Omelia (10-01-2016)
mons. Roberto Brunelli
Un misterioso silenzio durato trent'anni

Si è appena celebrata la solennità dell'Epifania, che ricorda come il Figlio di Dio sia entrato nel mondo non per starsene nascosto, ma anzi proprio per farsi conoscere: "Epifania" significa appunto "manifestazione". Si usa leggere, in quella festa, il passo evangelico dei Magi, che racconta una, solo una, delle epifanie. Un'altra è quella narrata nel passo odierno (Luca 3,15-16.21-22), che narra del battesimo ricevuto da Gesù ad opera di Giovanni Battista.
L'episodio si presta a molteplici considerazioni, cominciando dalla differenza tra il battesimo di Giovanni e quello poi istituito dallo stesso Gesù, cioè quello che ricevono tutti i cristiani. Rilevante è anche il fatto che quel giorno si manifestò il vincolo di Gesù con la Trinità: mentre egli, "ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: Tu sei il mio Figlio".
Da quel momento ebbe inizio la vita pubblica di Gesù, che fu una continua "epifania": una continua manifestazione della sua umanità e della sua divinità, della sua umana debolezza e della sua divina potenza, della sua sapienza e della sua bontà. Dalla prossima domenica se ne leggeranno di volta in volta i tanti esempi, seguendo il resoconto evangelico del suo ministero. Il battesimo fa dunque da cerniera tra gli eventi connessi con la nascita di Gesù e quelli della sua vita pubblica. Di mezzo stanno trent'anni della sua vita terrena, sui quali (a parte l'episodio di Gesù dodicenne al tempio di Gerusalemme) tutti e quattro i vangeli tacciono.
Si può presumere che egli li abbia trascorsi con Maria e Giuseppe nel minuscolo villaggio di Nazaret, nell'anonimato di un giovane "qualunque" di una "qualunque" modesta famiglia israelita di duemila anni fa. Ma possibile che sulla stragrande parte della vita di Colui che ha cambiato il mondo non ci fosse nulla da dire? Questo prolungato misterioso silenzio del Figlio di Dio non può essere un tempo vuoto, una banale attesa del momento in cui avviare la sua missione: deve avere un senso, e in proposito soccorrono l'esempio e la parola di due nostri quasi contemporanei, da poco proclamati Beati.
Charles de Foucauld (1858-1916), un nobile francese, militare di vita dissipata, quando ricuperò la fede lasciò l'esercito e trascorse tre anni a Nazaret come servo delle monache, vivendo incognito in una capanna del loro giardino. Si trasferì quindi da solo nel deserto algerino per, come scrisse, "continuare nel Sahara la vita nascosta di Gesù a Nazaret, non per predicare, ma per vivere nella solitudine la povertà e l'umile lavoro di Gesù". Nel deserto fu poi ucciso da una banda di predoni, concludendo così una vita apparentemente inutile; ma il suo esempio ispirò una quantità di uomini e donne che tuttora operano nelle situazioni più difficili (tra i non cristiani, con i nomadi, in ambienti lontani dalla fede), portandovi la silenziosa testimonianza di una vita secondo il vangelo; una vita che pur senza prediche suscita interrogativi e già non ha mancato di dare i suoi frutti.
Il papa Paolo VI, quando nel 1964, primo tra i successori di Pietro, visitò la Terrasanta, là dove Gesù visse sconosciuto per trent'anni disse tra l'altro: "(La casa di Nazaret) in primo luogo ci insegna il silenzio, atmosfera ammirabile e indispensabile dello spirito, (per essere) fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri. (...) Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia (...) e la legge, severa certo, ma redentrice della fatica umana; qui si nobilita la dignità del lavoro, che non può essere fine a se stesso ma riceve la sua libertà ed eccellenza, non solamente da quello che si chiama valore economico, ma anche da ciò che lo volge al suo nobile fine".
Dunque trent'anni vuoti? Pare proprio di no.