Omelia (17-01-2016)
padre Gian Franco Scarpitta
Cristo Vino e sposo

Il profeta Isaia annuncia la liberazione di Gerusalemme, che fra poco non sarà più una città derelitta e abbandonata a se stessa, ma diventerà una terra "sposata". Come un giovane sposa una ragazza così il Creatore sarà lo sposo della città gloriosa che si rivestirà di luce. Sono tutte promesse che non soltanto comunicano la novità ventura e il dono prossimo a realizzarsi, del quale sarà avvantaggiato il popolo d'Israele, ma che sottendono all'amore di Dio, la cui profondità e intensità è paragonabile a quella di uno sposo per la propria donna. Dio infatti ama il suo popolo anche da innamorato e fa dichiarazioni d'amore sono quelle che a lui rivolge senza esitazioni e senza riserve. Isaia è molto categorico su questo e non si smentisce nella sua ricorrente vena poetica con la quale si esprime per mezzo di paragoni, metafore e similitudini e adesso quella della sposa di Gerusalemme è l'espressione più allusiva all'amore che solo lui può elargire a piene mani.
Anche nella Nuova Alleanza la Chiesa, nuovo popolo d'Israele viene definita "sposa di Cristo", soprattutto in una similitudine di Paolo: "Mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la sua Chiesa e ha dato se stesso per lei."(Ef 5, 25) L'amore di Cristo è però innovativo della novità della salvezza definitiva, della novità del Regno che è in germe e che si attende nella sua pienezza. A Cana di Galilea, Maria viene quasi apostrofata da Gesù con una risposta perentoria e forse anche secca, a parere di alcuni commentatori: "Che c'è fra me e te o donna? Non è ancora giunta la mia ora". Maria le aveva chiesto un intervento perché in quel convito nuziale ci si era accorti che era venuto a mancare il vino ai commensali. Cosa inaudita e inverosimile! Le feste nuziali, che duravano ben otto o nove giorni nei quali si consumavano lauti banchetti, non potevano permettersi di restare senza la bevanda che esalta il sapore dei cibi e che incute allegria. Il vino è segno di festa, di gioia e in un banchetto nuziale non può certo mancare. Chissà come, adesso viene a mancare senza che il maestro di tavola sia messo al corrente (dopo crede infatti che lo sposo abbia sempre conservato il vino buono degli esordi); per la qual cosa Maria vuole che lui faccia qualcosa, fiduciosa in un suo intervento risolutore. Gesù la definisce "donna", quasi con apparente distacco e ritrosia e precisa: "Non è ancora giunta la mia ora." Per alcuni esegeti (R. Penna) il termine "donna" riferito a Maria indica il popolo d'Israele che è stato visitato da Dio nel Messia. Quando Gesù si rivolge quindi a Maria con una simile espressione, egli vede in sua madre il popolo d'Israele che è giunto alla pienezza, perché il Messia è finalmente arrivato. Il tempo propizio è giunto perché Dio si è fatto uomo, il Verbo si è incarnato per la nostra salvezza e il Messia preannunciato dai profeti è ora in mezzo ai suoi. Ciò nondimeno ancora non è giunto il momento "propizio" nel quale egli manifesterà la sua salvezza definitiva, il tempo finale nel quale sarà resa manifesta la sua vera gloria per cui l'uomo sarà redento e tratto a nuova vita. L'"ora" di Gesù si verificherà al momento del suo arresto, quando per volontà del Padre subentrerà l'"ora" propizia nella quale le tenebre avranno ragione di lui perché venga consegnato alla croce e quella sarà la circostanza suprema della salvezza, perché la croce sarà il luogo del riscatto universale. In parole povere l'ora di Gesù è già venuta, certo, ma ancora non nella forma esaustiva e culminante. E' quello infatti il motivo fondamentale della gioia, la vittoria di Gesù sul potere delle tenebre, sulla morte e sul maligno, la quale avrà luogo solamente alla fine, quando per volontà del Padre egli starà sottomesso agli aguzzini e abbandonato da tutti. Maria allora viene individuata adesso come colei che dovrà vedere l'ora della salvezza al momento della passione e della croce di Gesù e solo in quell'occasione sarà veramente legittimo ogni suo miracolo. Gesù non è un fautore di sortilegi o di magie atte a soddisfare piccoli capricci o banali necessità materiali quali far comparire il vino a tavola per soddisfare gli assetati. Non è un miracolista banale e melense. Ogni suo intervento miracoloso piuttosto tende a testimoniare la misericordia del Padre ed è rivelativo della realtà del Regno che egli con la sua incarnazione è venuto ad apportare. Per meglio intenderci, con la guarigione fisica Gesù mostra che Dio ha potere sul dolore e la fede di ciascuno può guarire ogni sorta di malattia; con la guarigione dai lebbrosi mostra che Dio purifica e risana anche interiormente, con la resurrezione di Lazzaro che lui è la via, la verità e la vita e con la guarigione del cieco nato che egli è la luce del mondo. Cosa potrebbe comunicare di teologico e di spirituale un miracolo come quello della comparsa prodigiosa del vino? Dovrebbe risultare per implicito che Maria, in ogni caso, abbia per scontato tutto questo e che lei comprenda benissimo il senso dell'affermazione di Gesù, soprattutto in quella famosa espressione "non è ancora giunta la mia ora". Maria doveva ben comprendere il senso dell'affermazione di "ora". E proprio per questo lei si ostina ad affidarsi a Gesù comandano ai servitori di fare "qualsiasi cosa lui vi chieda". Sa benissimo che Gesù non compirà una banalità e non farà esibizionismo vano del suo potere miracoloso, ma che piuttosto, trasformando l'acqua delle giare per la purificazione in vino annuncia a tutti la fine dei vecchi sistemi rituali e delle prescrizioni della vecchia alleanza e l'inizio dei tempi nuovi, cioè della vera gioia apportata dall'incarnazione del suo Figlio. Come l'acqua è diventata vino, così in Cristo c'è il vino nuovo della gioia e della letizia che ha reso vani tutti i vecchi espedienti di purificazione.
La sua presenza adesso è preludio della gioia futura dell'ora (Kairos) propizia del passaggio dalla morte alla vita. Questa sarà l'"ora" delle tenebre, nella quale il maligno, che nel deserto fugge sconfitto e impotente di fronte alle risposte di Gesù in seguito alle tentazioni attuate nei suoi confronti, adesso ha il sopravvento su di lui: per volontà del Padre in quell'"ora " si realizzerà l'immolazione del Figlio, che sarà necessaria per la Resurrezione.
Il miracolo della trasformazione dell'acqua in vino è un invito ad intraprendere la scelta di Cristo nell'ottica della gioia propria di uno sposalizio ed è per ciò stesso un imperativo alla vita nella libertà e nella letizia, abbandonato ogni compromesso con il condizionamento e con la schiavitù. Al legalismo e alla sterile formalità non può non subentrare la personale partecipazione nella libertà e nella corresponsabilità ma è soprattutto necessario che questa sia contrassegnata dalla trasparenza della gioia che ci è data dalla sola appartenenza a Cristo.
Il tutto si spiega con la sola ragione dello sposalizio che Cristo ha realizzato egli stesso con la sua Chiesa, con la quale consuma un perenne banchetto di nozze nel quale il vino non verrà mai a mancare. Cristo per la Chiesa è il Vino, ma anche lo Sposo e in ambedue i casi in lui c'è sempre la gioia e la vita per tutti.