Omelia (24-01-2016)
Carla Sprinzeles
Commento su Luca 1,1-4; 4,14-21

Proseguiamo con il tempo "ordinario" tempo in cui guardiamo bene in faccia a cosa crediamo, a prendere sul serio la nostra fede, a non avere delle idee molto approssimative su Gesù, sul Vangelo, sulle Scritture.

La liturgia di oggi è centrata su due riti, uno dell'Antico Testamento, uno del Nuovo.

Il primo è accaduto nel V secolo a.C.: tutto il popolo venne raccolto nella grande piazza, per ascoltare il libro della Legge.
E' l'inizio del giudaismo.

Il secondo rito è quello compiuto da Gesù, quando inizia la predicazione a Nazareth: legge un brano del profeta Isaia e conclude: "oggi si è compiuta questa scrittura.

Ogni giorno, ancora oggi può avvenire che noi siamo in grado di vivere con tale fedeltà da poter proclamare: oggi questa parola è stata compiuta.


NEEMIA 8, 2-10

La prima lettura è tratta da Neemia, che è un giudeo funzionario reale alla corte del re persiano.

Inquadriamo storicamente, Ciro, re di Persia, dopo 50 anni di esilio babilonese, permette ai Giudei di rientrare nella terra degli antenati e di ricostruire il loro tempio.

Quello che leggiamo è il racconto della prima proclamazione del Pentateuco, quella che chiamavano la Thorà, la Legge

Siamo nel VI secolo a. C., dopo il ritorno degli ebrei da Babilonia.

Lo scriba Esdra e il sacerdote Neemia avevano organizzato la raccolta delle tradizioni che ciascuna tribù conservava degli eventi del passato, della memoria dell'esodo, delle meraviglie di quello che chiamavano "il Dio dei Padri".

Avevano conservato quelle tradizioni in modo religioso, per cui avevano lasciato le diversità dei racconti.

Questa raccolta promossa da Esdra e Neemia doveva servire per riprendere la vita religiosa, perché durante l'esilio molto avevano abbandonato la pratica religiosa, non essendoci punti di riferimento, però le famiglie avevano conservato la memoria degli eventi del passato, per cui il riferimento al Dio dei Padri era rimasto.

Non c'era ancora il tempio, bisognava ricostruirlo, ma si costituirono nei diversi centri dei luoghi di incontro, le sinagoghe, la cui importanza comincia proprio in questo periodo.

Quel giorno con Esdra e Neemia erano presenti le dodici tribù, cioè i discendenti dei dodici figli di Giacobbe, figlio di Isacco, figlio di Abramo.

Per cui il Dio dei Padri, che questi ebrei, tornati dall'esilio richiamavano era appunto il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e delle dodici tribù.

Ecco il popolo ebraico, tornato dall'esilio, si trovava intorno a questa storia.

Capite l'importanza che ha avuto quel giorno: si èricostituita l'unità intorno alla memoria di eventi accaduti che venivano scritti per la prima volta.

Prima c'erano le Tavole della Legge, conservate nell'Arca, ma non c'era la Scrittura, cioè il racconto scritto delle tradizioni che ciascuna tribù aveva.

Ora per la prima volta appare e l'unità del popolo si costituisce attorno a questi eventi.

Questo spiega l'esultanza, la gioia con cui termina la prima lettura: ascoltano dal sorgere del sole fino a mezzogiorno, poi sono invitati a tornare nelle proprie case o nelle proprie tende, a invitare i vicini a mangiare cibi grassi e vino dolce, a fare festa per celebrare l'unità del popolo e l'inizio di una nuova tappa del loro cammino storico.

Questi eventi sono rimasti sempre come il punto di riferimento dell'unità nelle dispersioni successive del popolo di Israele.

La promessa è aperta all'universalità: "altri popoli verranno", il popolo eletto è l'umanità intera.

Oggi siamo a una svolta importante, perché si realizza una nuova tappa dell'unità tra i popoli.

Abbiamo un unico Creatore, unica fonte di vita, unica ragione della nostra esistenza e del nostro cammino: è un cammino faticoso, questo dell'umanità, in cui la comunità sorta dai dodici apostoli, continuità delle dodici tribù di Israele, dovrebbe costituire un segno, uno stimolo di unificazione.

Solo l'unicazione dell'umanità può garantire la pace, perché la pace implica che ogni popolo sia in grado di offrire le proprie ricchezze culturali e storiche accogliendo quelle degli altri.


LUCA 1, 1-4; 4, 14-21

Nel brano di Luca che leggiamo troviamo Gesù che nella sinagoga di Nazareth legge un brano del profeta Isaia, un profeta dell'VIII secolo, forse del tempo dell'esilio.

Sappiamo che nelle sinagoghe la lettura fondamentale era quella della Thorà, che veniva letta progressivamente, sabato dopo sabato.

Ma dopo la lettura della Thorà qualsiasi maschio adulto poteva intervenire per attualizzarla, commentarla, approfondirla, rifacendosi in genere ai libri profetici.

Gesù scelse un brano del profeta Isaia, in cui delinea un'attività messianica di salvezza, la liberazione degli oppressi, la proclamazione ai poveri di un lieto messaggio, di un anno di grazia, di misericordia del Signore.

Gesù legge questo brano e lo assume come programma della sua vita, della sua attività.

Era sconvogente, perché non si richiamava all'osservanza della legge, all'osservanza del sabato, non si richiama alla riforma di Esdra e Neemia che ristabiliva gli elementi strutturali della religiosità.

Gesù si richiama invece a un'azione dello Spirito: "Lo Spirito del Signore è su di me...il Signore mi ha unto e miha inviato".

Gesù si riferiva al Battesimo che aveva appena ricevuto, quella era stata un'esperienza che lo ha condotto a rompere con il passato, a iniziare una nuova tappa della sua vita.

Ha riassunto con queste parole: un messaggio di liberazione per i poveri e gli oppressi, di misericordia per i peccatori.

Qui c'è tutta la specificità di Gesù: non è il Dio dei potenti che vuole rappresentare, come era in passato per gli ebrei, come del resto per tutti i popoli.

Un Dio che ama gli uomini e le donne, che si rivolge proprio a chi ha più bisogno di amore, che più soffrono per la mancanza di offerte di vita.

Il programma di Gesù non è stato accolto perché troppo sconvolgente, perché richiede un cambiamento profondo delle strutture sociali e della mentalità della gente.

Nella nostra società noi stiamo perseguendo degli ideali di benessere e di ricchezza, che possiamo anche raggiungere, ma che non corrispondo al bene della nostra esistenza, alla ricchezza profonda della nostra vita.

Quello che è essenziale per noi è, per usare le parole di Gesù, diventare figli di Dio, cioè crescere nel rapporto con lui, nell'esprimere la sua misericordia, il suo amore, la sua tenerezza: poter dire anche noi: "Oggi si è compiuta in me questa parola".

Importante è che non diciamo: "questo è il mio carattere, la mia educazione, sono fatto così!"

Ma ciò che sono oggi è la forma iniziale di ciò che Dio vede in me: il meglio deve ancora venire!

Per poter pensare così occorre sapere e vivere nelle cose concrete, che Dio sta con me, io posso essere un elemento di liberazione.

Se noi riuscissimo a vivere davvero il fatto che Dio è dalla nostra parte, che Dio fa il tifo per la nostra vita e benedice la nostra esistenza perché fiorisca, noi avremmo delle esistenze fiorite, con molto spazio dentro e capaci di seminare semplicemente il bene intorno a noi.

Quando l'ansia e la preoccupazione di decidere non ci sovrastano, quando la paura del futuro non ci blocca e ci concediamo di essere un po' più contenti, allora facciamo una piccola esperienza di liberazione.


E'nimportante affidarci alla logica di Dio. Lo Spirito che riposava su Gesù riposa ora in ognuno di noi, riposa su chi avanza a mani nude e con il cuore aperto incontro all'altro.