Omelia (25-12-2015) |
padre Gian Franco Scarpitta |
L'universalità della notte Luca si premura di collocare l'episodio in una precisa cornice storica, che è quella fra il 30 a.C e il 14 d.C, quando era imperatore Ottaviano, che tutti nell'Impero esaltavano come il Divino, l'Augusto. In quel periodo (forse fra il 6 e il 12 d. C) era governatore della Siria Quirinio a cui era venivano affidati alcuni censimenti del popolo e questo di cui si parla era "ultimo censimento", che invitava tutti i cittadini a farsi censire e con molta probabilità anche fra coloro che erano proprietari terrieri. Maria e Giuseppe si recano a Betlemme per questo motivo: Giuseppe doveva farsi censire assieme a Maria perché, entrambi cittadini esemplari e integerrimi nel dovere, dovevano probabilmente dichiarare alcune loro proprietà in quei luoghi, oltre che registrare se stessi. E avviene quello che la storia umana ricorda per sommi capi, ma anche ciò che la fede ci invita a celebrare e a rivivere tutti gli anni. E' la fede infatti a farci da maestra in questa vicenda e non tanto le coordinate spazio temporali. Essa ci dice che Maria in questa circostanza difficile partorisce il figlio tanto atteso che ben sapeva essere il frutto dello Spirito Santo, il dono più grande che Dio potesse fare agli uomini. Per dare ragione della nostra fede, Luca, superata la prima parentesi della descrizione storica e immediata, chiama in causa episodi e personaggi molto eloquenti per importanza: Giuseppe, definito Galieleo e Nazaretano; Maria, che affronta un parto difficile per la refrattarietà dell'albergo (caravanserraglio) che si rifiuta di ospitare la coppia di coniugi nonostante l'evidenza di una donna in difficili condizioni e poi i pastori e gli angeli. I pastori sono i primi destinatari dell'annuncio celeste, proprio loro che, per la loro condizione di persone rozze e illetterate, non sono in grado di comprendere la Legge di Mosè e per ciò stesso sono reietti e abominevoli. Qualche studioso fa la seguente riflessione: anche Davide, il pastorello giovane che Dio aveva scelto per essere consacrato re, venne individuato e scelto quando pascolava il gregge del padre (1Sam 16); ora Gesù è in mezzo ai pastori come il Pastore universale della stirpe di Davide, come del resto lui stesso si designerà al popolo. Adesso il Bambino esercita un ruolo di Pastore che raduna tutti i popoli e le nazioni, a partire da coloro che sono normalmente abbandonai a se stessi a causa dei pregiudizi di quanti li considerano peccatori. Proprio i peccatori e i lontani sono i primi destinatari dell'amicizia del Figlio di Dio incarnato e con essi tutti quanti i popoli, Ebrei, pagani, non credenti che vengono simboleggiati dalla presenza del bue e dell'asinello (Ratzinger). L'effetto della Nascita ha valenza universale e cosmica: tutti quanti si ritrovano nella greppia di Betlemme e anche noi vi ci avvicendiamo. Dovremmo tuttavia arrivare al Bambino non con la consueta indifferenza o superficialità che normalmente ci caratterizza, ma con i sentimenti stessi dei pastori di Betlemme che sonnecchiavano all'addiaccio e che vengono avvinti dal fascino dell'annuncio angelico. Anche noi dovremmo infatti considerarci peccatori, insufficienti e precari, bisognosi di essere raggiunti dalla Luce e avvolti dal Mistero del Dio che, pur restando Dio, si fa Bambino per tutti. La notte di Natale, che ci raccoglie tutti quanti in chiesa in massa come mai negli altri periodi dell'anno, deve inculcare anche in noi il desiderio di quella notte lontana dei giorni del censimento di Augusto, perché anche noi possiamo comprendere di essere in realtà peccatori e bisognosi di chi ci usi misericordia, per poter sperimentare la misericordia immediata nello stesso Pargoletto di Betlemme. Proprio come i pastori, così anche noi. Non nel senso che sarebbe bello ricevere un annuncio angelico, ma nel senso ancora più radicale e marcato che dovremmo meritarlo con un atto di obiettiva umiltà. La notte è sempre stata il luogo della salvezza, il tempo in cui Dio agisce a favore del popolo, come ad esempio la notte in cui liberava gli Israeliti dalla schiavitù dell'Egitto o come quando risparmiò ad Abramo di sacrificare il proprio Figlio. In questa notte noi celebriamo come Dio si incarna e assume la carne di un Bambino e ancora più grandioso è che Dio, anche facendosi Bambino, resta pur sempre Dio, poiché la natura è sempre duplice: umana e divina. Non possiamo che restare ammirati dalla grandezza e dall'onnipotenza di Dio che non prescinde anzi suppone amore e misericordia. |