Omelia (27-12-2015) |
mons. Antonio Riboldi |
FESTA DELLA SACRA FAMIGLIA Immediatamente dopo il Natale, la Chiesa celebra la festa della S. Famiglia e credo sia un dono aiutarci a riflettere e ringraziare per questa icona di ogni famiglia: Maria, Giuseppe e Gesù. Fanno il giro del mondo le cronache dei bambini e degli adolescenti che sembrano sfuggire come schegge impazzite dal mondo stupendo dell'infanzia, dell'adolescenza, per trovarsi anzitempo nel drammatico e buio angolo della violenza, che è un angolo senza futuro. Vite che sembrano morire all'alba della vera vita, per non averne conosciuto il senso. Basta per un attimo mettersi nei panni di quelle famiglie che hanno un figlio tossicodipendente, che le defrauda di ogni sicurezza, tranquillità e bene, fino a trascinarle nel gorgo della follia, che ha abbracciato non si sa perché. O forse c'è un perché: in tutte queste storie di adolescenti e giovani, la famiglia non è più quella ‘chiesa domestica', quel nido di affetto, di cura, di principi e di valori, che Gesù dona e conserva quando è presente nella famiglia stessa. Una certa cultura laicista, che sembra godere dello sfascio di tutto ciò che è vera bellezza dell'uomo, come l'amore alla verità, il rispetto della dignità, la ricerca della santità, che sono la vita divina che vuole trasferirsi in noi, proclama invece, con stupido trionfalismo, come una ‘conquista di civiltà', la diminuzione dei matrimoni in Chiesa, l'aumento di quelli civili e le nuove forme di ‘stare insieme in due' o coppie di fatto, tacendo i tanti drammi della solitudine, di bambini condannati a un amore ‘a metà', per la privazione della presenza di un papà o di una mamma, a causa delle separazioni. A chi non ama l'uomo, non importa se sia felice o no, o che perisca. Pare non si voglia capire che, se si colpisce la famiglia, si affonda l'umanità intera. Tanto più di fronte ad un'evidenza: mentre si cercano tutte le ragioni per spaccare i matrimoni, e quindi separarsi, quasi sempre chi si separa torna a... rifarsi una famiglia, anche se - nel caso del credente - vive sofferenze e dubbi e nella nostalgia di quello che avrebbe potuto essere e non è accaduto o è difficile ricostruire. La festa della famiglia, che sta tanto a cuore alla Chiesa, e dovrebbe esserlo per tanti uomini e donne ‘di buona volontà', è l'occasione d'oro per rifare e ricostruire tutta intera la sua bellezza: una bellezza che non è solo opera dell'uomo, ma è soprattutto volontà del Padre. Non dovremmo mai dimenticare che l'anima dell'amore incrollabile tra gli sposi e verso i figli è, soprattutto, opera della Grazia, che si fa vicina nel Sacramento del Matrimonio. Nazareth diventa così l'icona in cui ogni famiglia dovrebbe specchiare la sua vicenda, che conosce - come afferma il Concilio nella Gaudium et spes - ‘gioie e speranze, angosce e sofferenze', che fanno parte del cammino verso la santità, in ogni vita, in ogni scelta. Nella Santa Famiglia è edificante vedere come Maria e Giuseppe siano davvero consapevoli di essere sposi ‘chiamati', ‘scelti' da Dio stesso ad un' irrepetibile unione e missione: essere la famiglia di Gesù, il Figlio di Dio, che con loro voleva vivere da uomo, per la nostra salvezza. Gesù stesso è il Dono ineffabile del Padre. Giuseppe e Maria certamente si volevano un gran bene: un bene che penso superi ogni nostra immaginazione, ma che forse tanti, come grande Grazia del Signore, hanno conosciuto nella vita. Io ricordo il profondo e sincero amore di papà e mamma, incredibile: poveri, ma di una povertà dignitosa, con una fede viva e concreta, che li rendeva testimoni, nella guida della nostra vita. Nella mia memoria restano vive le parole che papà mi disse un giorno, inaspettatamente, quando ero già sacerdote: ‘Voglio talmente bene a tua mamma, anche se sono passati 30 anni dal matrimonio, che se venisse a mancare morirei di dolore. Senza di lei la mia vita sarebbe spenta'. Per il loro amore, davvero ‘divino', in quanto opera della Grazia, l'accoglienza di Maria e Giuseppe verso il Figlio, che viene alla luce a Betlemme, in una grotta, è totale. Da quel momento il loro amore diviene puro servizio, divino servizio ad un Figlio che era stato affidato alla loro cura dal Padre stesso e, per questo, come ogni figlio del resto, sapevano che non apparteneva a loro. E questo lo fa capire Gesù stesso quando, a dodici anni, si smarrisce nel tempio. È il Vangelo di questa domenica. "I genitori di Gesù si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando Gesù ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo, secondo l'usanza, ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti e, non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti". Alla mamma, che chiede una spiegazione del suo comportamento: ‘Figlio, perché ci hai fatto questo? - dice Maria - Ecco tuo padre ed io angosciati ti cercavamo'. Gesù risponde: ‘Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?'. Una risposta che rivela la ormai piena coscienza della Sua relazione unica con il Padre. Ma il suo ‘devo', che deriva dalla figliolanza divina di Gesù, si scontra drammaticamente, forse, con le attese umane dei genitori: ‘Ma essi non compresero le sue parole.'. Non capirono subito... ma da quel momento il loro amore non fu più solo servizio, ma, preoccupati di non essere di ostacolo, divenne attesa e contemplazione dei misteri del Padre, che si sarebbero manifestati nel tempo. E la vita della Sacra Famiglia a Nazareth, normale nel suo svolgersi, diventa quella che oggi definiremmo ‘meravigliosa piccola chiesa domestica', in cui Gesù, come racconta il Vangelo, ‘cresceva in età, sapienza e grazia, davanti a Dio e agli uomini'. (Lc. 2, 41-52) Di fronte a questa pagina evangelica sorge un solo augurio nel cuore, ricordando le forti e pressanti parole di S. Giovanni Paolo II, la cui attualità è senza tempo: ‘Famiglia, diventa quello che sei!'. |