Omelia (20-12-2015) |
don Marco Pozza |
Ne videro due, erano in quattro. Gravidanze rocambolesche Semplici confidenze, nulla di più. Amabili intimità tra donne sotto il cielo di Ain-Karim, nelle vicinanze di Hebron: terra di sepoltura per Abramo e Sara, Isacco, Rebecca e Lia. Fuori della casa il vociare confuso della gente che spettegola, dentro la festa del cuore: "L'anima mia magnifica il Signore (...) perché ha guardato l'umiltà della sua serva" (Lc 1,47-48). Che poi è come dire: "Pensa te, cugina: Dio s'è invaghito/ha perso la testa per la mia semplicità". Nemmeno Maria forse si capacitava di quello sguardo: "pensa: mi ha guardata, si è accorto di me. Lui, la bellezza", senti quasi il batticuore di donna nel mentre lo confida: manca il respiro, la terra da sotto i piedi. Un giorno Lui - che adesso è lì, partoriente dentro di Lei - nel piccolo scruterà l'immenso: i due spiccioli della vedova, il vasetto di alabastro della peccatrice, le reti vuote dei pescatori, le membra infiacchite dei paralitici, un cuore addolorato a Nain. Da qualcuno avrà pure imparato: "Elisabetta, Dio s'è invaghito della mia semplicità. Capisci". Un giorno la chiameranno beata quella donna Nazarena, così beata che attorno a Lei nasceranno le più belle orazioni recitate dal popolo di suo Figlio: il Magnificat, l'Ave, il Gloria di Betlemme, il Cantico di Simeone. Il rosario dei semplici, cioè della sua stirpe. Della sua discendenza. Sembra quasi di vederla Maria: come un fiume che sbeffeggia gli argini, come una brocca che trabocca d'acqua. E di grazia: parola di Gabriele, l'Arcangelo. Tutto vorrebbe raccontare alla cugina: quello sguardo è un giogo soave da spartirsi. Le dice che è fortunata ma lo dice facendo in modo che la cugina non si senta umiliata, le racconta la sua predilezione senza farla sentire straniera alla gioia: "Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente". E' l'urgenza di una confidenza che è nello stesso tempo anticipo: "si, sono stata fortunata/beata!" Un anticipo di simpatia a disposizione dell'umanità: "La sua misericordia si stende su quelli che lo temono" (Lc 1,50). Chissà se Le è sfuggito a causa della troppa foga o se voleva per davvero svelarlo quell'arcano che ha fatto impazzire i secoli e sgolare i profeti. Somiglia Maria a quelle piccole donne (che si credono grandi, loro) che - per essere magari spose/amanti di un famoso giornalista - un giorno svelano all'amica del cuore: "non lo dire a nessuno, ma ti anticipo che domani uscirà una notizia bomba". Somiglia solamente, ma è di tutt'altra fattezza la donna di Nazareth: "Elisabetta, ti anticipo che ci saranno giorni di misericordia. Li sento, ne fiuto le traiettorie, ne annuso il profumo". Sembra quasi frastornata Elisabetta: in pochi attimi la cugina ha aperto i rubinetti della storia, ha allagato la sua normale ferialità, ha quasi fatto passare in secondo piano l'inedito di quella maternità strappata alla sua vecchiaia. E Maria sembra accorgersene: cambia il registro, allenta la morsa come per dire: "non è merito mio, però, cugina. E' Lui che è generoso". Dieci volte glielo ripete, per non dimenticare: "(E' Lui) che ha mi ha guardata, che ha fatto, che ha spiegato il braccio, che ha disperso, che ha rovesciato, che ha innalzato, che ha ricolmato, che ha rimandato, che ha soccorso, che si ricordato". Affidabile Maria: ha creato la suspence con il suo gaudio meravigliato di donna guardata e poi s'è tirata in disparte per fare posto all'Eterno: "non io, Elisabetta, ma Dio". Forse Elisabetta vorrebbe dirglielo alla cugina, ma teme d'essere importuna. Pesa le parole, organizza la sua critica, apre i battenti del suo pensare: "Maria, cugina mia, hai perso il senso della misura". Come darle torto? Basterebbe gettare lo sguardo appena fuori dalla finestra e anche Maria se ne accorgerebbe: i potenti sono ancora sui loro troni e gli umili nelle catapecchie, i ricchi hanno ancora le mani piene mentre gli affamati sono a corto di speranza, Israele è ancora una terra/non terra mentre i suoi nemici non cessano d'esultare. Dove, Maria, sta succedendo questo: diccelo per favore! Altrimenti saranno in tanti a poter dire: "quando uno è innamorato non capisce più niente". Non è ingenua Maria; e nemmeno ha mai preso le distanze dai vicini di casa. Maria è consapevole che ciò che lei vede non c'è ancora: è per questo che è corsa di fretta da Elisabetta. Per confidarle l'inaudito, per guardare assieme, per dare un Nome alla speranza: "me l'ha promesso, come aveva detto ai nostri padri, attraverso la storia di Abramo e della sua discendenza". E' l'inaudito che diventa storia, l'inaspettato che diventa coinquilino, l'inimmaginabile che diviene notorio: "eccola qui cugina: senti che mani ha la promessa. Non senti i piedini che battono, il battito del cuore, il respiro silenzioso. Capisci, Elisabetta: qui dentro c'è Dio che sta nascendo". Elisabetta poggia la sua mano nel grembo della cugina: le mani tremano e la voce s'affievolisce. Anche Maria poggia le mani sul ventre della cugina. E' più gonfio, sarà un maschio pure lui, e saranno voci accordate tra di loro: "Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo" (Lc 1,44). Nel loro incontro, un altro incontro: ogni viaggio è un preludio di ciò che s'incontrerà. Tre mesi ci impiegò Maria a svuotare il cuore: quasi una stagione, quella della primavera, da aprile a giugno. La stagione della fioritura. |