Omelia (13-12-2015) |
mons. Antonio Riboldi |
Natale è vicino: che cosa dobbiamo fare? Viviamo un tempo in cui tutto pare diventato violenza e si parla quotidianamente, forse troppo, dei massacri, senza pietà, dei terroristi islamici: non più uomini, ma pazzi gonfi di odio, che ammazzano vittime innocenti. Anni fa - e purtroppo ancora oggi, in certi quartieri - vi erano i mafiosi che si cercavano e rincorrevano per trucidarsi in una lotta senza quartiere, spesso colpendo ‘per sbaglio' degli innocenti; negli anni '70 lo Stato ha dovuto combattere contro il terrorismo rosso e nero. Se quest'ultimo si ‘ammantava di una qualche giustificazione ideologica', dietro alle faide, come ai massacri dei fondamentalisti oggi, non c'è altro che una spaventosa rincorsa a inqualificabili interessi, che messi insieme formano un capitale da capogiro: interessi che coinvolgono strutture, persone che si presentano come ‘salvatori della patria', dopo averne martoriato i cittadini, fino ai Governi. Si è creato così ‘un pezzo di terza guerra mondiale', come l'ha definita Papa Francesco, in cui chiunque può essere il nemico, generando diffidenza tra i responsabili delle Nazioni e paura tra le popolazioni. Ormai è evidente che la violenza e l'odio vogliono distruggere ogni tipo di relazione, basata sul dialogo e sul rispetto reciproco. Siamo come assediati, da troppi fatti, che mettono in dubbio la stessa speranza e il desiderio di una possibile pace, giustizia e serenità. ‘Non se ne può più' si sente affermare tante volte. In una tale situazione opprimente e incerta, la Parola di Dio ci sollecita a essere lieti. Questa III domenica dell'Avvento è infatti definita ‘Gaudete', cioè gioite. Così, esprime la gioia il profeta Sofonia: "Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! Il Signore ha revocato la sua condanna, ha disperso il tuo nemico. Re d'Israele è il Signore in mezzo a te, tu non temerai più alcuna sventura. In quel giorno si dirà a Gerusalemme: ‘Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un Salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia". (Sof. 3, 14-18) Ed intenso è l'invito che ci propone S. Paolo, nella seconda lettura: "Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù". (Fil 4, 4-7) È possibile accogliere e vivere questi inviti così forti alla gioia, in mezzo a così tante tribolazioni e sofferenze? Sì, perché la nostra letizia ha una sola motivazione: Gesù è vicino. E nella consapevolezza della nostra miseria si avverte ancor più di quanto ci sia davvero un Natale di Gesù necessario per tutti! Ma occorre entrare in un vero spirito di attesa, per ‘cambiarci dentrò. In questo ci aiuta oggi l'evangelista Luca, presentandoci le folle, che andavano nel deserto da Giovanni Battista e lo "interrogavano, dicendo: ‘Cosa dobbiamo fare?'. Una esortazione anche per noi ad uscire dal chiasso della vita e recarci ‘nel deserto', luogo di riflessione, di confronto con la Parola, e quindi di esame di noi stessi con sincerità. È un grande dono arrivare a chiederci: ‘E io che devo fare?'. Una domanda che credo ci poniamo tutti, ma proprio tutti, oggi, quando sentiamo il bisogno di trovare la luce, e quindi di capire, udire, sentire l'amore del Padre che ci sta cercando, attraverso la venuta del Figlio Gesù. Questo è il vero dono del Natale di Gesù. Sarebbe davvero un grave danno per la nostra vita - quella dello spirito che conta davvero - se non ce la ponessimo, rimanendo dove siamo, senza tener conto di ‘come siamo' agli occhi di Dio e soprattutto se mancasse in noi la volontà di mettere alle spalle gli sbagli, che ci separano da Dio e non Gli consentono di ‘venire' nella nostra vita. Allora Giovanni il Battista suggeriva atteggiamenti concreti da cambiare: ‘‘Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha e chi ha mangiato ne dia a chi non ne ha". Dava risposte nette alle varie categorie di persone che lo interpellavano: a quanti esigevano troppe tasse, per intascarne una parte, o facevano prestiti onerosi, come i pubblicani,: ‘non esigete più di quanto è fissato'. Ai soldati, che praticavano il diritto alla razzìa e al saccheggio nei territori occupati: ‘Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, ma contentatevi delle vostre paghe'. Ma rendendosi conto che molti ‘si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: ‘Io vi battezzo con acqua, ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandalì (Lc. 5, 10-18) Giovanni ha testimoniato con la sua vita, cosa significa attendere il Signore che viene, diventando un modello sempre attuale per ogni cristiano, per ciascuno di noi. Come Giovanni Battista, ha detto Papa Francesco, ‘un cristiano non annunzia se stesso, annunzia un altro, prepara il cammino a un altro: al Signore. Un cristiano deve sapere discernere, deve conoscere come discernere la verità da quello che sembra verità. E un cristiano dev'essere un uomo che sappia abbassarsi perché il Signore cresca, nel cuore e nell'anima degli altri"... e nel suo proprio cuore, perché non si può testimoniare, se non si fa l'esperienza quotidiana di vivere per Lui e con Lui! Questo è ciò che "dobbiamo fare!" |