Omelia (25-12-2015) |
Michele Antonio Corona |
L'ennesima notte di Natale della nostra vita si avvicina. Il tran tran annuale sembra prendere il sopravvento rispetto alla novità dell'evento salvifico. Presepe, musiche natalizie, luminarie, pubblicità mirate e filmetti di natale la fanno da padrone e tutto sembra uguale. Forse ci aiuta a percepire che non è una notte come le altre il fatto di doverci alzare da tavola e andare ad una celebrazione notturna. Tuttavia, ci farebbe piacere rimanere a sonnecchiare sul divano e terminare il buon panettone, accompagnato da un bicchiere in più di spumante. Tutto ciò ci permette di entrare nel contesto narrativo del brano evangelico che ci viene offerto nella liturgia della messa della notte. Proprio nel buio notturno una luce rifulge e sveglia i sonnecchiosi pastori che "pernottavano all'aperto". È doverosa una precisazione anti-romantica che ci permetta di leggere la pagina evangelica in modo salvifico. Betlemme si trova a oltre 800 m sul livello del mare. È inverosimile che dei pastori avveduti ed esperti potessero pernottare al freddo invernale con le loro greggi. Nel brano evangelico non si parla di freddo né di gelo. La datazione del 25 dicembre, come è noto, è stata operata dai cristiani sulla festa del sole, identificando Gesù con il sole che sorge, sulla scia di Lc 1,78. Questa annotazione non è solamente di carattere storico-culturale, ma ci permette una riflessione ben più profonda e marcatamente esistenziale. Chi ha potuto trascorrere uno dei mesi tra novembre e marzo nell'emisfero meridionale del mondo, sa che non ha trovato freddo o gelo, bensì l'estate. Infatti, per chi vive al sud del mondo il natale è sinonimo di caldo e di estate. Cosa può significare ciò? Che la nostra tradizione è sballata? Che il presepe va rivisto? Direi proprio di no. Non è questione di presepe o di tradizione, ma di fede. Gesù bambino non è legato al freddo o al natale (per il nostro emisfero questo funziona benissimo), bensì alla mangiatoia. Cioè, Gesù nasce nel luogo del mangiare, nella culla da cui ci si ciba, nasce sulla mensa! La nostra esperienza ecclesiale e liturgica ci aiuta a comprendere ciò legando il brano natalizio alla Pasqua e alla cena. Infatti il racconto che leggiamo è marcatamente di origine post-pasquale. I pastori trovano nella mangiatoia (mensa) un bambino adagiato in fasce (come il crocifisso nudo). La mangiatoia in cui vedere Gesù non è solamente quella allestita nel presepe; bensì è la mensa eucaristica. Lì Cristo ogni giorno e adagiato per essere mangiato da noi e divenire cibo di vita. "Dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro". I pastori ascoltano l'annuncio di salvezza dell'angelo - proprio come capiterà al sepolcro vuoto ad altri pastori di uomini, gli apostoli - e testimoniano ciò che hanno visto. Il centro della fede nel Cristo non è dunque la contestualizzazione invernale, né la cornice romantica del freddo subito dal bambino, bensì la connotazione salvifica del filo conduttore tra incarnazione, nascita, morte e risurrezione. Luca richiama il progetto di salvezza operato dal Padre, che chiama i pastori - personaggi di poco conto nella tradizione giudaica - ad essere i primi testimoni del vangelo. I secondi saranno significativamente dei pescatori, ulteriore categoria poco stimata. A cornice di questa testimonianza pastorale, si trova l'affermazione capitale: "Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori". La testimonianza di quegli uomini diventa fonte di stupore positivo. Chi ascolta è colpito da un parola che porta speranza e salvezza. Infine, è necessario ricordare la paradossalità del segno annunciato dall'angelo: "Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia". Un segno che non richiama luci, stelline, arcobaleno o qualche segno straordinario. Un bambino che nasce è il segno più quotidiano e ordinario della vita. Ancor più, in un tempo in cui la natalità era altissima. Pertanto, cosa richiede questo segno per essere compreso? Richiede l'abitudine a vedere nell'ordinario il piano salvifico di Dio. La salvezza non si rintraccia negli eventi spettacolari o miracolosi, bensì tra le pieghe del quotidiano. Nella fattispecie: i pastori vedono il segno di un bambino appena nato (come tanti altri); Simeone vedrà un bambino presentato al tempio (come altri); Giovanni lo intravvede in uno di quelli che vengono da lui al Giordano; molti lo riconosceranno dallo sguardo d'amore che rivolge loro; i discepoli nelle parole di speranza che proclama; i malati nella misericordia taumaturgica che esercita; il ‘buon ladrone' nella sofferenza comune di un crocifisso; i discepoli di Emmaus nel gesto semplice dello spezzare il pane... Che questa notte non passi nella spasmodica ricerca di un segno scintillante e inequivocabile; ma sia esperienza di ordinario contemplato con occhi nuovi, irrorati da lacrime di gioia e stupore per un Dio che sceglie la via della semplicità e umiltà per salvarci |