Omelia (17-01-2016)
Carla Sprinzeles
Commento su Giovanni 2,1-11

Oggi inizia il tempo ordinario, nella consapevolezza di essere creature viviamo la quotidianità, chiediamoci come dev'essere il nostro rapporto con Dio. Il compito che ci viene affidato è quello di aprirci all'Amore di Dio in modo da creare la comunione, che potrà costituire il legame profondo tra le persone, in una fraternità nuova.

Il simbolo che viene usato oggi nelle letture è l'unione sponsale: ci dicono che il nostro rapporto con Dio è un unione sponsale!


ISAIA 62, 1-5

La prima lettura è del terzo Isaia, un profeta che scrive nel periodo del post-esilio.

Soprattutto dopo Osea per esprimere qual è il rapporto tra Dio e il suo popolo, nella Bibbia viene detto che è un rapporto sponsale, nuziale.

Si passa dall'Alleanza, simbolo politico, diplomatico, a quello più intimo e personale, per cui Dio e uomo o donna si incontrano in un dialogo intenso ed esaltante.

L'amore che esiste sulla faccia della terra e che riappare ogni volta che due creature si incontrano e si amano è il segno dell'amore che Dio nutre verso l'umanità intera.

Ecco su cosa dobbiamo confrontarci oggi, il nostro rapporto con Dio è un rapporto sponsale?

Il nostro legame con Dio, non dev'essere improntato sulla paura!

Nell'amore non c'è timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell'amore.

Il profeta Isaia presenta Gerusalemme quale amata sposa del Signore nel giorno della festa nuziale.

Dice, nel testo: "Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra Devastata, ma sarai chiamata Mia gioia e la tua terra Sposata, perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo.

Il nome dato da Dio a Gerusalemme significa tre cose:

una nuova identità, segno della missione che le affida,

una presa di possesso nuova, più intensa da parte di Dio,

una relazione di reciprocità basata sulla fiducia incondizionata e sull'intimità.

Chiediamoci se questa è la base del nostro rapporto con Dio.

Ci sentiamo possesso di Dio, ci sentiamo suoi partner?

La nostra relazione con il Signore è basata su una fiducia incondizionata?

Ci sentiamo suo compiacimento, sua gioia?

E' questo che ci dice oggi la prima lettura e sentiremo che corrisponde al Vangelo, orientiamoci così e iniziamo il nuovo anno in verità, impostando rapporti autentici, iniziando con il Signore!


GIOVANNI 2, 1-11

Anche il Vangelo ci presenta le nozze come una rappresentazione del nostro rapporto con Dio. Domenica scorsa abbiamo letto il battesimo di Gesù, Gesù si mostra e il Padre che dice: "Questi è il mio Figlio, l'amato."

Abbiamo tre "epifanie", quella dei Magi, il Battesimo di Gesù e poi oggi, nel tempo ordinario Gesù si mostra con un segno per gli uomini: il segno di Cana di Galilea.

La questione non è il miracolo come segno magico, qui si tratta veramente di un segno, di qualcosa che Gesù fa per cominciare a mostrarsi, per dire in che direzione sta andamdo.

E' la prima confidenza che Gesù fa agli uomini.

Nel testo di Giovanni lo sposo non c'è, se non per prendersi dei complimenti di cui non capisce il senso; la sposa non esiste; dei loro amici non si sa nulla; di questo sposalizio si dice che c'era la madre di Gesù, e dunque, esattamente come succede ai nostri tempi, hanno dovuto invitare anche il figliom che si è tirato dietro i suoi discepoli.

Giovanni ci dice la prima cosa che Gesù fa all'inizio del ministero pubblico; ci stimola a chiederci: "cosa vuole fare?" "che cosa ci sta confidando?"

Ci sta confidando che siamo chiamati a delle nozze con Dio. E che la faccenda è seria; è una festa seria.

In questo racconto lo sposalizio è stranissimo.

"Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili".

Nelle case private non c'erano giare per la purificazione, che stavano nel tempio, o al massimo nelle sinagoghe.

Secondo i calcoli degli esperti ogni giara conteneva 100 litri d'acqua.

Cosa se ne facevano di 600 litri d'acqua, in una situazione desertica molto difficili da reperire?

Giovanni con queste 6 giare di pietra piene d'acqua per la purificazione ci dà l'immagine di un matrimonio impietrito e imperfetto: il legame tra Dio e il suo popolo è di pietra, di acqua, non sa di niente, è fermo e incompleto, ne manca un pezzo, è un matrimonio un po' stanco, logorato.

Gesù trasformerà l'acqua in vino, cambierà questo matrimonio tra Dio e il suo popolo in ciò che inebria, in una passione, trasformerà il tran-tran routinario di un matrimonio un po' logorato in una passione travolgente che inebria come il vino, e un vino buono.

Le giare per la purificazione sono l'ossessione della legge per la purezza rituale.

L'importante è avere le mani lavate fino al gomito, non aver mangiato cibo impuro, Giovanni vuol portare in un altro clima. Ci vuole dire che è l'amore che salva! E' il tocco di un altro, è una voce che mi chiama fuori, è la mia capacità di fidarmi della vita, di buttare il cuore oltre l'ostacolo, è la mia capacità di farmi coraggio.

Bisogna invitare Gesù a nozze con tutti i suoi amici!

La parte migliore di noi non è nelle nostre mani, il meglio deve ancora venire!

Gesù è stato coinvolto nell'avventura degli altri, attraverso una decisione, sollecitata da Maria, che dice: "Guarda, non hanno più vino!"

Noi non sappiamo che cosa Maria chiedesse, potrebbe essere che, visto che era morto Giuseppe, per i problemi pratici prendesse lui le decisioni.

La risposta di Gesù è dura: "Che c'è tra me e te, donna?", che vuol dire: "Non è un nostro affare" "Non ci riguarda".

Maria, nonostante tutto, si vede che nell'atteggiamento di Gesù era sottinteso: "Va bene, se insisti, lo faccio"

Gesù dice a Maria: "Guarda non dobbiamo interessarci, non è ancora quest'ora"

E' il passaggio dell'amore che è giunto a maturità, all'oblatività senza ragioni adeguate.

Gesù qui inizia questa fase della vita, quando passa dall'amore che è volontà di bene, alla responsabilità degli altri, a non considerare più i motivi del proprio amore, ma solo la necessità degli altri. In questa fase della vita si mette al servizio degli altri, dona senza riserve.

La madre sembra stimolarlo a passare in questa fase, a buttarlo nella storia, superando le resistenze che Gesù aveva.

Poi ci sono le figure dei servi, che non dicono niente ma fanno.

I servi, sono la nostra vita quotidiana, sono rimanere là dove si è, fare ciò che ci compete, si fidano senza motivo, senza logica.

Anche a noi compete esercitare la compassione anche sulla vita degli altri.

L'incontro con Dio, rappresentato da queste nozze, nasce da una forza e non da un bisogno.

Apparentemente nasce da una festa mancante, cioè l'esperienza della fede nasce nella nostra forza, che però da sola non basta. Ci viene chiesto di esserci, di scegliere, di dire sono qui, sono in piedi, non cerco per bisogno, la mia vita è bella, ma noi abbiamo solo 6 giare non 7 e non abbiamo abbastanza vino per gli invitati.

La fede è una festa di nozze in cui il matrimonio è impietrito, come le giare, diventa vino che inebria.


Amici, a volte tocchiamo con mano la tristezza di chi ha perso il vino della vita. Gesù possiede questo vino dello Spirito che inebria i cuori d'amore e di vita.

L'ascolto e il dialogo incoraggiano l'altro a divenire se stesso, anche se si rivela molto diverso da ciò che sembrava; la vita può sgorgare abbondantemente. Molti ne riceveranno beneficio.