Omelia (17-01-2016)
mons. Roberto Brunelli
In dialogo con il popolo d'Israele

Il passo evangelico di questa domenica (Giovanni 2,1-11) presenta il primo miracolo compiuto da Gesù nel corso del suo ministero pubblico. E' il noto episodio delle nozze di Cana, durante le quali, sollecitato da sua Madre, egli non ha disdegnato di mantenere viva la festa cambiando l'acqua nel vino venuto a mancare. Nell'episodio si distingue la figura di Maria: è lei ad accorgersi della difficoltà in cui stanno per incorrere gli sposi, e subito, prima che il problema si manifesti, se ne fa carico, segnalandolo a chi sa che lo può risolvere. "Non hanno più vino", dice al Figlio. Questi le risponde in modo a prima vista duro: "Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora". Quell'accenno alla sua "ora" sottintende che Gesù aveva un programma da seguire nella sua auto-rivelazione, un piano d'azione in cui un intervento a Cana non era compreso; tuttavia la sollecitazione della Madre è bastata a farglielo cambiare.
Anche in base a questo episodio si è diffuso nei secoli il ricorso a Maria da parte dei cristiani, fiduciosi che ella possa continuare ad ottenere il benefico intervento del suo Figlio. Tuttavia sorprende quanti hanno del cristianesimo una cupa visione di penitenze e rinunce, il fatto che Gesù compia un miracolo - e per di più il primo, che è in certo modo programmatico - per un motivo apparentemente futile: fornire altro vino a chi pure ne aveva già bevuto. E invece questo miracolo la dice lunga su come Gesù intenda la vita degli uomini. Egli non li vuole certo tristi: guarisce i malati perché possano vivere in buona salute; nei suoi insegnamenti indica come vivere in armonia con il prossimo; e non è affatto contrario alla festa di chi banchetta in compagnia. Una gioia perseguita senza malizia dà agli uomini la percezione di come sarà la vita eterna, la felicità piena e senza fine che Dio assicura agli eletti. Già Isaia (25,6) l'aveva annunciata con l'esempio di un banchetto: il Signore preparerà per tutti i popoli "un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati". E lo stesso Gesù ha ripreso il concetto, come si legge in Matteo 8,11: "Ora io vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli".
Questo richiamo ai patriarchi con i quali si è avviata la storia del popolo d'Israele dà motivo di ricordare la ricorrenza odierna. Come ogni anno il 17 gennaio, oggi si celebra la giornata nazionale per l'approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra i cattolici e gli ebrei, che mira a superare definitivamente secolari pregiudizi e incomprensioni. In particolare noi cattolici siamo invitati a guardare con rispetto e conoscere meglio quelli che San Giovanni Paolo II ha chiamato i nostri "fratelli maggiori", cioè il popolo d'Israele, la nostra "radice santa" (la definizione è di San Paolo nella Lettera ai Romani 11,16) cui appartenne, nella sua umanità, lo stesso Signore Gesù, e con lui la Madonna, gli apostoli e i primi cristiani.
A sua volta, la giornata del dialogo tra i cattolici e gli ebrei richiama le giornate che cominciano domani e si protraggono sino al giorno 25: è l'annuale settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. Da quando i cristiani delle diverse confessioni - cattolici, ortodossi, anglicani, luterani, valdesi eccetera - pregano tutti con questa intenzione, la causa ha compiuto straordinari progressi; è opportuno pertanto continuare e intensificare la preghiera, perché si affretti il giorno in cui si realizzerà appieno la volontà del nostro comune Signore. Egli l'ha espressa ripetutamente, e in particolare in un momento straordinariamente significativo: come riferisce l'evangelista Giovanni (17,11), nel corso dell'Ultima cena, vale a dire nell'imminenza del proprio sacrificio sulla croce, Gesù ha pregato il Padre suo per i discepoli, chiedendo che "siano una cosa sola, come noi".