Omelia (13-12-2015)
CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie)
Commento su Sof 3,14-18; Is 12; Fil 4,4-7; Lc 3,10-18

La terza domenica di avvento è la domenica della gioia, della serenità di spirito, della fiducia nel Signore: le letture di questa domenica lo testimoniano e san Paolo ci esorta a far sì che la nostra gioia sia nota a tutti.

Questo annuncio, contestualizzato nella realtà dei giorni nostri, pare un po' stonato: la tragedia dei migranti, la pazzia di persone che hanno trasformato un Dio in strumento di guerra e di morte, l'aumento delle persone povere che non hanno un reddito in grado di garantire loro una vita decente, i giovani sempre più senza speranza perché non vedono sbocchi nel mondo del lavoro e sono obbligati a fare scelte che escludono un impegno nella vita e nella società (matrimonio, figli...). Tutte queste situazioni non possono certamente portare alla gioia. Ma se andiamo a contestualizzare le letture di oggi, scopriamo che il profeta Sofonia scrive in un momento drammatico della vita del suo popolo e lo invita a superare la paura e a non "lasciarti cadere le braccia". La monarchia infatti era ormai alla fine e il dramma dell'esilio incombeva su tutti, ma, dopo aver richiamato alla conversione in nome di Dio, pronuncia parole meravigliose di speranza. Allo stesso modo san Paolo, non nascondendo la sua situazione di prigioniero "in catene", scrive la sua lettera ai Filippesi, nella quale troviamo dall'inizio alla fine un continuo richiamo alla gioia.

Quindi la Parola di Dio di oggi ci spinge a non lasciarci prendere dalla tristezza, a non lasciarci sopraffare dall'angoscia, pur avendone tutti i motivi. Tuttavia la nostra non è una gioia qualsiasi, è la gioia di chi esce da se stesso, dal proprio egoismo, per aprirsi a Dio accogliendo il suo progetto nella propria vita e andando verso gli altri.


La prima lettura ci parla di una doppia gioia, quella a cui è chiamata Gerusalemme che si scopre perdonata, "Il Signore ha revocato la tua condanna", e può sperimentare la misericordia e la bontà del Signore; ma anche quella che nasce dalla presenza del Signore che "è in mezzo a te" e che per noi è Cristo, il Dio presente in forma umana in mezzo a noi, venuto per redimerci dal peccato e aprirci le porte del Regno.


Anche il Salmo, tratto dal libro del profeta Isaia, ci invita alla gioia "Attingerete acqua con gioia alle sorgenti della salvezza. Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome". Alla gioia di Dio fa eco la gioia dell'uomo credente che sperimenta una profonda esperienza di vita di chi è passato dalle tenebre alla luce, dall'errore alla verità, dalla vacuità ad un percorso di vita fecondo, sui passi del Cristo Redentore.


Nella seconda lettura l'apostolo Paolo invita con insistenza: "Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto, siate lieti". È un ordine. "La gioia non è soltanto un dono del Signore, ma anche uno stato da ricercare, da conseguire con sforzo e con impegno" (E. Bianchi): è l'esperienza della fede, preannunciata dal profeta Sofonia e che Paolo ci dice realizzata in Gesù, il figlio che dona la vita per noi, che diventa esperienza dell'amore di Dio per noi.


Nel Vangelo troviamo la predicazione di Giovanni Battista che viene interpellato con una domanda che molto spesso angoscia anche noi e alla quale non sempre siamo capaci di trovare una risposta: "Che cosa dobbiamo fare?". L'evangelista Luca ci presenta tre categorie di persone: la folla, formata da una eterogeneità di individui, che lo stesso Giovanni aveva appellato alcuni versetti prima "vipere"; alcuni pubblicani e alcuni soldati che erano molto disprezzati perché collaboratori dei romani. Ad essi Giovanni Battista propone tre regole: 1) condivisione ("chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto"). 2) il ritorno dell'onestà ("non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato"). 3) non approfittate del ruolo per umiliare. Quest'ultima regola è per chi ha ruoli di autorità e di forza, i soldati: "non maltrattate e non estorcete niente a nessuno". Fondamentalmente queste regole sono un invito a tre atteggiamenti comportamentali, che sono segno della vita nello Spirito e che caratterizzano il vero credente: Carità, Giustizia e Servizio.

In fondo Giovanni dice a chi lo interpella, ma anche a noi oggi: fate bene ciò che siete chiamati a fare, fatelo con gioia, con semplicità per essere pronti ad accogliere il Messia che sta venendo. È nella normalità e nella quotidianità che deve prendere forma la conversione della vita per accogliere Gesù che viene in mezzo a noi.


Riassumendo: la gioia, come la liturgia odierna ci invita a vivere, deriva dal sapersi amati (prima lettura), dal conoscere ciò che Dio vuole da noi (vangelo), dal perseverare in Cristo, anche quando tutto sembra venir meno (seconda lettura). Si è cristiani se si vive nella gioia e la gioia del Natale è vera solo se è condivisa con gesti concreti a favore di chi non ha o vive nella sofferenza o nelle difficoltà.


Per la riflessione di coppia e di famiglia.

- Sulla nostra umanità ferita sappiamo inserire la speranza, cioè la certezza che Dio è presente e interviene, magari a modo suo? Come?

- È tempo natalizio: cosa facciamo per rendere concreto questo messaggio a livello familiare, comunitario e sociale?

- "E con molte altre esortazioni annunciava la buona novella": e noi abbiamo creatività, fantasia e fiducia per fare lo stesso?


Don Oreste, Anna e Carlo - CPM Torino