Omelia (17-01-2016)
Michele Antonio Corona


Riprendere il cammino ordinario della fede non è cosa facile. È sempre più naturale vivere momenti entusiasmanti, feste roboanti e eventi sorprendenti. Ritornare nel solco della vita quotidiana è ciò che ci destabilizza maggiormente, in quanto ci riporta alla nostra vita lineare.

È interessante, invece, il movimento della liturgia: dopo le grandi feste natalizie con luci, colori e campane, siamo trasferiti nella quotidianità più acerba: una festa di nozze! Forse oggi, con la dirompente crisi familiare e coniugale, capiamo meglio il travaglio di una festa riuscita male. Pensare al ristorante, alla festa, al luogo dell'incontro con gli amici non è, forse, il contesto adatto. Nell'antichità il banchetto era il luogo dell'intimità, della familiarità, dell'amicizia anche quando si svolgeva nell'ambito sociale dell'intera comunità.

Nel brano evangelico ci troviamo alle radici dell'esistenza umana, della solidarietà, del modo di condividere un momento di letizia. Eppure, proprio in questo momento di gioia manca un elemento, che non è da ubriaconi, ma da amici: il vino. Forse è importante sottolineare questa mancanza, in un tempo in cui l'alcool è diventato il sonnifero delle angustie, il medicinale delle preoccupazioni, l'analgesico dei tormenti.

La richiesta di vino da parte della madre non è per tarpare le ali a chi vuole essere vero e sobrio, ma è l'anelito del dono, della verità, del poter comprendere che la gioia della vendemmia è continua. Le attenzioni poste per la preparazione della festa non sono state sufficienti per evitare che il vino finisse. L'ingrediente fondamentale della festa (su cui il capofamiglia pronunciava le benedizioni durante la cena pasquale) viene a mancare. Il vino pertanto non può essere un elemento tra i tanti, ma ne è il fondamentale. Allo stesso modo in cui il pane corrisponde simbolicamente ad ogni cibo che sostenta l'esistenza umana, così il vino è il segno della comunione, della condivisione, della letizia, della bellezza della vita. In questo contesto, tutt'altro che a lieto fine, si pone l'opera di Gesù. Il Figlio può convertire ogni lutto in elemento vitale e di speranza.

La parola della madre ai servi è talmente ampia e aperta da farci perdere in un mare sconfinato: "Qualsiasi cosa vi dica, fatela". Chi di noi si fiderebbe di un imperativo simile? Chi darebbe credito ad una madre che dice questo di suo figlio? Chi non penserebbe che forse è troppe presa dal frutto del suo grembo? Eppure è proprio Maria la prima a tuffarsi nel mare sconfinato del Figlio, a credere e puntare sulla sua parola, a radicare la sua fiducia in quel Cristo che non ama vendersi al primo che passa. Le parole di Gesù, evidentemente enigmatiche, non offrono spiragli sicuri per chi non si fida di lui, per chi non crede nella sua parola e per chi non rischia di farsi coinvolgere dal suo annuncio sempre nuovo. In modo molto significativo Giovanni sottolinea come questo sia stato il primo segno - forse più a livello di importanza che in ordine cronologico - evidenziando quanto l'annuncio di Gesù parta dalla vita delle persone, si dedichi alla cura dell'uomo e della donna nei suoi ambiti esistenziali. Tuttavia, a primo acchito, Gesù sembra rifiutare l'intervento e consolare gli sposi e sua madre.

Ciò che Isaia con profondo entusiasmo prospetta nella prima lettura, sembra essere disatteso dal vangelo. Il grido di speranza sembra soffocato a partire proprio dalla madre, chiamata meramente "donna". Entrare nel respiro del vangelo (buona notizia) è tipico di chi accetta di diventare discepolo del Maestro. L'intervento del maestro di tavola sembra far eco all'intenditore che sa come valorizzare un'azione nel contesto quotidiano. Forse sarebbe bello intraprendere questa strada, in cui ognuno ringrazia l'altro per l'azione compiuta, per l'attenzione prestata, per la gratuità donata. In cui si riesce ad apprezzare il valore dell'altro a prescindere che sia espresso all'inizio o alla fine del "banchetto". Il primo segno nel vangelo di Giovanni sembra anticipare già la cena finale, segnata nel quarto vangelo dalla lavanda dei piedi e dai discorsi di addio. Il vino donato non è stato per Gesù gesto solo estremo e finale, ma costante, quotidiano, eterno e condiviso.