Omelia (17-01-2016) |
padre Ermes Ronchi |
Nella festa di nozze il principe dei segni, il capostipite L'intero Israele risuonava del lamento di schiavi e lebbrosi, e Gesù sembra ignorarli e inizia il suo ministero ma da una festa di nozze. Anziché asciugare lacrime, colma le coppe di vino. Sembra indifferenza davanti al dolore dei poveri, la scelta di qualcosa di secondario di fronte al dramma del mondo, eppure il vangelo chiama questo il "principe dei segni", il capostipite di tutti. Gesù vuole trasmettere a Cana il principio decisivo della relazione che unisce Dio e l'umanità. Tra uomo e Dio corre un rapporto nuziale, con tutta la sua tavolozza di emozioni forti e buone: amore, festa, dono, eccesso, gioia. Un legame sponsale, non un rapporto giudiziario o penitenziale, lega Dio e noi, un vino di festa. A Cana Gesù partecipando a una festa di nozze proclama il suo atto di fede nell'amore umano. Lui crede nell'amore, lo benedice, lo rilancia con il suo primo prodigio, lo collega a Dio. Perché l'amore è il primo segnale indicatore da seguire sulle strade del mondo, un evento sempre decretato dal cielo. Gesù prende l'amore umano e lo fa simbolo e messaggio del nostro rapporto con Dio. Anche credere in Dio è una festa, anche l'incontro con Dio genera vita, porta fioriture di coraggio, una primavera ripetuta. A lungo abbiamo pensato che Dio fosse amico del sacrificio e della gravità, e così abbiamo ricoperto il vangelo con un velo di tristezza. Invece no, a Cana ci sorprende un Dio che gode della gioia degli uomini e se ne prende cura. «Dobbiamo amare e trovare Dio precisamente nella nostra vita e nel bene che ci dà. Trovarlo e ringraziarlo nella nostra felicità terrena» (Bonhoeffer). Ma ecco che «viene a mancare il vino». Il vino, in tutta la Bibbia, è il simbolo dell'amore felice tra uomo e donna, tra uomo e Dio. Felice e sempre minacciato. Non hanno più vino, esperienza che tutti abbiamo fatto, quando stanchezza e ripetizione prendono il sopravvento. Quando ci assalgono mille dubbi, quando gli amori sono senza gioia, le case senza festa, la fede senza passione. Ma c'è il punto di svolta del racconto. Maria, la donna attenta a ciò che accade nel suo spazio vitale, sapiente della sapienza del Magnificat (sa che Dio ha sazia gli affamati di vita) indica la strada: «Qualunque cosa vi dica, fatela». Fate ciò che dice, fate il suo Vangelo, rendetelo gesto e corpo, sangue e carne. E si riempiranno le anfore vuote del cuore. Fate il vangelo, e si trasformerà la vita, da vuota a piena, da spenta a felice. Più vangelo è uguale a più vita. Più Dio equivale a più io. Viene come un di più sorprendente, come vino immeritato e senza misura, un seme di luce. Ho tanta fiducia in Lui, perché non dei miei meriti tiene conto, ma solo del mio bisogno. |