Omelia (24-01-2016)
Monastero Domenicano Matris Domini
Commento su 1Cor 12,12-30

Collocazione del brano

Domenica scorsa abbiamo iniziato la lettura della terza parte di 1Corinti. Paolo ricordava ai suoi interlocutori che i doni soprannaturali dello Spirito dovevano essere ricercati e accolti non per il proprio prestigio, ma in funzione dell'utilità che essi avevano per la Chiesa.

Nel brano di oggi, che segue immediatamente quello che abbiamo visto domenica scorsa, Paolo ricorre al paragone del corpo. Era questo un motivo tipico del mondo greco per evidenziare plasticamente il dovere di ogni cittadino o dei singoli ceti di mettersi a servizio del bene comune. Paolo lo fa proprio, con una certa originalità.


Lectio

Fratelli, 12come il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo.

Poiché si sta parlando della comunità cristiana, ci si aspetterebbe che sia la Chiesa il corpo di cui sta parlando Paolo. E invece si tratta del corpo di Cristo.


13Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.

Però è chiaro che tale corpo è la Chiesa, in quanto formato da tutti coloro che sono stati battezzati mediante un solo Spirito. Lo Spirito presente nel battesimo come principio creativo della Chiesa, permette di superare le differenze che storicamente dividono l'umanità. Lo Spirito fa dei credenti un unico campo in cui viene esercitata e accolta la signoria di Gesù. In questo rapporto giudei e pagani, schiavi e liberi acquisiscono una nuova e comune identità. Certo le differenze permangono sul piano storico, ma nella comunità cristiana sono annullate, cioè non contano, perché gli uni e gli altri allo stesso modo sono membra di Cristo e appartengono a lui.


14E infatti il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra.

Paolo sfrutta a fondo il paragone del corpo per confermare e completare l'esposizione sui carismi, che abbiamo visto la volta scorsa. Nel proseguire del discorso si sottolinea, all'interno dell'unità, una necessaria pluralità. Senza di questa non si può parlare di un corpo.


15Se il piede dicesse: «Poiché non sono mano, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. 16E se l'orecchio dicesse: «Poiché non sono occhio, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. 17Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l'udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l'odorato? 18Ora, invece, Dio ha disposto le membra del corpo in modo distinto, come egli ha voluto.

All'interno del corpo è una pluralità, ma si tratta di una pluralità diversificata. Nella sua alterità irripetibile ogni membro appartiene all'organismo umano. Così ha voluto Dio nel momento in cui ha creato il corpo. In conformità alla cultura biblica Paolo vede nel mondo e nelle cose l'effetto del volere e dell'agire del Creatore.


19Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? 20Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo.

L'assimilazione delle membra a un membro solo nega il corpo nella sua essenziale diversificazione. Dunque né un solo membro, né più membra identiche.


21Non può l'occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; oppure la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi».

Il paragone del corpo si presta ad ulteriori contenuti. La diversità delle membra non si riduce a una pura e semplice coesistenza delle une accanto alle altre, come parti in se stesse autosufficienti e autonome. Al contrario, le unisce in un reciproco bisogno. C'è una mutua dipendenza, una complementarietà delle diverse membra.


22Anzi proprio le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie; 23e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, 24mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha,

Paolo, rifacendosi alla cultura del suo tempo introduce qui una classificazione delle membra del corpo in deboli e forti, vili e nobili, indecenti e oneste. L'intento è di precisare che esiste una specie di compensazione all'inferiorità delle membra meno stimate. Infatti più una parte dell'organismo è vile e indecente e maggiore è il rispetto con cui il pudore la circonda e la protegge.


25perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. 26Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui.

Nel corpo dunque esiste una legge fondamentale di mutua sollecitudine. Le membra si prendono cura le une delle altre e partecipano le une alle gioie e ai dolori delle altre.

27Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra.

Non dobbiamo perdere di vista il vero soggetto di tutta questa descrizione. Il corpo è la Chiesa, noi siamo le sue membra, diversificate, con diversi compiti, che si prendono cura le une delle altre. L'unità della Chiesa non si confonde con un'uniformità livellatrice e ripetitiva, ma risulta da un'armonizzazione dei diversi. Questo avviene grazie allo Spirito che non dona fenomeni straordinari e sovrumani, destinati a pochi, come credevano i Corinti. Al contrario è creatore e animatore di una comunità articolata e diversificata. L'alterità dei cristiani poggia sulla partecipazione ai suoi doni.


28Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi ci sono i miracoli, quindi il dono delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare varie lingue.

Paolo enumera i principali carismi presenti nella Chiesa. Si tratta di carismi ugualmente necessari, nella loro diversità. Vi è però una gerarchia. Al primo posto c'è l'apostolato. L'annuncio evangelico incentrato in Cristo è alla base di qualsiasi comunità cristiana. L'apostolo, per Paolo non è necessariamente uno dei Dodici (lui stesso non ne faceva parte), ma colui che fa dell'annuncio la sua principale attività e opera in comunione con la Chiesa, con gli altri apostoli. Egli fa nascere la comunità, ne è il padre. Al secondo posto vi sono i profeti, coloro che avevano il dono di una parola capace di scuotere, provocare ravvedimenti, coinvolgere l'ascoltatore. Poi troviamo i maestri, i catechisti, coloro che accompagnavano i neobattezzati alla conoscenza del mistero cristiano e delle esigenze morali richieste dalla vita di fede. Gli altri carismi li abbiamo visti domenica scorsa, nell'elenco di 1Cor 12,8-10. Il dono di fare miracoli e guarigioni sono strettamente legati alla fede. Due carismi sono introdotti qui per la prima volta: l'assistenza ai malati e la funzione di governare la comunità. E' interessante notare che i capi della comunità vengono considerati come carismatici. Esercitano un servizio che non si basa su diritti e doveri scaturiti dalla natura o dalla libera pattuizione degli interessati (come nelle democrazie moderne). E' lo Spirito che fonda ogni funzione direttiva nella Chiesa.


29Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti fanno miracoli? 30Tutti possiedono il dono delle guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano?

Con domande retoriche l'apostolo esclude che si possa pensare a un processo di riduzione e livellamento a un solo carisma, fosse pure quello supremo dell'apostolato. Sono molto e diversi ma anche complementari. Solo così si ha la Chiesa nella sua costitutiva articolazione poliforme.


Meditiamo

- Appartengo a una comunità cristiana, che cerca di vivere la fede?

- Sento la mia comunità come un corpo, con molte membra, ognuna delle quali realizza il suo compito specifico?

- Qual è il mio compito all'interno di questa comunità?