Omelia (25-12-2015) |
don Maurizio Prandi |
Essere cielo... o una porta chiusa Siamo in tanti, come tutti gli anni. E' bellissimo questo radunarsi, questo ritrovarsi! Radunati, raccolti attorno ad un bimbo, e non attorno al potente di turno, o al famoso, o al... mettete voi chi volete; radunati attorno ad un Bambino: e questo non è bellissimo ma addirittura meraviglioso! Non posso non approfittare di questa occasione per condividere con voi il cammino fatto in questo mese (che per la chiesa è il primo mese dell'anno) e che domenica dopo domenica ci ha preparato e portato a celebrare il Natale di Gesù. Carichi di gratitudine abbiamo riconosciuto che Dio ci viene incontro (è il messaggio della prima domenica di Avvento) con il suo carico non di ordini, non di richieste, non di regole, ma di promesse. Un Dio che promette, ecco il volto del Dio in cui crediamo! E non sono promesse astratte, di un bene non meglio identificato, o promesse di una vita risolta, o agiata, sicura, di successo, no: Dio ci ha fatto la promessa che quella di ognuno di noi è una vita che germoglierà, che porta con sè entrambe le caratteristiche di un germoglio: la bellezza di un fiore e la concretezza di un frutto. Una vita che a partire da quella di Gesù stesso trova il suo senso nell'abbondare e sovrabbondare nell'amore. La seconda domenica di Avvento ci ha detto che vivere significa unire il tutto di Dio e il tutto dell'uomo; ricordate? La strada da percorrere la prepara Dio si, ma non possiamo restare lì, con le mani in mano perché se riconosciamo che Dio ha preparato un pezzetto del nostro cammino non possiamo non restituire e provare a rendere più lieve il cammino dei nostri fratelli e sorelle. E poi ci siamo anche detti che pur con le sue fatiche, con i suoi dolori, con le sue domande, ogni vita splende e questo splendore va mostrato, va raccontato, perché se ha portato luce nella tua vita non può non illuminare quella degli altri. La terza domenica di Avvento ci ha raccontato di un Dio felice e ci ha detto che questa felicità ha una sorgente ben precisa: l'uomo. Dio dice all'uomo:Tu mi fai felice! E non lo dice a persone speciali, ma lo dice ad ognuno, con la sua vita non perfetta, magari storta, un Dio che si rallegra per noi anche solo perché, molto semplicemente ci siamo domandati, come le folle o i pubblicani o i soldati del vangelo: che cosa dobbiamo fare? Non scappiamo dalla vita ma proviamo a viverla limpidamente ed intensamente. La quarta domenica di Avvento ci ha permesso di fare un piccolo passo indietro al giorno dell'Immacolata per leggere nella vicenda di Maria una possibilità per ognuno di essere portatore di gioia e di speranza. Una madre ed un bimbo esultano di gioia all'udire un saluto, lo stesso saluto dell'angelo di Dio: non temere, io sono con te. E' lo stare di Dio in ogni vita, è lo stare di Dio in ogni vicenda e il suo semplice "stare" (non "risolvere") a "stare" noi nella vita dei nostri amici, a non lasciarli soli. È lo stare che impariamo da chi custodisce nella malattia una persona cara, è lo stare di chi non si dimentica del bene ricevuto, è lo stare di chi ascolta, è lo stare di chi non pretende, è lo stare di chi non ha niente da insegnare sulla vita, è lo stare di chi magari se ne sta andando, ma ti consegna la responsabilità di una vita bella e vissuta con coraggio. Un bimbo è nato per voi, dicono gli angeli, nato per i pastori, gente umile, semplice; gli esegeti ci dicono che tra di loro si nascondevano (approfittando di una vita al riparo da sguardi indiscreti) veri e propri delinquenti; nato per Giuseppe e per Maria, capaci di mettersi in cammino, in viaggio, lasciando il proprio ambiente e le proprie sicurezze; nato per i Magi, capaci di camminare nella notte e una volta giunti a Gerusalemme capaci lasciare i loro libri per mettersi in ascolto del libro, che dice che Dio è là, proprio là dove non te lo aspetti, Gesù nasce anche per noi se desideriamo riconoscerlo. Pensate a quante occasioni perse quella notte; occasione persa da parte di chi ha "censito", annotato il suo nome, così bello, così chiaro e che significa Salvatore, Dio con noi e non lo ha riconosciuto. Annotato, censito (ricordo che diceva don A. Casati), distrattamente, come un nome tra tanti e non riconosciuto come il nome di Dio, il nome più bello perché è il nome di Dio mescolato al nostro nome, ai nostri nomi. Occasione persa da parte di chi ha chiuso le porte di un albergo (come dice il testo del vangelo), o della propria casa; pensate che bello e che strano al tempo stesso: la notte in cui il cielo si apre con quel volo di angeli che annunciano un Dio che scende, un Dio che sta con te, un Dio che promette, un Dio per il quale tu sei la sua gioia, ecco, il cielo che si apre e tante porte si chiudono; ritorna quella domanda allora: cosa devo fare? Chi voglio essere? Voglio essere un cielo che si apre o una porta che si chiude? Il cielo si apre e l'angelo del Signore avvolge di luce, il cielo si apre e non piovono condanne, non piove l'ira di Dio, il cielo si apre e piove la benignità di Dio, piove, come dice il testo di una canzone, il Salvatore! Ecco il perché di quella porta aperta nel presepe della Basilica e della Costa o di quel tronco aperto che ospita il presepe di Monticelli, o di porte che non ci sono nel presepe di Breccanecca perché la casa di Dio è sempre spalancata per noi, perché non sono stati pensati con la mentalità di chi chiude ma di chi apre, vogliono essere il simbolo si, del giubileo, ma di un giubileo davvero speciale. È il giubileo della misericordia: non è un anno santo qualunque (che brutto detta così, ma non mi vengono altre parole). Quella porta che si è aperta per Giuseppe, per Maria e per ognuno di noi è diventata quello che anche noi vorremmo essere: la porta del cielo, la porta di un cielo che si apre e che depone, dona Gesù ad ogni uomo. |