può rinunciare, ma deve vederci tutti impegnati a costruirla giorno per giorno. Non possiamo vivere con la paura addosso che un giorno o l'altro l'umanità conosca una catastrofe generata dalla violenza o dalla guerra. A nessuno è lecito vivere limitandosi a guardare od aspettare inerti. Le guerre insegnano solo che le armi sono sempre più sofisticate e micidiali fino ad uccidere non solo gli uomini, ma la stessa natura. La guerra, comunque la si chiami, genera solo dolore, morte. E' vero che in questi anni il mondo si è mobilitato per la pace...e non è stato ascoltato dai cosiddetti "grandi della terra", che non tengono conto dei nostri diritti, dando la precedenza ai loro interessi. E allora bisogna non solo alzare la voce e urlare il proprio dissenso, ma costruirla, la pace. Ascoltiamo Paolo VI: "L'amore è l'arte della pace: esso genera una pedagogia nuova che è tutta da rifare, se pensiamo come dai giochi dei nostri fanciulli fino a certi trattati di filosofia della storia, la lite, la lotta, la misura della forza, la utilità della violenza sembrano costituire una necessità, una bandiera d'onore, una fonte di interessi. Sopratutto l'amore, sì, l'amore cristiano riuscirà a svellere dal profondo del cuore l'avvelenata e tenace radice della vendetta, dei "regolamenti dei conti", "dell'occhio per occhio, dente per dente", donde poi sangue, rappresaglie e rovine discendono collegate a catena, come un perpetuo obbligo d'ignobile onore? Riuscirà l'amore a disinfettare certi sedimenti psicologici collettivi, certi bassifondi sociali dove la mafia ha una sua segreta legge spietata, riuscirà a fare decadere la camorra popolare, o la faida privata o comunitaria, o la lotta tribale, quasi ossessionanti falsi doveri, generanti un loro cieco impegno fatale? Riuscirà a placare certi orgogli nazionalistici o razziali che si tramandano inesorabili dall'una all'altra generazione, preparando rivincite che sono per entrambi le contendenti, odi nefasti, stragi inevitabili? Sì, l'amore riuscirà, perché ce lo ha insegnato Gesù Cristo che ha inserito l'impegno nella preghiera per eccellenza, il "Padre nostro" obbligando le nostre labbra a ripetere le parole prodigiose del 'perdono'. "Rimetti a noi, o Padre i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori...". L'uomo un essere buono in partenza, deve ritornare a essere buono" (Epifania, 1975). La Chiesa oggi, oltre che parlarci di pace ed invitarci a costruire race con l'amore, ci mette tutti sotto la protezione e la guida di Maria, "donna di pace e di grande amore". Donna che ha saputo attraversare la difficile vita con Giuseppe e Gesù a Betlemme, accettando con sofferenza e serenità l'odio di Erode, che voleva uccidere Gesù, perché temeva in Lui "un impossibile concorrente", fuggendo in Egitto. E chissà quante volte si è imbattuta, nella vita feriale a Nazareth, con la quotidiana cattiveria, che non risparmia alcuno, neppure i buoni. Chissà quante volte ha tremato per il Figlio, durante la vita pubblica, a volte amato, a volte odiato, solo perché indicava ed era la Verità. Sono belle le parole con cui Luca descrive, nel Vangelo, l'atteggiamento di MAria: "Maria, da parte sua serbava tutte queste cose meditandole in cuor suo" (Lc. 2,16-21). Fino alla crocifissione, quando accettò l'odio della gente verso il Figlio, che fu annientato in tutti i sensi, crocifisso. Ma lei sapeva che la pace di Dio per noi doveva passare per quel dono della vita. E l'amore per noi si espresse con quelle divine parole: "Padre, perdona loro, non sanno quello che fanno". Fa davvero meditare il silenzio di Maria, che è l'irrepetibile amore di una Mamma, che conosceva come l'amore si fa dono e in Dio si fa pace per noi. Ma Maria è anche nostra Mamma. E' l'estremo dono di Gesù, Suo diletto figlio, dalla croce: "Donna ecco tuo figlio". "Figlio ecco tua mamma": io, voi, tutti. Mettendoci in cammino per il nuovo anno, ci assale sempre il timore delle nostre debolezze. Temiamo di tornare a sbagliare. Sappiamo. anche se non lo confessiamo apertamente, quanto è gracile la nostra natura umana, veloce nel fare buoni propositi, ma altrettanto veloce nel fare il male. Ma è proprio della mamma vegliare sui nostri passi, pronta a darci consigli buoni, come solo le mamme sanno dare perché amano di vero amore: e pronte a prenderci in braccio, come il Padre, quando usciamo dalla via santa. E allora guardiamo a Lei, la Mamma celeste che ci vuole quel bene di cui abbiamo bisogno. Mettiamo le nostre mani nelle sue, sapendo che lei non abbandona mai le nostre. E' bello allora pensare e pregare questo inizio di anno, con la gioia di saperci sotto lo sguardo della Mamma Celeste, Maria. Con Madre Teresa metto quest'anno tutti voi, nelle mani di Dio. "Signore, io sono piccolo strumento. Molto spesso ho l'impressione di essere il mozzicone di una matita fra le tue mani. Sei tu che pensi, sei tu che agisci. Fa' che io non sia nient'altro che quella matita. Tu mi hai mandata. Non ho scelto io di andare. Tu mi hai mandata non ad insegnare, ma ad imparare: imparare ad essere mite ed umile di cuore. Tu mi hai mandata a servire e non a essere servita. Servire con cuore umile. E tu mi dici: và per essere gioia nel mondo. Và presso i poveri con zelo e amore. Scegli le cose più dure....Và ad imparare e servire. Condividi con cuore umile ciò che hai ricevuto. Và verso chi ha bisogno con grande tenerezza. Và a donarti senza riserva" QUESTO E' IL BUON ANNO CHE VI AUGURO CON MARIA E BENEDICENDOVI CON QUELL'AFFETTO CHE IN GESU' ORA CI HA FATTO UNA COSA SOLA. VI ABBRACCIO E BENEDICO. ------------- Avevo appena finito la riflessione per Capodanno, quando i mass media ci hanno decritto della immane ferita a tutta l'umanità con il terremoto e maremoto che ha colpito parte dell'Asia. Erano "isole felici", come pennellate di capolavori del creato, divenute meta di sollievo per tanti di tutta la terra, e nello stesso tempo speranza di futuro per i poveri che l'abitavano. Sono bastati pochi minuti a cancellare bellezza e sollievo, lasciando alle spalle migliaia di morti, (tra cui anche una decina di italiani per il momento e tanti dispersi) un immane dolore con le decine di migliaia di morti, e tante speranze finite nel nulla, come vedersi improvvisamente "nudi" davanti alla vita. Facile scrivere tutto questo: facile farsi coinvolgere dal dolore quasi a dare ragione a quanto il documento conciliare "Gaudiam et spes" dice nel suo prologo: "Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri sopratutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce di Cristo e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore" (Proemio G. et S.). Davanti a quella immane tragedia dell'umanità ci sentiamo anche noi un poco "nudi", della nudità di tanti fratelli. Cosa possiamo fare? - Per chi davvero crede, rimane anzitutto la grande preghiera, che è mettere nel Cuore di Dio la sorte dei defunti ed il dolore dei loro parenti e il dolore di tutta l'umanità. Il Suo amore sa come curare le ferite - Accanto alla preghiera rimane il dovere della solidarietà, che è quel farsi vicino a chi soffre, come è nella parabola del buon Samaritano. Farsi vicino sottraendo, al nostro stare bene, qualcosa che sia come offrire un posto a tavola a chi non ha più tavola. Ho vissuto la necessità di vedere l'umanità farsi vicino, nel terremoto del Belice, dove ho toccato con mano quanto sia di conforto sapere che non si è soli, ma c'è chi si fa carico della propria disperazione e speranza. Farsi vicino è un gesto di amore, che dà senso e conforto al dolore e fa sperare. Ma saremo capaci, in questo Capodanno, occasione di tanti sprechi, di essere modesti nella nostra festa, per dare una briciola di festa a chi ora è nello sconforto? E' il mio augurio. Non farlo sarebbe atto di egoismo, che è offesa al dolore di tanti fratelli, che sono nella sofferenza. |