Omelia (25-12-2015) |
don Maurizio Prandi |
Dio si dona parlando Il vangelo del giorno di Natale è in strettissima continuità con quanto ieri sera provavo a condividere nelle celebrazioni della notte; anche l'evangelista Giovanni sottolinea quel verbo, riconoscere, che soltanto i più piccoli, soltanto i più poveri, soltanto gli umili abbiamo detto, sanno coniugare. Il mondo non lo riconobbe afferma Giovanni. Ma cosa si intende per: mondo? Il mondo è un simbolo, mondo è chi è sicuro di sé, mondo è chi la sa lunga, mondo è chi non ha bisogno degli altri perché si fa da sé, mondo è tutta quell'umanità malata che, poveretta, pensa di essere Dio. Ma c'è una umanità sana, che si riconosce piccola, povera, umile; una umanità che riconosce di avere la sua origine in Dio e che da Dio si sente plasmata e generata: è quell'umanità capace di aprirsi, accogliere, credere è a quanti però l'hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. Che bella la prima lettura, ogni tanto la cantiamo a messa e ai bambini piace molto: c'è un messaggio di pace, di esultanza, che è per ogni uomo. Siamo chiamati ad essere voce della profezia che abbiamo ascoltato perché c'è un incontro che sta per avvenire e ognuno può essere protagonista di questo incontro; non è il tempo della lontananza: Dio è vicino! Mi pare importante che si sottolinei il fatto che di questo messaggero si dica che sono belli i piedi: perché i piedi e non le parole o la voce? Credo per dire la concretezza di un fatto: un persona si avvicina a noi per annunciarci pace e salvezza. Dio si fa vicino con la sua Parola, Dio è quella parola che si fa carne: è lo stesso cammino di Adamo, del primo uomo è Dio si fa polvere del suolo (Ronchi). Qui c'è l'annuncio di una responsabilità per noi: sono persone concrete a porgerci la Parola, Parola che siamo chiamati a restituire, porgendola noi stessi ai nostri fratelli. Sento poi che con forza, già il giorno di Natale viene affermato che Dio si manifesta non solo nella bellezza, ma anche nella nudità della croce: è lì che ogni nazione, ogni popolo vede, contempla la salvezza. Snudare il braccio è una espressione "tecnica" per dire che qualcuno viene vergognosamente esposto alla cattiveria di chi gli sta di fronte. Qui è la nudità di Dio che in Gesù viene esposta, è la debolezza di Dio che sale sulla croce: una volta di più ci viene detto che Dio agisce indebolendosi, spogliandosi. La bellezza massima di Dio è la nudità di Gesù sulla croce. Per quello che riguarda la seconda lettura, fermiamo la nostra attenzione sui primi due versetti, che sono in collegamento fortissimo con il resto della Parola di Dio che oggi la chiesa ci propone: Fermiamo la nostra attenzione quindi, sull'affermazione forte di Dio che parla (Famiglie della Visitazione). E' il cuore della nostra fede: Dio che si comunica, che si dona parlando. Non un Dio muto, non un Dio che parla solo ad alcuni privilegiati, ma a tutti noi, dove questo "noi" è l'ampliamento universale di quello che "nei tempi antichi" era stato l'auditorio privilegiato dei "padri", cioè dei nostri padri ebrei. "Noi" dice la destinazione universale di questo "parlare" di Dio. Dio ha parlato nei tempi antichi - ma anche ora! - molte volte e in molti modi: questo mi sembra significhi che il "parlare" di Dio non è solo, in senso stretto, l'atto specifico del parlare, ma una molteplicità di modi nei quali Dio parla: anche dunque eventi, prove, silenzi... Questa affermazione amplia anche il significato del termine "profeta", perché oltre il profeta in senso proprio, è profeta di Dio chiunque abbia in qualche modo espresso, rivelato, quello che Dio diceva "in lui". Questo "in", è la versione letterale rispetto a quella, senz'altro giusta, ma strumentale: "per mezzo dei profeti...per mezzo del Figlio". Dire che Dio parla "nei profeti", "nel Figlio", rende più fortemente l'avvenimento di questo "parlare di Dio" perché dice non semplicemente una "riflessione" o un'elaborazione, che peraltro è presente, ma un "immediato" di Dio nella parola dei profeti e dello stesso Figlio, che attribuisce a Dio anche quello che nella Parola dice la "personalizzazione" della Parola in chi la dice. Anche quando Geremia o Gesù parlano di sé, è sempre "Parola di Dio" la loro! C'è una successione di tempi, afferma il nostro testo, sino a quell' "ultimamente, in questi giorni", che dice gli ultimi tempi, la pienezza dei tempi. Ora Dio parla "nel Figlio" - o "in un Figlio" - ben diverso da tutti i profeti nei quali ha molte volte e in molti modi parlato. Che bello che ancora una volta ci venga ripetuto che Dio non solo dice parole, ma che è Parola... quindi debolezza, fragilità, libertà; perché la Parola posso ascoltarla oppure no, capirla oppure no, lasciarmi costruire da essa o usarla, fermarla o lasciarla correre. |