Omelia (03-01-2016)
don Alberto Brignoli
Il potere di una tenda

Il testo del Prologo del Vangelo di Giovanni è infaticabile, sembra non abbandonarci mai! In questi giorni del Tempo di Natale l'abbiamo letto e riletto più volte, e ogni volta ce lo ritroviamo avvolto da quest'aura di mistero che ci rende comprensibile solo parzialmente l'intensità e la profondità della Sapienza di cui è pervaso. Ecco, oggi forse è bene leggerlo sotto la luce della Sapienza, della quale abbiamo ascoltato l'autoesaltazione nella prima lettura, tratta dal Siracide.
Delle molte cose che la Sapienza dice di se stessa, mi preme sottolinearne una, relativa a un comando che essa riceve dal suo Creatore, perché la ritroviamo (in forma diversa, ovviamente) anche nel Prologo di Giovanni. A un certo punto, il Creatore dice alla Sapienza: "Fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele, affonda le tue radici tra i miei eletti". Ed essa, rispettosa, obbedisce a questo suo comando, perché non fa altro che continuare ciò che sempre ha fatto al suo cospetto, dall'eternità: "Nella tenda santa davanti a lui ho officiato, e così mi sono stabilita in Sion". Questo richiama, come dicevo, quanto viene detto nel Prologo di Giovanni, nuovamente ascoltato oggi nel Vangelo: "E venne ad abitare in mezzo a noi" pare non essere una traduzione felicissima, in quanto l'espressione usata da Giovanni è - a detta di vari biblisti - "e pose la sua tenda in mezzo a noi".
Che differenza fa? La differenza viene dal significato profondo che la parola "tenda" assume tra gli israeliti. La tenda è, infatti, nella tradizione dell'Esodo, il luogo in cui Dio incontra il suo popolo, il luogo in cui la comunità s'incontra intorno all'Arca dell'Alleanza, il luogo in cui, nel deserto, il popolo sperimenta la presenza di Dio. La tenda, quindi, è il segno che il Dio della promessa sta con il suo popolo; e se la Sapienza ha ricevuto da Dio l'ordine di fissare la propria tenda in Giacobbe (che è il nome proprio di Israele), vuole dire che Dio stesso si identifica con la Sapienza. Una Sapienza che - sono sempre parole di Siracide - abita in Gerusalemme e vi esercita il potere. Il Dio Sapiente, il Dio che è Sapienza, esercita il suo potere su Gerusalemme e lo fa attraverso una tenda.
Qui però le cose iniziano a farsi un po' più complicate. Che Dio coincida con la Sapienza (anzi, potremmo pure dire che è "la Somma Sapienza", così come Dante lo descrive nel Paradiso), nessuno lo nega; che eserciti il suo potere su Gerusalemme, dal momento che è la città santa, finché rimaniamo nel linguaggio biblico, nessun problema; ma che il suo potere lo eserciti "in una tenda"...qualche dubbio lo possiamo avere. La tenda, sinceramente parlando, può ispirare qualsiasi tipo di pensiero o di sentimento, ma non certo quello del potere; o comunque, si tratta di un potere molto precario. Chi ha sperimentato la vita in una tenda, anche solo per qualche giorno di vacanza, al di là del romanticismo che questa vacanza porta con sé, riesce a rendersi perfettamente conto di quanto sia precario abitare in una tenda, alla mercé delle intemperie, degli assalti notturni, degli incontri indesiderati, di un riposo non certo rilassante. Figuriamoci se la tenda può divenire il luogo del potere: lo può essere nel campo di battaglia, luogo dove si prendono le decisioni strategiche, ma appunto per una battaglia in corso, che è quanto di più precario e instabile possa esistere.
Il Dio della Sapienza, o quella Sapienza che è Dio, decide di esercitare il proprio potere sul mondo abitando in una tenda in mezzo agli uomini: siamo nella stessa logica di precarietà e di debolezza del Verbo che si è fatto carne. Il Verbo-Sapienza di Dio prima si fa carne: e se ciò non bastasse per rimarcare la propria debolezza e la propria precarietà, decidere di manifestare il potere della sua gloria e della sua signoria sul mondo...da una tenda. Che tra l'altro non è il segno della precarietà solo per la sua instabilità, ma anche - oserei dire soprattutto - per la sua mobilità, per il fatto, cioè, che è nata per essere levata e ripiantata ogni volta in un luogo diverso, senza fissarsi e stabilirsi definitivamente in un luogo specifico, come si fa con le case e con i palazzi, che già da soli esprimono solidità, stabilità, sicurezza e potere.
La tenda è fatta su misura per il Figlio dell'uomo che, meno ancora di un animale selvatico, "non ha dove posare il capo" perché non vuole avere un luogo sicuro. La sua è una scelta libera, consapevole: il Verbo-Sapienza di Dio non ha abitato in una tenda perché non aveva altra possibilità, ma perché così ha voluto, e perché così ha voluto che vivesse la Chiesa: di tenda in tenda, di accampamento in accampamento, di lotta in lotta, di periferia in periferia. Questa è la Sapienza di Dio fatta carne: quella che esercita il proprio potere da una tenda, nella precarietà, nell'instabilità delle situazioni umane più disagiate e più emarginate.
Del resto, una Chiesa "accampata" tra gli uomini, una Chiesa "ospedale da campo" che cura le ferite dell'umanità nella quotidiana battaglia per la sopravvivenza è ciò che Papa Francesco ha chiesto insistentemente sin dall'inizio del suo pontificato. Una Chiesa che esercita il proprio potere da un palazzo, a null'altro serve se non a entrare nelle logiche di palazzo che alla fine la soffocano e la snaturano; una Chiesa che esercita il suo potere dal luogo in cui la potenza-sapienza di Dio si rivela, ovvero da una tenda, è una Chiesa che ha scelto di rimanere fedele alla logica del servizio imparata dal Maestro.
Non perdiamo l'allenamento, allora, e continuiamo a rimanere accampati e pronti a levare le tende ogni giorno, là dove lo Spirito ci conduce.