Omelia (06-01-2016) |
don Maurizio Prandi |
Lasciarsi illuminare La prima lettura che abbiamo ascoltato è tratta dalla terza parte del libro del profeta Isaia che è stata scritta dopo il ritorno dall'Esilio di Babilonia. Gli esiliati sono tornati e si trovano di fronte ad una città da ricostruire; forse non solo una città, ma anche un intero popolo che corre il rischio di perdersi nello scoraggiamento: ecco però l'invito del profeta ad alzarsi e ad alzare lo sguardo perché ricostruire, ricominciare, è faticoso ma necessario per ciascuno, perché è una opportunità per poter riprendere in mano la propria vita. È forte l'invito ad alzarsi, ovvero ad uscire da una situazione di fatica; a quanti oggi possono essere rivolte queste parole! In tutto questo "lavoro" è assicurata la presenza di Dio che ancora una volta non giudica, non giudica fatiche, lamenti, scoraggiamenti, lontananze ma accompagna, guidando, dando una direzione, aiutandoti a capire che è cominciata una nuova vita per te; nel momento dell'oscurità, nel momento della tenebra, nel momento in cui ti è difficile vedere a causa di una nebbia fitta, spessa, nel momento in cui ti è difficile riconoscere anche solo la presenza non dico di Dio, ma anche solo di un amico, ecco che è possibile una nuova vita, lo splendore della presenza di Dio si manifesta attraverso di te. Mi piace moltissimo che il verbo usato nel primo versetto del testo di oggi sia quello dell'aurora: la presenza del Signore albeggia sopra di te, è un nuovo giorno, è un nuovo inizio; dapprima albeggia e poi, attraverso chi la accoglie, raggiunge gli altri. Potremmo sintetizzare così l'invito che la prima lettura ci fa: lasciarsi illuminare. È importante chiedere sì la luce, ma è importante anche lasciarsi fare, lasciarsi illuminare. Sento che questo è proprio il significato del versetto 5: il cuore di Gerusalemme si dovrà dilatare, allargare, è come una madre che dilata la sua maternità a tutte le genti, a tutti i popoli. E' un segno importante per tutta l'umanità: si può tornare ad essere luce nelle tenebre, si può tornare ad esserlo per tutti! È straordinariamente bella l'immagine della carovana che ci viene consegnata: chi viene da distante e chi non è ancora "tornato a casa", esiliati e dispersi per varie ragioni, ma anche stranieri, che attratti dalla luce del Signore si avvicinano portando i doni per la ricostruzione. Anche da chi è distante, anche da chi magari non me lo aspetterei può venire un aiuto per ricostruire, ricominciare, alzarsi e alzare lo sguardo. La seconda lettura anche insiste sul tema dell'illuminazione e l'apostolo Paolo ci dice si è lasciato illuminare. Mi è più chiaro allora quello che il libro di Isaia anticipava affermando che il popolo eletto di Dio è chiamato ad accogliere una luce che non le appartiene ma che le viene donata, una luce che non parte da se stessa ma da Dio, una luce che non viene dal basso ma dall'alto. Paolo ha accolto questa luce, gli è stato rivelato il mistero: quale mistero? Che il Dio in cui crediamo è un Dio per tutti; è il mistero della salvezza che raggiunge tutti, anche i pagani, i quali, dice il testo, non sono chiamati ad essere partecipi, ma sono partecipi. Facciamo parte della famiglia di Dio: non importano la razza, il colore della pelle, la cultura, la nazionalità, non importano semplicemente perché l'amore di Dio non ha frontiere, non ha confini, non ha muri e quindi ogni persona partecipa della promessa che in Gesù ci viene fatta. C'è una pienezza che Gesù è venuto a portare, c'è una pienezza che il vangelo ci rivela: non possiamo cancellarla con una concezione "di parte" della religione, equivarrebbe a cancellare il Vangelo e lo stesso Signore Gesù dalla nostra vita. Non ci può essere migliore introduzione di questa al brano di vangelo che la chiesa da sempre ci propone in occasione di questa solennità e che ci racconta di alcuni pagani, stranieri, lontani, chiamiamoli come vogliamo, che resi partecipi della promessa si mettono in cammino, in ascolto, in adorazione. I lontani che, ripeto ancora quello che diceva Bruno durante un incontro, sono quelli che capiscono, sono quelli che si aprono, che si mettono in gioco, che si fanno vicini e credono, riconoscono in Gesù Bambino il Dio-con-noi. Ancora una volta il fascino di questo racconto: il fascino della stella, del cammino nella notte, dell'affidarsi ad una intuizione, il fascino di quella domanda: dov'è? Domanda che vorrei tenere sempre accesa nella mia vita e chissà quante volte invece spengo; e la risposta, come dicevamo già in un centro di ascolto in preparazione al Natale: è là, proprio là dove non te lo aspetti! (una famiglia rifiutata, un riparo di fortuna, un bambino, un villaggio di poche case). Ma anche il fascino dei Magi, queste figure apparentemente così distanti da noi, perché importanti studiosi, saggi, coraggiosi nel partire, non impauriti dalla distanza; e in realtà così vicini a noi, a me, ai disastri che combino, con un cammino pieno di errori; vengono da Oriente, da distante, lontani come me dal Signore; giungono nella città sbagliata, perdono di vista la stella, parlano del Bambino con la persona sbagliata, con l'assassino dei bambini, cercano un re... che bello però il loro cercare, il loro camminare, così vicino a quel ricominciare cui accennavo nel commento alla prima lettura! Ricominciano sempre, e come scrive E. Ronchi, consolano me e il mio camminare accidentato, assicurandomi che il dramma non sono gli errori, ma l'arrendersi agli errori. La vicenda dei Magi però mi dice qualcosa di bellissimo: mi dice che anche al termine di un cammino pieno di errori è possibile incontrare Dio! Don A. Casati scrive che non è un cammino facile star dietro alle stelle: mi piace tanto come espressione, la stella è viva di suo, brilla di suo ma attenzione a quelli che spengono le stelle; ci hanno provato il re Erode e gli uomini religiosi che lui ha consultato ma non ce l'hanno fatta. Chissà io, quante stelle avrò spento nella vita degli altri, e le avrò spente perché dimentico di quanta delusione ho provato quando con una risata qualcuno ha spento una stella che secondo me brillava particolarmente in cielo una sera. Ma non sono, non siamo i padroni delle stelle; anche se ci permettiamo di giudicarle le stelle degli altri: chissà quante risate dietro ai Magi quel giorno: e dire che sono convinti di essere degli scienziati! Pensano di seguire una stella e guarda te dove sono arrivati: lì c'è una stalla con un bambino appena nato! Troppo tardi però, per spegnere quella stella che li porta a riconoscere Dio in un bambino. A quel punto non puoi che adorare e non è tempo perso! In quel gesto i Magi ci dicono un'altra cosa importantissima: se vuoi incontrare Dio devi prima incontrare Gesù, devi passare attraverso Gesù, perché è lui la strada più breve tra Dio e l'uomo (Ronchi). In quei doni c'è la vita di Gesù, la sua umanità (mirra), la sua regalità (oro) la sua divinità (incenso), in quei doni la sua storia: i suoi anni nascosti, i suoi gesti pubblici così coraggiosi, le sue mani che toccano ammalati, la sua voce che annuncia perdono, vicinanza di Dio, chiama fuori dal sepolcro e dal luogo del nostro nascondimento; in quei doni i suoi sentimenti, il suo coinvolgersi nelle nostre storie; in quei doni altri doni che ha ricevuto nel suo cammino: l'amicizia e il profumo a Betania, le lacrime di una donna in casa di un fariseo, le lacrime di Pietro cariche di consapevolezza e di dolore, la gioia dei bambini, la gratuità dell'offerta di una povera vedova. L'invito, ogni anno, è sempre lo stesso: apriamo i nostri scrigni, apriamo le nostre vite, offriamole in dono al Signore Gesù. |