Omelia (24-01-2016) |
padre Antonio Rungi |
Gesù, giubileo della misericordia del Padre Nell'anno giubilare della misericordia, in questa terza domenica del tempo ordinario dell'anno liturgico, risuona con particolare significato la parola di Dio che ascoltiamo nella liturgia della santa messa di oggi. E' nel testo del vangelo di Luca, che ci racconta della presenza di Gesù a Nazaret, nella sinagoga del paese dove ha vissuto la sua infanzia, fino al momento dell'attività missionaria, ove ha l'opportunità, come tutti gli israeliti di leggere la parola di Dio. Gli capitò in quel sabato di leggere il testo del profeta Isaia, ben noto, in cui si parla appunto della venuta del messia, del tempo della liberazione ed anche dell'anno giubilare, l'anno in cui più potente si faceva e si fa il dono della misericordia verso tutti e verso gli ultimi, i poveri, i carcerati, coloro che erano e sono soggiacenti in ogni forma di schiavitù morale, spirituale materiale. Gesù si fa proprio quel testo profetico dell'Antico Testamento e lo adatta alla sua missione e alla sua presenza nel mondo. «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato», egli dice si realizza tutto quello che aveva detto il profeta. Ma cosa aveva previsto, prefigurato il grande profeta della libertà? Vedeva nella venuta del Signore il tempo della misericordia, della liberazione, del ritorno ad una vita davvero felice. «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l'anno di grazia del Signore». In verità anche il profeta Neemia, nel brano della prima lettura di questa domenica ci racconta della liturgia della parola di Dio, che si usava celebrare presso gli Israeliti. In gioco ci sono gli addetti alla proclamazione della parola del Signore, che, nel caso specifico, è il sacerdote Esdra. L'importanza e la sacralità delle lettura della parola di Dio è ben nota presso il popolo d'Israele come è facile capire da questo testo. Il grande rispetto e la venerazione che si deve alla parola di Dio è accreditata in modo certo presso il nuovo popolo di Dio, la comunità cristiana che era assidua, fin dai primi tempi dopo la risurrezione di Cristo e la sua Ascensione al cielo e con l'invio dello Spirito Santo, nella lettura della parola di Dio e nell'insegnamento degli Apostoli. Anche le comunità cristiane come la comunità ebraica si nutrivano della parola di Dio e continuano a nutrirsi, attraverso varie forme di celebrazione della parola, tra cui eminentemente nella celebrazione della santa messa. La prima parte della celebrazione eucaristica è, infatti, dedicata alla liturgia della parola. Quella parola che abbiamo ascoltato e che insieme, anche in questa domenica, diventa cibo per le nostre anime e sulla quale meditiamo, riflettiamo e promettiamo di operare coerentemente con essa. E' interessante, proprio attingendo dal testo della prima lettura di oggi, quale dignità avesse la parola di Dio presso il popolo di Israele e con quanta responsabilità, mansione ed attenzione ci si accostava ad essa specie nella proclamazione in pubblico dei testi sacri. Non ci si inventava lettori e come vengono detti, leviti, cioè addetti alla liturgia, ma si veniva formati alla proclamazione ufficiale ed in pubblica assemblea della parola di Dio. Infatti, i levìti leggevano il libro della legge di Dio a brani distinti e spiegavano il senso, e così facevano comprendere la lettura". Come si vede la parola veniva proclamata e commentata: catechesi, omelie, spiegazione dei testi sacri hanno una storia che parte dagli ebrei, i nostri fratelli maggiori nella fede e gli specialisti della lettura della Legge di Dio e dell'antica alleanza. Nella lettura pubblica della parola di Dio non erano esclusi gli uomini politici, coloro che detenevano il potere. Infatti alla lettura è presente anche Neemia. I vari personaggi citati nel brano, e cioè Neemìa, Esdra, sacerdote e scriba, e i leviti, ammaestravano il popolo dicendo a tutti i presenti: «Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete!». In poche parole è il sabato ebraico, divenuto la nostra domenica, giorno del Signore, durante il quale è dovere di tutti i credenti "fare festa ed abbandonare l'abito di lutto e del dolore". Infatti tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge. Una festa che parte dall'ascolto della parola e si estende nella vita familiare e sociale. Non senza motivo Neemìa disse al popolo dopo aver ascoltato la parola: «Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza». Fare festa con un lauto convito, ma anche far fare festa a chi era sprovvisto di cibo. Non è domenica se non solleviamo la sofferenza di chi sta nella necessità ed ha bisogno del cibo materiale. Questa è un dovere morale, oltre che un obbligo civile su tutta la terra. A nessuno deve mancare il cibo della festa, ma anche il cibo della quotidianità. Ma questo è un sogno che non si realizza, se tutti pensano a soddisfare il proprio stomaco senza considerare le necessità degli altri. Il giubileo che stiamo celebrando ci chiede espressamente di vivere ed attuare le opere di misericordia corporale e spirituale a partire da quel dar da mangiare agli affamati che deve entrare nel nostro sistema d vita e non solo di pensiero. Tutto questo sarà possibile anche per noi cristiani del XXI secolo che formiamo un corpo solo e ci sentiamo davvero Chiesa, operando come membra vive e vitali in essa, secondo quanto ci dice l'apostolo Paolo nel brano della seconda lettura di oggi. Sia questa la nostra sentita e convinta preghiera nella domenica dell'ottavario di preghiera per l'unità dei cristiani e alla vigilia della festa della conversione di San Paolo Apostolo: O Padre, tu hai mandato il Cristo, re e profeta, ad annunziare ai poveri il lieto messaggio del tuo regno, fa' che la sua parola che oggi risuona nella Chiesa, ci edifichi in un corpo solo e ci renda strumento di liberazione e di salvezza". Amen. |