Commento su Sir 24,1-4.12-16; Sal 147; Ef 1,3-6.15-18; Gv 1,1-18
Giovanni narra, nel suo Evangelo, che la vita pubblica di Gesù ha inizio nel contesto di una festa di nozze, a cui è invitato assieme a Maria sua madre e ai suoi discepoli che, dappoco tempo si scelto. Dunque la vita del Maestro dell'umanità, qui rappresentata da dodici discepoli, comincia con una festa, una festa di nozze. La sua presenza non ci meta a disaggio perché egli non viene a guastarci la festa, anche se ci accorgiamo della sua presenza solo nei momenti di dolore e di difficoltà nella nostra esistenza. Ma se ci accorgiamo che lui è presente è bene per noi mettere al centro delle nostre feste, perché, se ha da farci qualche osservazione ci farà intuire, con discrezione, che il nostro vino è insufficiente, di qualità scadente e ci invita a farlo sparire. Allora è bene per noi che Gesù faccia riempire di acqua le giare e cambi l'acqua in vino, abbondante e di eccellente qualità. Questo avviene tutte le volte che noi riconosciamo di non essere sapienti, ma di essere vino non solo scarso, ma anche scadente per qualità; svuotiamoci anche dell'orgoglio e se sappiamo qualcosa è perché ignoriamo anche ci che è utile per noi sapere. Riempiamoci di acqua, cioè rendiamoci consapevoli delle nostre stoltezze e debolezze e saremo da lui trasformati in vino eccellente ed abbondante.
Gesù, se lo invitiamo alle nostre feste, interviene solo per dare, a beneficio di tutti gli altri invitati, ci che non è consono alla festa o ci che manca e lo dà sempre, a tutti in abbondanza.
Il terzo Isaia oppone alla squallida condizione, ( "Riconduci, Signore, i nostri prigionieri, come i torrenti del Negheb" ), che fa seguito al rimpatrio, concesso da Ciro, ai deportati a Babilonia di origine ebraica, oppone, come detto sopra, una grandiosa visione della futura Gerusalemme, rivestita di luce, della luce della gloria di Yahweh. Parlando a nome della comunità personificata, come una donna, esulta, perché Dio ha compiuto la salvezza del suo popolo. Il profeta canta la resurrezione di Gerusalemme con la metafora dello sposalizio che la unisce a Yahweh: l'alba del giorno di nozze. La città si unisce in matrimonio al suo "Signore", riceve da lui un nome nuovo e diventa la gioia del marito. Il v. 5, con cui termina il brano scelto per la liturgia odierna, descrive, sotto la figura del matrimonio, il profondo amore e ls fervida gioia di Yahweh per la città ricostruita.
Dio agisce sul mondo in maniera sempre nuova. Pertanto anche il canto di lode che, tutti i credenti elevano a lui, deve essere, ogni giorno, " un canto nuovo", come dice il salmista al v. 1 del salmo 95. Siamo sollecitati nell'essere riconoscenti al Signore, per la salvezza che ci dato, e inoltre, annunciare al resto dell'unito la sua gloria, i suoi prodigi. Lo Spirito Santo, che è in noi, ci spinga a proclamare e non a bisbigliare, che: " il Signore regna!" e che pertanto " giudica le nazioni con rettitudine".
San Paolo, nella sua lettera 1 Cor 12, 4-11 comunica, a noi cristiani, che lo Spirito chiama, secondo la personalità di ciascuno, a vocazioni diverse, tutte necessarie, indispensabili, per cui è da stolti ritenersi insostituibili e migliori nei riguardi di chi non fa parte della mia congregazione. Pericolo questo attualissimo in un mondo tecnologico bastato tutto sulla competizione, sulla concorrenza e il profitto. Paolo di Tarso ci ricorda con fermezza che lo Spirito esige unità nella diversità, unità di fede, diversità di carismi, a beneficio di tutta la comunità. Chi si proclama Cristiano, se animato dallo Spirito, deve sentirsi un tutt'uno con gli altri nella fede, solo così si può vivere la libertà dei figli di Dio.
Giovanni, come detto sopra, fa iniziare la vita pubblica di Gesù, dopo un lungo silenzio sulla sua esistenza, a Cana di Galilea come invitato a un pranzo di nozze, lui sua madre e i suoi discepoli, con un "segno" che desta stupore in quelli che si era scelto, come maestro, per diventare testimoni del suo insegnamento e della sua resurrezione. Ma c'è anche un tredicesimo discepolo, anzi discepola, che non è inscritta fra i discepoli: Maria sua madre. Maria, che intercede nei riguardi degli amici di suo figlio, ancora oggi, per cui è l'unica, fra i presenti al banchetto che si accorge che il vino è finito e lo fa notare al figlio, il quale non si sente ancora pronto a manifestarsi ai suoi e al mondo, ancora non pronti per accoglierlo e capirlo, perché fortemente impreparati. Considerando che Maria interviene presso il figlio perché è venuto a mancare il vino, cioè il non necessario, è da prendere in considerazione che, qualche volta, una mano tesa, ha più necessità di una parola di conforto, che lo considera uno di noi, un nostro fratello, figlio dello stesso Padre, e non uno scocciatore a cui diamo la carità per dovere mondano e non per amore. Proseguendo la narrazione, l'autore del quarto Evangelo scrive: "vi erano sei giare di pietra per la purificazione dei giudei". Le giare di pietra rimandano a Mosè che riceve il Decalogo, sul Sinai, come segno dell'Antica Alleanza. Ma il simbolismo di Giovanni ci dice che sei è una cifra che esprime imperfezione e che è giunto il tempo di fare una Nuova Alleanza: tramontare l'acqua in vino. L'uomo non deve relazionarsi a Dio con la paura di sbagliare ma con la volontà di amarlo e di amarlo sopra ogni cosa e persona umana. Unico Dio e non idolo fra una moltitudine di idoli.
Revisione di vita
- Nelle nostre conversazioni siamo categorici o rispettosi dei pensieri nostri, del coniuge, dei figli, perché animati dalla stessa fede?
- Che significato diamo alle nostre Eucaristie dove non è l'acqua che si tramuta in vino, ma il vino che diventa sangue di Cristo?
- Quanto amiamo il superfluo e quanto la madre del nostro Signore?
Marinella ed Efisio Murgia di Cagliari
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