Omelia (25-12-2015)
padre Gian Franco Scarpitta
Onnipotenza e rivelazione, il binomio dell'amore

Dio è eterno, onnipotente e infinito e in se stesso è Perfezione assoluta. Secondo una determinata mentalità teista, proprio per queste sue attribuzioni Dio non potrebbe rivelarsi perché con la sua manifestazione al mondo si piegherebbe all'imperfezione e di conseguenza smentirebbe se stesso. Dio sarebbe solamente creatore ma non provvidente né salvatore e non avrebbe nulla a che fare con il mondo e con l'umanità. Similmente la pensavano gli Epicurei. L'evento del Natale ci dimostra invece la realtà di fatto che la perfezione di Dio si concilia benissimo con la sua rivelazione. Anzi, il fatto che si tratti di un Dio onnipotente (= al quale nulla è impossibile) giustifica che egli si possa rivelare e addirittura si possa incarnare. Dio è perfetto e onnipotente, ma proprio per questo non è impedito a manifestarsi all'uomo e ad incarnarsi. Il prologo del Vangelo di Giovanni, in questa Solennità del giorno di Natale ce ne da una testimonianza, parlandoci di un Dio eterno che nella sua onnipotenza è in grado di stupirci già in se medesimo, poiché è Uno e allo stesso tempo Tre. Un solo Dio eterno e infinito che sussiste nella natura del Padre (Dio), del Figlio (il Verbo, cioè la Parola con la quale il cosmo e stato creato) e per inciso lo Spirito Santo, che è il vincolo di unione fra Padre e Figlio. Una sola natura, tre Persone, uguali e allo stesso tempo distinte, in modo che ciascuna di Esse si distingua dalle altre e contemporaneamente sia anch'essa eterna, onnipotente, infinita. Giovanni però andando ben oltre: il Verbo di Dio, seconda Persona della Trinità che coesisteva con il Padre fin dall'eternità, con il concorso della quale Dio creava il mondo, quando venne la pienezza del tempo (Gal 4, 3) "si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1, 14)
In tal modo onnipotenza e incarnazione coincidono e si rendono anzi prolifici per l'uomo: Dio eterno si rende carne diventando uno di noi, entrando nella nostra storia e assumendola fino in fondo, percorrendo le sue tappe per intero nessuna esclusa e pertanto assumendo anche l'infanzia. Dio si fa infatti Bambino innocente e spaurito, optando per un'infanzia povera e abbandonata. Viene alla luce infatti accolto da una coppia di semplici coniugi quali se ne potrebbero trovare tanti nella sua terra e nella sua epoca, viene accudito e nutrito fra le asperità di una grotta inospitale e in preda al freddo, conosce fin dai suoi primi istanti di vita terrena le rafrattarietà e l'egoismo degli uomini che ha voluto raggiungere. Dio infinito ed eterno non cessa di essere tale al momento della sua nascita nella carne, poiché la sua umanità è stata assunta dalla divinità senza che vi sia confusione o separazione fra l'una e l'altra: è vero Dio e vero uomo. E proprio questa è la grandezza inesorabile del Natale: la divinità che oltre rivelarsi si concede interamente all'uomo; l'eternità che entra nel tempo (B. Forte), la perfezione che abbraccia l'effimero senza assumerlo. Il Natale è il trionfo dell'onnipotenza e soprattutto è il luogo in cui questa si esprime con i connotati dell'amore. Perché in effetti non può essere che un atto d'amore a vantaggio dell'uomo il fatto che Dio si renda uomo egli stesso; solo chi ama va alla ricerca dell'amato fino a perlustrare l'inverosimile.
Ci sovviene a questo punto una domanda: perché il Figlio di Dio si è fatto uomo? Perché il Verbo ha voluto incarnarsi anziché dettare legge agli uomini dalla sua ineffabilità e trascendenza? Semplicemente perché vi è sempre stata una realtà che rende incompatibile Dio con l'uomo e che impossibilitando il dialogo con Dio rende l'uomo vittima di se stesso: il peccato. L'uomo non si sarebbe mai convinto della perniciosità del peccato qualora Dio avesse deciso di redimere e di salvare con moniti coercitivi e pedanti. Avrebbe piuttosto soggiogato l'uomo e lo avrebbe ridotto succube lasciandolo in preda alla sua precarietà e insufficienza. Rendendosi solidale con l'uomo al punto di convivere con lui vivendo la sua stessa storia, Dio invece pone l'uomo dinanzi a se stesso mostrando la miseria della sua realtà peccaminosa; espone con forza che per noi è necessario farla finita con il peccato, che oltre ad offendere Dio corrompe l'uomo stesso e lenisce i suoi rapporti intersoggettivi.. Finalmente, egli prenderà il nostro peccato su di sé quando arriverà il momento estremo del supplizio di croce, mostrando come l'amore può vincere il peccato definitivamente. Come suggerisce Giovanni: "Dio ci ha amato e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati" (1Gv 4,10). La motivazione per cui Dio s'incarna a Betlemme è dettata quindi dalla necessità urgente in cui versano tutti gli uomini, ma anche e soprattutto dall'amore e dalla benevolenza con cui Dio li ha scelti e prediletti e non vuole che nessuno di essi vada perduto. Dio instancabilmente tende a recuperare l'uomo dal suo errore e lui non è impossibile amare fino ad annichilirsi nonostante la sua onnipotenza e ineffabilità.
L'amore di Dio però non è stato da noi recepito nonostante siano trascorsi centinaia di anni dall'evento straordinario di Betlemme, poiché l'uomo vive ostinatamente come se il Figlio di Dio non fosse mai venuto ad abitare in mezzo a noi. Odio, violenza, belligeranza, ingiustizie, sopraffazioni gratuite nei confronti dei più deboli e degli esclusi, scandali e vergogne nei vertici della classe clericale ci fanno considerare che l'uomo preferisce il peccato all'amore del Dio Bambino. Il fenomeno sempre più dilagante del relativismo etico e dell'indifferentismo religioso, che relegano Dio a un soprammobile o a un oggetto inane del quale servirsi quando fa comodo dimostrano che l'intesa fra Dio e uomo è ancora lontana. Non perché Dio sia incapace di interpellare il cuore umano, ma perché il cuore umano rifiuta di lasciarsi interpellare da Dio, laciandosi avvincere da melensaggini e frivolezze. Perfino il Natale viene al giorno d'oggi interpretato dalla società dei consumi come occasione di business e di trasgressione, come tempo vacuo e distorto di bagordi e di gozzoviglie o di eccessi inani e controproducenti.
Dio non si arrende però alle nostre preclusioni e nel bambino di Betlemme continua a richiamarci alla comunione con sé e con noi stessi, non cessando di coniugare per noi onnipotenza e rivelazione nel comune denominatore dell'amore.

BUON NATALE A TUTTI. Auguri.