Omelia (27-12-2015)
fr. Massimo Rossi
Commento su Luca 2,41-52

Quando, anni fa si andava al cinema, uno dei criteri che guidavano la scelta del film, specie tra le classi medio-basse, era il sogno di un riscatto sociale; diventare belli e famosi come il loro attore preferito, magari anche importanti come i protagonisti del film... E visto che - canta Morandi - uno su mille ce la fa, almeno per un paio d'ore, il film ci faceva volare dentro i nostri sogni; e, voilà, anche noi ci sentivamo un po' re e regine, eroi da leggenda, Grandi della storia,...
Ultimamente, trionfa sugli schermi, in televisione, e nelle pagine dei romanzi, l'ordinary model, il tipo ordinario: storie ordinarie di famiglie ordinarie: i protagonisti recitano la gente comune, gente che lavora, gente che sogna di diventare importante, ma non lo diventerà mai, proprio come noi... Insomma, i personaggi del mondo di celluloide, vestono i panni nostri. Che fregatura!
L'immaginario collettivo occidentale, che aveva ispirato romanzieri, sceneggiatori, registi e aveva fornito l'icona, l'oggetto dei desideri, alla fine è stato tradito dalla stessa società occidentale.
Era necessario, per noi cinofili sognatori della domenica, che ci fosse un altrove, rispetto al nostro mondo quotidiano, che spegne i sogni, mortifica gli slanci, scoraggia le originalità. Era necessarioche, almeno sulla scena, i protagonisti venissero di là, da quell'altrove eroico, glorioso, bellissimo.
E invece oggi ti vengono incontro da tutti gli angoli, mimano la dimestichezza, sono i nostri sosia: non c'è nessun altrove!
Qualcuno si chiederà il perché di una simile introduzione.
È molto semplice: la storia della salvezza passa attraverso una quotidianità familiare e sociale, popolata da persone normali...di un normale che più normale non si può!
Il Vangelo di oggi lo dimostra: si narra di una famiglia di umili origini, dal tenore di vita non certo ricco, ma dignitoso; papà, mamma, figlio, una famiglia come ce ne sono tante, nell'Occidente del XXI secolo.
Il viaggio a Gerusalemme rappresenta un passo importante per quel ragazzino di nome Gesù, per la verità, un po' fuori dell'ordinario, lui sì, ma questo si capirà più tardi, forse troppo tardi... Gesù ha dodici anni, e a dodici anni un figlio veniva portato nel Tempio - oggi in sinagoga - per celebrare il Bar mitzvah, un rito di passaggio dall'infanzia, all'età adulta: il rito consiste nell'indossare lo scialle con le frange, il tallit per la preghiera, e leggere per la prima volta in pubblico la S.Scrittura; da quel momento il giovane israelita è pronto per studiare la Legge di Mosè e i Profeti.
L'aspetto singolare è che quel ragazzino di nome Gesù era già pronto ad insegnarle, le Scritture.
Ma questo, ripeto, emergerà in piena luce dopo il Battesimo nel Giordano, quando il Signore, ormai trentenne, entrò in giorno di sabato nella sinagoga del suo paese, chiese il rotolo del profeta Isaia e lesse: "Lo Spirito del Signore è sopra di me..."; infine dichiarò: "Oggi si sono compiute queste parole che avete ascoltato." (Lc 4,16-21). Conosciamo l'esito di questo esordio: un fallimento, solo il primo di una lunga serie, il peggiore dei quali fu, il tradimento dei suoi amici più intimi...
L'aspetto che merita la nostra attenzione quest'oggi, solennità della Sacra Famiglia, è la dinamica del dialogo, fra i genitori e il figlio. Come ho già detto in passato, l'unico riferimento evangelico alla vita quotidiana della Sacra Famiglia, è questo: la descrizione di una solenne litigata! Tutto ciò che si racconta, i giochi infantili e spensierati del bambino Gesù con gli altri bambini del villaggio; più tardi, il lavoro di Gesù nella bottega di falegname del padre, sono frutto dell'immaginazione di qualche pio scrittore... Tolto questo episodio che contempliamo nel quinto mistero gaudioso del rosario, non conosciamo nulla sulle relazioni tra Maria, Gesù e Giuseppe. Eppure, sarebbe stato molto utile sapere come questi genitori impararono a gestire il rapporto con il figlio di Dio...
San Luca vi allude appena quando, dopo le parole di Maria: "Tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo", riferisce la risposta del figlio: "Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?": per rinfrescare loro la memoria, sul fatto che il buon Giuseppe non era il suo vero padre... Il padre di Gesù è Dio.
Ma, proprio in virtù dell'obbedienza al suo vero Padre, a Dio, Gesù si sottomette volentieri ai genitori e ritorna a casa, come tutti i bravi figli dodicenni. By the way, la sottomissione filiale - IV Comandamento - non autorizza un genitore a dire e a fare tutto ciò che vuole!!
Verrà il momento in cui Gesù lascerà sua madre e suo padre, per realizzare la sua vocazione, come fanno - come dovrebbero fare - tutti i bravi figli...sempre che i genitori non rivendichino il diritto di imporre il loro personale punto di vista, rispetto alle inclinazioni dei figli e al loro legittimo desiderio di realizzazione personale.
Quando un papà, una mamma sono tentati di mettere i bastoni tra le ruote ai loro figli, perché la scelta che questi intendono fare non è quella che loro avevano pensato, questi genitori farebbero bene a ritornare indietro con la memoria a quando avevano la stessa età dei figli, forse più giovani ancora e, manifestando ai genitori le proprie intenzioni, incontrarono l'ostilità, financo il rifiuto di questi ultimi... e dovettero lottare molto, per scegliere la loro strada.
Spesso i genitori dimenticano di essere stati figli anche loro... Soprattutto coloro che si arresero alla volontà dei genitori e rinunciarono ai loro sogni per non perdere l'affetto e la stima di papà (e mamma), costoro sono maggiormente esposti alla tentazione di far pagare ai figli le frustrazioni patite in gioventù. Non dico che accada sempre; ma per loro la tentazione è più forte: una sorta di rivalsa inconscia, la legge del contrappasso, per la quale un genitore si impone sui figli, non avendo avuto il coraggio di imporsi ai propri genitori. Siamo proprio complicati!
"Quando ero giovane non potevo ribellarmi alla volontà di mio padre; dunque neanche a mio figlio lascerò la libertà di fare quello che vuole, della sua vita! Io desidero soltanto il suo bene, e so che cosa è bene per lui. Un genitore è responsabile di suo figlio. Anch'io sono stato figlio; e, come io ho obbedito a mio padre, così anche lui dovrà obbedire a me che son suo padre!".
Il cerchio si chiude, e si ritorna ai rimproveri di Maria e Giuseppe, perché il loro figlio aveva osato disobbedire, intrattenendosi nel Tempio a disputare con i Dottori.
La storia si ripete. Ci siano di monito, severo, ma liberante, le parole che Gesù pronuncerà, vent'anni dopo, rispondendo a un giovane, che voleva seguirlo, non prima, però di essersi congedato dai genitori: "Chi ama suo padre, o sua madre più di me, non è degno di me." (Mt 10,37).