Omelia (24-01-2016)
don Michele Cerutti


L'anno liturgico ci vede impegnati a meditare il Vangelo di Luca. Luca è l'evangelista della misericordia, della mansuetudine. E' proprio Luca che ci insegna dai primi versetti tutta la tensione a narrare la misericordia.

D'altra parte la misericordia va raccontata è importante raccontarla e narrarla. Per raccontarla occorre fare memoria la nostra vita. Dobbiamo dirlo nella società che viviamo siamo bombardati dalle notizie e dalle informazioni. Nei giornali ci vengono riportate le notizie nude e crude senza interpretazioni nella logica che le notizie oggi non debbono subire interpretazioni, ma questo è un pasticcio perché le notizie sono fatte dagli uomini e quindi portano in sè un loro significato e ciò è possibile trasmettendo l'informazione. Allora siamo presi dal turbinio degli eventi e facciamo poca esperienza del ricordare. I problemi che circondano la nostra vita si ingigantiscono diventono più grandi di quelli che sono.

Quante volte il popolo di Israele fa esperienza di tutto ciò nella storia della salvezza. Quando arriva alle soglie della Terra promessa si fa prendere dalla paura non ricorda che Jahvé è il Dio che li ha liberati dalla schiavitù dell'Egitto e li ha salvati dalle acque. No, tutto questo non esiste più nella mente degli Israeliti. Essi mandano gli esploratori e questi riportano dati spaventosi su quello che hanno potuto vedere in quella Terra. Frutti, ricchezze varie della terra, ma anche uomini spaventosi. Prossimo alla terra il popolo continuerà il suo cammino perché si è fidato solo delle sue forze.

E' come se ogni qualvolta facciamo da soli gettiamo una saracinesca nel nostro cuore e non facciamo passare Dio nella nostra vita.

I nazaretani si dimostrano ciechi di fronte a Gesù. Il brano del Vangelo prosegue così. E' il figlio del carpentiere si dicono tra di loro. Non sono in grado di vedere Dio nel volto di Gesù.

E' così nella vita di sempre quando ci ripieghiamo su noi stessi. A noi il compito di saper prendere la salvezza e farci abbracciare da questa già nell'oggi di Dio. Gesù è venuto portare la luce nel mondo nelle tante situazioni di disperazione.

All'inizio ho affermato che Luca è l'evangelista della misericordia, ma possiamo definirlo come un'evangelista sociale. L'intervento di Dio è anzitutto in favore dei poveri e degli oppressi. Appare così la sensibilità personale di Luca, il quale mette fortemente il luce la dimensione sociale del vangelo. Gesù ha portato un messaggio che riguarda l'intimo di ciascun uomo, e quindi soprattutto i suoi rapporti con Dio e la possibilità di entrare nel suo regno. Ma ciò avviene sostanzialmente attraverso un cambiamento radicale dei rapporti tra gli uomini. Scrivendo circa mezzo secolo dopo la morte di Gesù Luca sapeva certamente che questo cambiamento di tutta l'umanità non era avvenuto. Tuttavia egli è convinto che le affermazioni di Gesù si sono realizzate all'interno della comunità cristiana, nella quale si attua l'ideale di giustizia e di solidarietà da lui enunciato. L'evangelista sapeva inoltre che quell'ideale era spesso disatteso anche nella comunità cristiana, dove erano riapparse le discriminazioni tipiche della società circostante. Perciò non si lascia sfuggire l'occasione di presentare, proprio agli inizi del ministero pubblico di Gesù, il nucleo originario del suo messaggio e di farne la chiave di lettura di tutto il vangelo.

A noi il compito di essere per i poveri dei fari.

Non nascondo c'è tanta voglia di fare per i poveri, ma è difficile, e dico la verità lo comprendo, essere perseveranti nell'attenzione a loro.

1) Molto spesso forse ci accostiamo a loro considerandoli casi sociali con problemi da risolvere. Ci si dovrebbe accostare a loro rendendo onore alla loro persona tenendo conto della loro soggettività.

2) Dovremmo accostarci svuotandoci di quell'orgoglio subdolo della carità che ci fa sentire superiori. Dovremmo abitare di più la beatitudine evangelica della povertà.

3) Accostarci a loro non solo preoccupati per il benessere economico, ma per la salvezza dell'anima.

Questo è possibile confotrmando il nostro Cuore a quello di Cristo.

Riscopriamo sempre di più questo aspetto della nostra fede: il Cuore di Cristo. Solo così riusciremo ad aprire il nostro Cuore ai fratelli nelle necessità. I nazaretani non erano riusciti a comprendere il suo messaggio perché il Cuore era abitato troppo da precomprensioni umane. Non riescono a vedere la grazia che sta passando.

"Temo il Signore che passa" dice Agostino perché il rischio è che non riusciamo a vederlo presi dalle nostre cose. Lo sforzo che dobbiamo fare è quello di aumentare la nostra intimità con Lui per riconoscerlo nei fratelli. Il modello sono i santi della Carità che passavano al povero dopo una intensa preghiera intima.