Omelia (25-12-2015)
don Giacomo Falco Brini
Troverete un bambino

L'evangelista Luca, si sa, è medico sopraffino. Le parole del vangelo che descrivono la nascita del Salvatore sono un racconto accurato che contrappone da un lato la potenza dell'uomo che si autocelebra, per esaltare il proprio dominio, nel primo censimento mondiale della storia; dall'altro, l'abbassamento di Dio nella sua creazione fino a farsi incontrare in un inerme bambino che nasce tra grandi difficoltà. E mentre il mondo intero si muove dietro all'evento straordinario del censimento, nessuno sembra accorgersi di questo bambino. Che cosa significhi questo, ce lo possiamo immaginare aiutati da qualche evento a noi più vicino. Pensate cosa ha fatto Expo quest'anno. Quanta gente da tutta Italia, da tutto il mondo, muoversi verso Milano, quanta comunicazione, quanta onnipresenza dei media. E pensate invece quegli uomini e quelle donne che fuggono dall'Africa, dalla Siria, dall'Iraq. Ci si accorge di loro maggiormente quando diventano un problema per la nostra sicurezza. Quanti riflettori e attenzione di lì, e quanta chiusura e riserve di qui. Maria era incinta, Giuseppe doveva assolvere al compito di farsi censire con il suo nucleo familiare, quindi partirono verso la Giudea, sua terra nativa. Gesù viene al mondo all'interno di questo viaggio e subito c'è il dramma di non riuscire a trovare un posto dove nascere: ma perché non c'era posto per loro? Perché non ci si accorse che Maria era in grande bisogno? Cosa c'era di più importante tra la gente di quel luogo da non accorgersi di quella donna? Con Giuseppe e Maria, il Signore vive da subito la realtà di tutta quell'umanità scartata, che non trova posto alla nostra attenzione, che non ha voce, che non ha nessuno dalla sua parte proprio perché scartata, debole e senza alcuna credenziale. Qui c'è già tutta la storia di Gesù, c'è la sua prima presentazione "normativa": chi volesse conoscerlo, deve passare di qui, deve percorrere questa strada, deve sostare a lungo davanti alla mangiatoia. Lo capì bene Francesco d'Assisi che rimase talmente ammaliato di questa presentazione al punto da inventare il primo presepe dell'umanità. Ma ce lo fa capire oggi anche Francesco papa, il quale, all'aprire qualche giorno fa la comunissima porta di una mensa per i poveri presso la Stazione Termini di Roma ci ha detto: "Gesù vive nell'umiltà. Lui viene a salvarci e non trova miglior maniera per farlo che camminando con noi, fare una vita come la nostra. E nel momento di scegliere il modo di come fare questa vita, non sceglie la grande città di un grande impero, non sceglie una principessa, una contessa per madre, una persona importante, non sceglie un palazzo di lusso, no, anzi, sceglie una ragazzina di 16-17 anni, non di più, in un villaggio perduto nelle periferie dell'impero romano che nessuno conosceva. E sceglie Giuseppe un ragazzo che l'amava, che voleva sposarla, un falegname che si guadagnava il pane. Sembra che tutto sia stato fatto intenzionalmente quasi di nascosto. E tutto avviene così: nella semplicità e nel nascondimento. Tutto nell'umiltà, senza che le grandi città del mondo sapessero nulla della nascita del Figlio di Dio... Il Signore, quando è nato, era lì nella mangiatoia, ma nessuno si era accorto che era Dio".
Perché ci si possa rendere davvero conto di quanto sia necessario, per incontrarLo e conoscerLo, meditare attentamente ciò che avviene e come avviene a Betlemme, è importante soffermarsi sui versetti 8-14, capolavoro letterario oltre che teologico dell'evangelista. L'angelo di Dio si presenta a dei pastori comunissimi, gente disprezzata e senza alcuna valenza nella società, per annunciare la notizia più attesa dell'epoca. Non si può non notare una assoluta sproporzione tra l'annuncio della nascita del Messia atteso da tutti (con tutta la luce e la presenza divina che circonda l'annuncio) e il suo segno, che si invita a scoprire e riconoscere: un bambino adagiato in una mangiatoia con un papà e una mamma a fianco. La lezione da imparare per incontrare Dio è già tutta concentrata in questa sproporzione. E solo il cuore che si apre allo stupore, cioè al messaggio di amore che c'è dentro, può entrarci e cominciare a capire qualcosa. Come il cuore di quest'uomo che ha lasciato queste righe: "Umile Gesù, che hai voluto essere uomo per noi, come possiamo renderti grazie? Ci hai amato tanto che per noi sei nato nel tempo, tu, per mezzo del quale è stato creato il tempo. Sei diventato uomo, tu, che hai fatto l'uomo. Sei stato formato da una madre che tu hai creato. Sei stato sorretto da mani che tu hai formato, tu, Verbo senza il quale è muta l'umana eloquenza, hai vagito nella mangiatoia, come un bambino che non sa ancora parlare. Cosa sei diventato per me!" (S.Agostino, Sermo 188,2)