Omelia (25-12-2015)
don Walter Magni
Commento su Luca 2,1-14

Quando arriva Natale, il cuore si carica di emozioni che facilmente sfuggono alla nostra determinazione, al nostro inguaribile desiderio di definire tutto, irrigidendo le persone e le cose nella logica del pensiero, in un'idea chiara e distinta. C'è un detto, attribuito a Gesù da un Vangelo apocrifo che afferma: "Chi si stupisce, regnerà". A volte si ha l'impressione che oggi non ci si stupisce più di niente. Eppure a Natale un certo stupore ritorna (25 dicembre 2015).


Dio nel grembo di una donna

Un poeta scriveva a Natale: "Eri tu il mistero, / la radiosa notte che racchiudeva il giorno, / che avrebbe rivestito di carne la luce / e dato un nome al silenzio" (D. Maria Turoldo). Dunque: sei tu, Signore, l'ospite misterioso di questa notte/di questo giorno. Sei Tu la luce che si riveste di carne, la nostra stessa carne. E proprio il tuo nome risuona nel silenzio.

Ma se volessimo poi toccare con mano il senso di queste parole, tutto parte dal grembo di una donna. Dal mistero di Dio consegnato nel grembo di una donna. Non si nasce dal nulla. Anche Gesù, il Figlio di Dio, è stato concepito e ha abitato per nove lunghi mesi nel grembo di una madre. Quando mai ci fermiamo a pensare ai giorni nei quali abbiamo abitato il grembo di nostra madre? Ai pensieri, alle trepidazioni, alle fatiche non indifferenti che, dopo il nostro concepimento, hanno accompagnato quei nove mesi di gestazione e di nascondimento? Quello scambio di tenerezze, di amorevolezze tutte dentro una madre col suo bambino? I momenti segreti nei quali mia madre mi parlava e io a mio modo rispondevo. Cosa avrà detto Maria al suo bambino nei mesi dell'attesa? Come l'avrà preparato all'impatto col mondo degli uomini? Forse anche Gesù bambino scalciava un poco nel suo ventre o se ne stava tutto quieto in attesa degli eventi?

Fratelli, sorelle, che grande mistero. Come ci ha detto un poeta: "eri tu il mistero...".


Sotto una tenda

Anche in questo Natale ancora una volta è risuonata solenne l'espressione centrale del Prologo di Giovanni: "E il verbo di fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi". Che potremmo anche tradurre meglio dicendo che il Verbo si fece carne e "pose la sua tenda in mezzo a noi". Al posto di "venne ad abitare" bisognerebbe scrivere "mettere la tenda" (eskēnosēn). Il nostro Dio non nasce semplicemente per stare in mezzo a noi, ma per abitare a Suo modo con noi. Come sotto una tenda, con la scioltezza che una tenda comporta. Con tutta la provvisorietà e mobilità delle tende dei beduini, che ancora si possono incontrare attraversando il deserto di Giuda. C'è una mobilità nella nascita di Gesù Bambino, testimoniata già nel lungo viaggio che Giuseppe e sua madre Maria hanno intrapreso. E non va dimenticato che Gesù vede la luce in un caravanserraglio, un luogo di ristoro per carovanieri che, dopo essersi riposati, ripartivano per i loro affari. Insomma: molto presto Gesù sperimenta la mobilità e l'inquietudine della nostra esistenza.

Una mobilità, una provvisorietà che interpreta bene la nostra precarietà. La debolezza stessa della nostra carne che è diventata anche la Sua. La luce sfolgorante di Dio si vesta della nostra carne, come ancora recita una poesia di Natale: "Tenda di Dio / sua calda dimora / è la carne vivente / dell'uomo, sua immagine" (A. Casati).


Tenere in braccio Gesù Bambino

Sono stato recentemente per la Benedizione al nostro Centro di solidarietà famigliare. Mi domandavo come avrei potuto parlare a quei ragazzi, già provati nella loro carne, del Natale di Gesù. Lo sguardo si è subito posato sul presepe, fissando l'attenzione su alcune figure e personaggi. Così ho cominciato a parlare loro dell'asino e del bue, che non mancano mai, mentre ritornavano dentro il seguito della poesia sopra citata: "Essere, mio Dio, / asino e bue / col fiato sospeso / a godere il mistero. / Noi siamo, Signore, / il tuo vivente presepe, / siamo la paglia su cui coricarti ancora" (A. Casati). Poi ecco i pastori. Neppure loro sono di tante parole e non sono mai stati portati a fare grandi ragionamenti. Solo, senza troppo indugiare, s'inginocchiano: "In questo inguaribile contrasto tra noi e il dono è la sostanza del Natale, il suo divino significato, il suo segreto. Ma se mi inginocchio davanti al bambino, l'anima mia si placa nel perdono e subito mi ritrovo fratello di ognuno..." (P. Mazzolari). Avrei potuto rifermi anche ad altri personaggi, non mi restava altri che Maria. Madre dello stupore, attenta e tutta presente al mistero di quel bambino che proprio da lei era nato. Semplicemente guarda il bambino, se lo prende in braccio e se lo stringe al cuore. Potremmo anche fare e dire tante cose a Natale. Una sola ci basta: prendere in braccio Gesù e stringercelo al petto. Lasciando che ci accarezzi il volto, ci apra gli occhi, ci scaldi il cuore