Omelia (17-01-2016)
don Maurizio Prandi
Segni, non miracoli

Il racconto delle nozze di Cana fa in realtà parte della festa dell'Epifania. L'Epifania e le due domeniche seguenti rappresentano tutte un elemento dell'Epifania del Signore: i Magi che vanno a Betlemme e portano i doni al Re dei Giudei; Gesù che viene battezzato nel Giordano e viene rivelato dal Padre come il suo Figlio; Gesù che a Cana compie il primo dei suoi segni. Così manifestò la sua gloria: ancora una manifestazione, ancora una epifania quindi, potrebbe sembrare poca cosa a chi, come noi, si è ormai abituato a tradurre la parola "gloria" con " presenza". Lo facciamo prima di tutto perché è il modo più appropriato e secondariamente (ma non troppo), in quanto è un ottimo esercizio per non cadere nella trappola del sensazionalismo alla quale molti fanno tendere il termine gloria. Manifestò, Gesù, la sua presenza e la presenza di Dio in lui. Tutto qui? Si potrebbe obiettare; tutto qui risponderei io, perché per me è sufficiente, a me basta così, a me basta "il dove" Dio si manifesta.

1) La sua manifestazione, la sua presenza nella casa, casa di poveri, di gente semplice a Betlemme.
2) La sua manifestazione, la sua presenza nelle acque del Giordano, acque di peccatori, acque di gente forse poco raccomandabile, di gente smarrita, senza orientamento, di gente distante, di gente che chiede aiuto.
3) La sua manifestazione, la sua presenza al banchetto, alla festa, alle nozze di Cana di Galilea.
4) La sua manifestazione, la sua presenza insomma, nella normalità della vita degli uomini, proprio là dove non te lo aspetteresti, dove non lo cercheresti.

È di questa prima settimana del tempo ordinario l'ascolto, nella liturgia della messa feriale, del primo capitolo del vangelo di Marco; l'ascolto di pagine che aiutano a recuperare questo aspetto così importante e al tempo stesso da me troppo trascurato nell'annuncio della vita di Gesù, il quale desidera vivere ogni ambito della vita degli uomini: il luogo della fatica (deserto), il luogo della preghiera (sinagoga), il luogo della quotidianità (il lavoro dei pescatori, la casa), il luogo delle relazioni (la strada).

È importante quello che accade a Cana di Galilea, perché quello che ci siamo abituati a definire come "il primo dei miracoli di Gesù", in realtà, nella traduzione letterale e certamente più appropriata, è: "il principio dei segni". Siamo al principio. E qui Giovanni usa la stessa parola con la quale inizia il suo vangelo e la stessa parola con la quale è stato tradotto bereshit termine con il quale comincia con il libro della Genesi, la Bibbia. Siamo ad un nuovo inizio, una nuova creazione, un nuovo cammino.

Bello che Giovanni li chiami "segni" e non miracoli. Il miracolo finisce un po' lì, tanto stupore si, tanta meraviglia, tanta seduzione ma poi di camminare, di ricercare, di scoprire, nemmeno se ne parla. Il segno è qualcosa di profondamente diverso: è li per rimandare a qualcosa d'altro, a qualcosa che non vedi, indica un "dove" al quale non sei ancora arrivato e che non conosci. Facile la strada del miracolo: tanto splendente da toglierti qualsiasi fatica; tanto evidente da farti soltanto annuire con la testa; tanto immediato da farti arrivare subito alla meta senza nemmeno farti mettere in cammino. Più faticoso invece, il segno, perché ti chiama in causa, ti chiede di vedere, di leggere, di ascoltare, di provare a capire che cosa significhi; il segno chiede di essere interpretato, ha bisogno della mia intelligenza. Perdonate il linguaggio banale: il miracolo è la pappa pronta, il segno invece "ha bisogno" di noi.

Quello di Cana è l'origine (arché in greco) dei segni. Vuol dire che è come un piccolo seme che è stato gettato e che crescerà, che pian piano manifesterà tutte le sue potenzialità e doni, tutte le ricchezze che contiene. All'inizio non si vede, perché se uno guarda il seme non può ancora vedere il tronco, le foglie, i frutti e tutto quello che da quel seme può uscire, deve aspettare, è necessaria tutta la pazienza del contadino. Tutto però, in qualche modo, è li, dentro quel seme. Il segno di Cana è piccolo, gli unici a sapere qualcosa sono i servi e poi i discepoli (che crederanno), però c'è tutto quello che Gesù manifesterà e rivelerà: c'è tutta la sua vita in quel vino migliore conservato fino all'ultimo; in quel vino della fine, dell'ultima ora, della "sua ora", c'è quel sangue donato sulla Croce per la salvezza di tutti gli uomini. Mi viene in mente una bella pagina di don Angelo Casati sulla "legge della gradualità" che il segno-seme mi pare rispetti in pieno. E' una legge essenziale ad ogni comunicazione anche (e forse soprattutto) per quello che riguarda la fede. scrive don Angelo: oggi sembra di assistere in campo ecclesiastico alla pretesa di nascite senza i nove mesi di attesa. Dovremmo riconoscere che il criterio del "tutto subito", il criterio dell'"eccellenza" producono nascite forzate, come la nascita delle magie e delle ipocrisie. Il vangelo ci ha insegnato invece la pazienza del contadino. Ci ha insegnato anche "il sonno" del contadino: dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Insegnamento dimenticato e poco praticato, dagli uomini dell'efficienza. Ricordato e praticato da coloro che ancora credono nello Spirito.

Sento tutto questo fortemente legato alla quotidianità e non posso non notare che ancora una volta Gesù i suoi segni, a partire da quello che pone come principio, li pone vicino agli uomini, alla loro portata, là dove vivono, e questo è bellissimo. I segni di Dio noi invece siamo soliti collocarli nello spazio sacro, nel tempio... un po' fuori della portata, come nell'antichità si faceva collocandoli sul monte, sulle alture sacre. Non sempre fortunatamente... ci sono alcune comunioni o unzioni dei malati portate nelle case o negli ospedali, capaci di parlare al cuore e alla vita dei presenti che magari dopo tantissimo tempo si trovano in un modo misterioso e inaspettato a vivere una intimità con Dio che pensavano non potesse far più parte della loro esperienza di fede.

È una pagina, questa del vangelo di Giovanni, che sento gravida di conseguenze sotto tantissimi aspetti: il segno, la pazienza, il "dove" della manifestazione, ma anche il "quando". Tutto accade ad una festa di nozze, perché Dio, ci dice Gesù, è nel segno della festa, la festa di tutti! Proprio la festa si, quando (scrive in un altro testo don Angelo), ci si abbandona, ci si lascia andare, ci si sbilancia. Lo sento vero e provo ad applicarlo alla liturgia: io sicuramente esagero, ma non riuscirei a celebrare in maniera compassata e in retto-tono, perché Dio non è nella rigidità, non è nel trattenersi, non è nel chiudersi, perché Dio è amore e se non è sbilanciamento quello dell'amore.
Non so se la domenica quando celebriamo la messa in Basilica con i bambini e le famiglie riusciamo a trasmettere tutto l'amore che proviamo per loro e per gli adolescenti, per i giovani, per gli ammalati; certo è che quando prepariamo la liturgia, un segno, una preghiera non è per il gusto di fare qualcosa di nuovo o di diverso: è solo il bene che vogliamo quello che anima le nostre scelte.

Concludo con una preghiera che nasce ancora una volta dalla lettura di un testo di don Angelo Casati: Rendici consapevoli del dono che ci fai, Signore, ogni domenica con la celebrazione dell'Eucaristia. Fa' che non sprechiamo questo dono riducendolo a giara di pietra vuota, ma che sia per noi custodire il vino nuovo del vangelo, che ci consente di entrare nella vita non con la faccia degli annoiati, degli stanchi, dei delusi, ma con il volto di chi ha incontrato il Dio della vita, il Dio del banchetto, il Dio della festa.

Sento necessaria anche una piccola nota sulla "gloria di Dio", perché questa parola, come accennavo all'inizio, nella storia della cristianità ha subito una deriva di ambiguità e di fraintendimenti. Manifesta la sua gloria a Cana Gesù, e fa uscire tutti da una situazione che sembra "chiusa". Manifesterà la sua gloria anche a Betania, quando dice a Maria: se credi vedrai la gloria di Dio. ha creduto Maria, ma cosa ha visto? Nessun palco costruito per ricevere gli applausi, nessun trono allestito per ricevere gli onori. Marta e Maria vedono il fratello uscire dalla tomba. Gloria di Dio è fare uscire dalla tomba Lazzaro, gloria di Dio è far uscire l'umanità intera dalle proprie chiusure.