Omelia (24-01-2016)
don Alberto Brignoli
Tutt'occhi e tutto orecchi

Vi confesso che anche per me, a volte, è una fatica riuscire a stare attento durante la messa, e in particolare durante la Liturgia della Parola. Certamente, mi riferisco alle volte in cui non sto presiedendo l'Eucarestia e quindi, concelebrando o semplicemente assistendo, non sono "al centro della scena": quelle rare volte, mi danno comunque l'opportunità di stare dalla parte dei fedeli e quindi di capire come, spesso, la prima parte delle nostre celebrazioni rischia di essere vissuta con stanchezza, con pesantezza, e con quella poca attenzione che poi condiziona pure il resto della celebrazione. La difficoltà nello stare attenti - oltre che dai pensieri che inevitabilmente portiamo con noi quando entriamo in Chiesa - viene alcune volte dalla lunghezza e dalla complessità dei brani biblici che ascoltiamo, ma molto più spesso dalla pesantezza e noiosità delle omelie che cercano di interpretarli, e che rendono i testi ancora più incomprensibili di quello che già sono... Dico questo, un po' per ribadirvi che avete tutta la mia umana comprensione, quando non riuscite a stare attenti durante l'omelia (!), e un po' perché la complessità e la profondità della Parola di Dio sono oggettivamente difficili da comprendere e da assimilare, da fare nostre in tempi molto stringati come sono quelli di una Liturgia della Parola. Anche quando ci mettiamo tutta la nostra buona volontà, e siamo "tutt'occhi e tutto orecchi" nell'ascoltare la Parola di Dio e la sua interpretazione.
Perché poi, esiste un altro fattore di difficoltà, forse il più grande: ed è quello di accettare che la Parola ascoltata si compia così come ci viene proclamata. Non sempre, infatti, l'ascolto della Parola di Dio può provocare in noi la risposta entusiastica e addirittura commossa che ha provocato nel popolo d'Israele quando ascoltò Esdra e Neemia proclamare la Legge di Mosè riscoperta dopo anni di esilio. Quel giorno, occhi e orecchi di tutto il popolo erano attentissimi ad ascoltare la Parola proclamata, a coglierne il significato, a comprendere la spiegazione data dai leviti (i catechisti del tempo): ne conseguì un entusiasmo irrefrenabile, una gioia incontenibile che si espresse nel grande banchetto.
Anche nella sinagoga di Nazareth, per la verità, gli occhi e gli orecchi di tutti erano puntati sull'illustre compaesano, di cui avevano sentito dire un gran bene per gli insegnamenti che dispensava nei villaggi della Galilea. Ora tornava nel suo villaggio, e l'attesa era altissima: siamo in Galilea, terra di rivoluzioni e di sommosse, dove l'attesa di un Messia, di un Liberatore dall'oppressore di Roma era sentita molto più che altrove, di certo molto più che a Gerusalemme, dove il connubio tra il tempio e il potere politico dava da mangiare a molti. Ma qui no, qui siamo nelle periferie, qui siamo nelle zone più povere, nelle "polveriere" del Regno d'Israele, e la situazione può esplodere da un momento all'altro. Gesù lo sa bene, e sa bene che non può lasciarsi sfuggire di mano questa opportunità. Perciò, sceglie di entrare nella sinagoga e di farlo "secondo il suo solito", come faceva quando abitava ancora là, non un giorno qualsiasi, ma in giorno di sabato, quando in sinagoga non manca nessuno.
È lui che prende l'iniziativa, si alza a leggere, e dal rotolo del profeta Isaia sceglie un brano a dir poco emblematico, perché - come avviene nel Vangelo di Matteo in cui inizia a predicare proclamando "beati i poveri" - detta in maniera inequivocabile le linee programmatiche della propria predicazione: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio". Con queste prime parole, i suoi attenti uditori stanno intuendo che egli ha accettato di identificarsi con il consacrato di Dio, il Messia, appunto, colui che è venuto a liberare gli oppressi, i poveri, i prigionieri; colui che è venuto a proclamare l' Anno di Grazia (il nostro Giubileo), l'Anno dell'amnistia generale, l'Anno in cui tutte le pene sono cancellate, così come i debiti contratti: insomma, l'Anno ideale per vendicarsi dei propri oppressori. E non appena termina di leggere il brano, la loro intuizione riceve conferma: "Oggi si è compiuta questa scrittura che voi avete ascoltato".
E qui, iniziano i problemi che vedremo manifestarsi palesemente nella continuazione del brano che ascolteremo domenica prossima, e che giungeranno al punto di far correre un grave rischio alla vita stessa di Gesù. Cos'è avvenuto? I suoi interlocutori si sono accorti che Gesù, volutamente, ha omesso l'ultimo versetto di questo inno del capitolo 61 del profeta Isaia, che, dopo aver proclamato l'Anno di Grazia, proclama pure "il giorno di vendetta del nostro Dio". No, questo Gesù non lo dice. L'Anno di Grazia che egli proclama e porta a compimento è "di grazia" in tutti i sensi: porta l'annuncio ai poveri come privilegiati da Dio, fascia le piaghe dei cuori infranti, proclama la libertà degli schiavi e dei prigionieri, ma non indice il giorno della vendetta di Dio. Il suo Dio è un Dio della Misericordia, della Grazia per tutti: per cui, non si vendica dei propri nemici. Anzi, più avanti scopriremo dalla sua predicazione che addirittura li perdona. Questo fa crollare le braccia ai Galilei, che avevano sperato in lui come loro vendicatore, come Messia liberatore, leader politico e rivoluzionario: non è così.
Quella Parola cui avevano prestato attenzione, di fronte alla quale erano "tutt'occhi e tutto orecchi", che addirittura era giunta a compimento in colui che la proclamava, si era rivelata, ancora una volta, incomprensibile e inaccettabile. L'entusiasmo del tempo di Esdra e Neemia si tramuta in delusione. Forse, gli ignari e inconsapevoli compaesani di Nazareth hanno solamente avuto troppa fretta di impadronirsi di quella Parola e di ritenerla già compresa, capita, compiuta. Non è ancora il momento, non è ancora il giorno della vendetta di Dio: verrà anche quello, ma non sarà contro gli uomini, ma contro il loro peggiore nemico, la morte.
Per ora, bisogna avere la pazienza di andare dietro a Gesù e di ascoltare la sua Parola, anche se ascoltarla non sempre ci fa piacere e non sempre è facile da comprendere e da accettare.