Omelia (27-12-2015) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Il riverbero di Nazareth Maria ha concepito miracolosamente nello Spirito Santo il suo bambino, consapevole di aver reso possibile l'incarnazione del Verbo. Anche se su questo è la "benedetta fra le donne" e la massima privilegiata, non è l'unica donna ad essere stata beneficiata da un parto straordinario. Anche se in modo differente, altre donne sono state raggiunte da un particolare premio del Signore riguardante la gestazione straordinaria, come nel caso di Sara, la moglie di Abramo che meritò un figlio per la generosità ospitale del marito, la sopra ricordata Elisabetta che "tutti dicevano sterile" e la disperata Anna, rivale di Peninna di cui alla Prima lettura di oggi, che viene gratificata dalla nascita inaspettata di un figlio, che deciderà di consacrare al Signore concedendolo al sacerdote Eli nel tempio. Si tratta in quest'ultimo caso di un atto di gratitudine nei confronti di Dio, che solo donne pie e timorate possono fare e che adesso ci invita a guardare a Maria come a colei che, grata al Signore per aver ricevuto il Bambino divino malgrado la sua affermata verginità, si appresta adesso a consacrarlo definitivamente a Dio, non soltanto conducendolo al tempio di Gerusalemme secondo le prescrizioni della legge di Mosè (Lc 2, 22 - 39), ma anche accettando in prospettiva che questo Bambino possa essere un giorno la causa per cui la sua "anima sarà trafitta da una spada". Maria consacra il suo Figlio a Dio nell'umile sottomissione alla sua volontà, anche se questa volgerà al peggio perché riguarderà lo strazio della croce di Gesù. Dicevamo poc'anzi che lei non è l'unica donna ad avere un parto straordinario e inaspettato, ma è l'unica donna alla quale le atrocità del destino non risparmieranno angoscia e dolore. L'unica cioè che consapevolmente si aspetta che il suo Gesù sarà ucciso. Ovviamente Maria accoglie questa previsione non sopportandola da povera derelitta, ma con il sostegno e con la forza che Giuseppe certamente le garantisce. Come pure assieme a Giuseppe fronteggia ogni sorta di pericolo e di difficoltà che la sua gestazione comporta e qualsiasi altro sospiro o patema d'animo che dovrà sopportare con pazienza e risoluzione nella crescita e nella formazione del piccolo. Il parto verginale di Maria con tutti i suoi sacrifici annessi ci fa pensare alle lacrime e alle amarezze di tutte quelle giovani donne che sono impossibilitate a incorniciare il romanzo del loro matrimonio con la gioia di un figlio, perché sterili e infeconde. L'impossibilità di procreare, che tante volte viene scoperta dopo le nozze, riduce tante giovani madri alla mestizia e allo scoramento. Come ci si sente sapendo di non poter avere bambini, per i quali prima del matrimonio ci si infervorava? A volte si provano sensi di frustrazione e di abbandono e non di rado ci si sente inferiori e sottomessi ad altre coppie fertili. Si prova l'angoscia di un sogno infranto, di un progetto di vita andato a monte che neppure le adozioni sono in grado di estinguere o almeno di lenire. E' triste pensare a che tante mamme con troppa facilità ricorrano alla contraccezione e agli aborti per il solo egoismo di voler evitare la responsabilità della prole, mentre tante altre ragazze cadono in depressione per la loro sterilità o impossibilità di partorire! La sola presenza di Maria e Giuseppe accanto a Gesù appena nato ci edifica di come ogni nascituro debba essere considerato un dono unico e irripetibile e che la procreazione responsabile è la vera risorsa della famiglia e della società. Come pure Maria, assieme alle succitate donne gratificate con il dono della gravidanza, ci insegna e coltivare fiducia e speranza nelle situazioni di sterilità e di difficoltà gestativa. Come pure il nucleo globale della Santa Famiglia di Nazareth ci induce a credere nella continuità della convivenza insieme nonostante le immancabili difficoltà d'intesa e di comunicativa che possano insorgere fra i coniugi o fra genitori e figli; ci incoraggia e credere nella sacralità del matrimonio in un'epoca in cui sempre più coppie si sfasciano sul nascere o si pongono alternative al matrimonio sacramento nella convivenza, nelle unioni di fatto o nella sregolatezza della condotta sessuale. Ignominioso in quest'ultimo caso il fenomeno ormai dilagante di donne anche regolarmente sposate e madri di famiglia che si concedono effimeratezze carnali con altri uomini diversi dal proprio coniuge; in parecchi casi senza che il coniuge stesso abbia nulla da obiettare! E' una realtà di fatto deprimente che oltre che a distruggere il senso della famiglia tende ad incentivare la cultura del deprezzamento del proprio corpo. Ed è ormai risaputo che l'affluenza continua di donne immigrate ha determinato da più parti la disgregazione di tante coppie e relativi nuclei familiari. Fortunatamente non mancano tuttavia associazioni o movimenti di recupero del valore della famiglia tradizionalmente intesa, anche nelle aree non credenti. E' piacevole riscontrare come in tante nostre parrocchie si stiano accrescendo i cosidetti "gruppi famiglia" che aiutano e orientano non poco tante coppie separate. Il che ci lascia fiduciosi intorno al futuro della famiglia, perché fin quando vi è chi crede in determinati valori positivi tanto più questi possono affermarsi e consolidarsi. Maria e Giuseppe ci sono di orientamento ed è quanto mai necessario trarre dalla loro figura e dal loro atteggiamento umile, pio e zelante nonché determinato e convinto per perseverare nella tutela delle nostre famiglie e nel ripristino del reale concetto di unione sponsale e di convivenza fra genitori e figli. Il succitato tema della gravidanza straordinaria, purtroppo non concessa oggi a tante coppie sterili, non può non richiamarci all'attenzione intorno alla preziosità della convivenza familiare, alla considerazione che questa rimane pur sempre un privilegio e un bene incalcolabile dal quale si può trarre profitto noi stessi e gli altri. La famiglia tradizionalmente intesa e avvalorata dalla fedeltà coniugale e dalla perseveranza generale nel bene non può non essere osservata dalla società come un corpo organico che si avvale dell'unione e della compattezza per essere produttivo. Occorre lottare non tanto per la famiglia per la sua unità in tutti i sensi del termine: materiale, morale e spirituale. Questa unità deriva dal vero amore incondizionato fra i coniugi fra di loro, dalla loro reciproca appartenenza e dal vincolo di solidale comunione per il quale si sentono fatti l'uno per l'altro e di conseguenza nessuno dei due conosce alternative di sorta. Deriva dalla vocazione alla vita coniugale, cioè dal fatto che essa deve essere considerata un dono trascendentale e non un espediente costruito su sperimentazioni puramente nostrane o su illusioni passeggere. La medesima concordia fra i due coniugi inevitabilmente si trasmetterà ai figli che ne faranno esperienza diretta in primo luogo nella testimonianza per esserne anch'essi apportatori a tutti gli altri. Perché la nostra famiglia sia un riverbero di quella di Nazareth. |