Omelia (13-12-2015)
don Maurizio Prandi
Un Dio felice

Tradizione vuole che la terza domenica di Avvento, sia la domenica della gioia; emozione questa, la gioia appunto, che già domenica scorsa ci ha accompagnato e che oggi cerchiamo di far calare nella vita delle nostre comunità grazie alla "consegna" che verrà fatta agli adolescenti che l'anno prossimo riceveranno il sacramento della Confermazione: saranno i genitori a consegnare loro il comandamento (che Gesù definisce nuovo) dell'amore. E' bello cogliere questa occasione per legare questo gesto ad una promessa che come comunità facciamo loro, come due domeniche fa abbiamo fatto ai bimbi che riceveranno la prima comunione la promessa di una vita che germoglierà, che porterà frutto, quale promessa possiamo fare a questi ragazzi se non quella della responsabilità? Per tre volte il vangelo di oggi pone sulla bocca delle persone la domanda sulla responsabilità: Cosa dobbiamo fare? Come dire: Quali sono le nostre responsabilità? La responsabilità come compito, ma anche come promessa, perché se non c'è qualcuno che si fida di te, se non c'è qualcuno che ti affida un compito, se non c'è qualcuno che ti invita a prendere in mano la tua vita (a prendere in mano i tuoi anni come dice una canzone ascoltata di recente con il gruppo dei Giovanissimi), non ci può essere nessuna responsabilità da esercitare. Sono convinto che del sacramento della Confermazione si possa dare proprio questa definizione: il sacramento della responsabilità. Una consapevolezza questa, emersa chiaramente dal lavoro fatto sia con i ragazzi che con i genitori: Cresima è futuro, cresima è responsabilità, cresima è crescere, cresima è una chiave per aprire la porta del domani, cresima è la possibilità di fare delle scelte, ad esempio di potersi sposare in chiesa (!!!)... devo dire che sono rimasto impressionato proprio da questa chiarezza, da questo desiderio di futuro, da questa, se mi passate l'espressione, certezza che il futuro non fa paura perché contiene una promessa. Sentivo tutto questo molto legato alla prima lettura, tratta dal libro del profeta Sofonia, il quale, conoscendo bene la situazione di difficoltà che le persone patiscono e le ingiustizie che subiscono, è capace di far guardare al futuro con fiducia, perché il Signore è in mezzo al suo popolo. Forse esagero con l'ottimismo ma mi piace pensare questo: i nostri adolescenti hanno, in qualche modo, scritte dentro di loro, parole di fiducia e di speranza, nonostante le difficoltà che tanti già devono affrontare e quasi possono riconoscersi in quella parola di Sofonia non temerai più alcuna sventura. Con gioia e stupore, alcuni genitori, dicevano che riguardo al futuro i più convinti della bontà di quello che li attende sono proprio i loro figli! Credo proprio che possiamo "fare nostra" la prima lettura allora, e quella felicità che Dio non nasconde, (esulterà, si rallegrerà, griderà di gioia per te) possa esser la nostra felicità. Il profeta Sofonia ci racconta di un Dio felice e ci fa capire che fonte della sua felicità è l'uomo: Tu mi fai felice! E lo dice ad ogni persona, ad ogni creatura, a me! Che bello allora poter dire ai nostri ragazzi, consegnando loro il comandamento dell'amore: Tu mi fai felice! Le tue intuizioni, la tua freschezza, il tuo entusiasmo, il tuo sguardo carico di desiderio verso il futuro, mi fanno felice; ma anche le domande che porti dentro di te mi fanno felice e i timori, le paure che magari non riesci a dire, ad ammettere mi fanno felice.

Una cosa che mi piace tantissimo delle letture che abbiamo ascoltato è questa: tutte, ma proprio tutte ci parlano della vicinanza di Dio. Nella prima lettura per due volte viene ripetuto che il Signore è in mezzo a noi. Il salmo ce lo ha fatto ripetere come responsorio per tre volte, san Paolo quasi lo urla ai Filippesi: il Signore è vicino! E il Battista annuncia la venuta di Gesù parlando al presente: viene colui che è più forte di me... e non si fa vicino il Dio giudice, il Dio poliziotto, il Dio che punta il dito, ma il Dio che misteriosamente abbiamo reso felice. Non lo sappiamo ancora bene però che Dio non è un poliziotto pronto a coglierti in fallo e allora contro ogni nostra paura di entrare in contato con Lui ci ripete, instancabilmente, le parole (e mi pare bella la continuazione con la solennità dell'Immacolata che abbiamo celebrato martedì scorso), che hanno raggiunto anche la vergine Maria: non temere!

Ogni volta che mi trovo a contatto con questa parola non possono non venirmi alla mente le parole ascoltate da don Paolo durante un campo. Rivolgendosi ad adolescenti come quelli che riceveranno il comandamento dell'amore e che avevano condiviso in un lavoro di gruppo soprattutto le loro paure, li incoraggiava dicendo qualcosa di bellissimo e che mi piace una volta di più condividere: Rispetto a tutte le paure che avete appena nominato sappiate che c'è un Dio che quando entra nella vostra vita dice: non temere, non avere paura. Non avere paura perché io sono con te (in mezzo a te come dice Sofonia o come ribadisce il salmo di oggi). Non avere paura, perché tu vali per quello che sei. Non avere paura, perché tu sei importante per me. Non avere paura perché io ho fiducia in te. Non avere paura, perché ce la puoi fare. Non avere paura, perché io ti voglio bene. Non avere paura perché come te non c'è nessuno e né mai ci sarà. Non avere paura. Possiamo avere questo sguardo fiducioso verso il futuro, sognante, soltanto se qualcuno ci aiuta ad uscire dalle nostre paure e pensare che il primo che pronuncia parole che ci aiutano a fare questo passo è Dio non può che meravigliarci e far nascere in noi il desiderio di pronunciarle nella vita degli altri. Forse possiamo darci un compito: impegnarci per aiutarci reciprocamente ad uscire dalle nostre paure.

Trovo importante, per quello che celebriamo oggi con i nostri adolescenti anche la seconda lettura, che ci ricorda che gioia non è spensieratezza, ma emozione che viene dal rapporto con Dio. San Paolo scrive proprio questo: la gioia è una gioia nel Signore, ovvero che viene dal rapporto, dalla relazione con Lui. Non posso allora non interrogarmi sulle mie tristezze, sulle mie inquietudini oppure su certe rabbie, certi scatti, certe durezze, certi sfoghi, certe impazienze e su quale relazione ci sia tra tutto questo ad esempio, e la qualità della mia preghiera. C'è anche un secondo aspetto: la gioia del cristiano ha un fine. Non il proprio benessere, ma quello dei fratelli. La gioia e la carità sono molto legate. E' la gioia del dare, la gioia del condividere, la gioia dello spendersi. Faccio un riferimento al vangelo su questo, per dire il motivo dell'invito a dare una tunica o a condividere il cibo: Giovanni Battista lo sapeva bene che il fine della gioia è il dare, perché è sempre stata un'esperienza vissuta da Israele; ricorda alle folle che chiedono una luce sul da farsi, che Israele si è sempre basato, dall'Egitto in poi, non sull'economia del possesso, ma sull'economia del dono. La giustizia, nell' Antico Testamento, ha come presupposto la paternità di Dio e quindi la fraternità fra gli uomini: quello che tu hai e il tuo fratello non ha è da condividere. Ogni volta che Israele ha fatto un passo contrario ed è andato verso l'economia del possesso, perdeva la terra e viveva l'esilio. La traduzione letterale del testo suona più o meno così: che tutti vi possano riconoscere per la vostra bontà... che bello questo, anche rispetto alla consegna del comandamento nuovo: che tutti, ma proprio tutti possano riconoscervi come cristiani proprio per quanto siete capaci amare!

Un altro aspetto importante che l'apostolo Paolo pone alla nostra attenzione è quello di non lasciarci rinchiudere. La raccomandazione: non angustiatevi per nulla va proprio in questa direzione. La parola angustia deriva da un termine (angustus = stretto) che vuole indicare la piccolezza la ristrettezza e la scarsità di spazio di un luogo nel quale ci si rifugia dopo aver indietreggiato, fatto dei passi indietro. Penso a me allora, e dico che è bello l'invito che mi viene fatto a preferire gli spazi aperti di una relazione con Dio nella quale posso stare a contatto con i desideri e i sogni che mi abitano, (presentare le mie richieste con preghiere, suppliche, ringraziamenti...), rispetto al chiudermi in un piccolo, ma sicuro angolino nel quale è certamente più facile tenere tutto sotto controllo.

Ringraziamo Dio, una volta di più, per le tante tracce di misericordia che pone sul nostro cammino.